martedì 27 luglio 2021

Su fogu e su entu ki benidi da oriente



 A PROPOSITO DI INCENDIARI E DI INCENDI …

Testo di Domenico Loche Paba


Mi ha raccontato un po' di tempo fa un amico (oddio non proprio un amico, diciamo un conoscente), uno che conosco bene da molti anni, una storia, anzi, alcune storie accadute nei primi anni settanta in territori non meglio precisati tra il Goceano, il Marghine e il Meilogu.








Nei primi giorni del mese di Luglio del 1973 o 74, alle prime ore del pomeriggio, viene segnalato un principio di incendio.
La squadra antincendio, partita immediatamente, arrivata sul posto in meno di 5 minuti, inizia a lavorare alacremente, notando però che qualcuno dalla strada osservava quasi divertito l’andamento del fuoco.
Il responsabile della squadra si avvicina al tizio; scopre che si tratta del proprietario di un camion (tipo tigrotto), parcheggiato al lato della strada che portava mangimi per animali e che praticamente, dopo aver venduto tutto il suo prodotto, stava rientrando nell’oristanese.
In breve il fuoco che non aveva ancora assunto le proporzioni dell’incendio, venne spento.
Il tizio fece per salutare tutti gli uomini della squadra antincendi, complimentandosi con loro per la celerità con la quale erano intervenuti, al che il responsabile lo invitò a bere qualcosa con loro.
Appartatisi tutti fuori strada sotto una pianta di sughera non molto grande, oltre una scarpata, al di fuori della portata di occhi indiscreti, un operaio tolse dalla campagnola una ”taschedda", dalla quale tirò fuori vino, formaggio e pane.
Un altro invece ad un certo punto tirò fuori una corda.
L’uomo venne velocemente immobilizzato, legato a quella pianta di sughera, raccolta dell’esca e frasche, gli venne appiccato fuoco ai piedi. In breve tra le urla emesse per la paura, confessò di essere stato lui ad aver appiccato il fuoco.
Il tizio venne rilasciato ma si sa che non mise mai più piede nella zona e venne segnalato dal tam tam agropastorale in tutte le zone limitrofe ed oltre.

Un altro pastore, con la scusa di preparare “sa doa” attorno ai suoi pascoli, tutti gli anni faceva correre la squadra antincendi anche più volte in una giornata e per diversi giorni.
Quasi sempre quel fuoco sconfinava in altre proprietà procurando danni ai confinanti, qualche volta anche importanti, ma la sua era sempre comunque salva.
Al decimo o undicesimo intervento, si era deciso di dare una sonora lezione al signor pastore.
Alla fine dello spegnimento dell’incendio, non si sa come, qualche fiammella, forse partita dal fuoco apparentemente spento, andò a finire nel fienile il quale andò completamente distrutto.
A nulla valse l’opera di spegnimento operata dalla squadra.
L’immobile fatiscente e il fieno custodito all’interno vennero totalmente distrutti.
Tralascio di raccontare alcuni particolari ironici.
Anche in quel caso sembra che da quelle parti non si verificò più un incendio, anzi, nemmeno un fiammifero si vide acceso.
Oggi c’è una ricca e rigogliosa vegetazione di roverella.

Il terzo episodio ha luogo tra il Goceano e il Meilogu dove due fratelli, servi pastori in quella zona, poco più che ventenni, verso la fine del mese di Agosto, ogni santo giorno mettevano fuoco in un modo abbastanza inusuale ma devastante, soprattutto per le zone dove il fuoco arrivava spinto dal ponente.
La squadra come sempre, dotata di potenti mezzi antincendio (scoponi di erica, raramente inumiditi), dopo aver fatto un buon tragitto a piedi, iniziava le operazioni di spegnimento;
dopo qualche ora le fiamme venivano spente seppure dopo aver bruciato anche qualche pascolo ancora non consumato.
Secondo il modus operandi del responsabile di quella squadra, era giunto il momento di intervenire per contenere almeno tale opera.
Una sera, si fa accompagnare con la campagnola nella zona dove lavoravano quei due ragazzi.
Trovò un ottimo nascondiglio ed attese li tutta la notte e fino all’ora che normalmente mettevano fuoco, cioè, tra le dodici e le tredici.
Ad un certo momento con l’aiuto del binocolo vide uno dei due che preparava un pezzo di filo di ferro di oltre tre metri, dove ad una estremità era stata legata un pezzo di gomma accesa, tenendo l’altra estremità tra le mani.
Sedutosi poi a cavallo di un asinello, iniziò a camminare mettendo fuoco. Fu in quel momento che il responsabile fece partire numerosi colpi di arma da fuoco che finivano davanti all’asinello, sollevando della polvere. Il ragazzo tornò indietro, spense subito la gomma nascondendola, prodigandosi nello spegnimento delle fiamme che sono state definitivamente assicurate dall’arrivo della squadra antincendi.
Pare che anche in quel caso, da quelle parti non usci mai più nemmeno un fuocherello ed oggi è una bella zona ricoperta di vegetazione.

La morale di questo racconto provate a trovarla voi, oggi difficilmente è il sardo ad appiccare il fuoco, e non sto adesso ad analizzarne le motivazioni, però so per certo che chi mette fuoco oggi ha ben altri obbiettivi di ovvio carattere più lucroso di allora e non è sardo.

Poi, parlare di incendi nel periodo estivo è la peggiore cosa che si possa fare, da tutti i punti di vista. Bisogna parlarne in Sardegna, in tutti i gradi della scuola fino alla fine delle superiori;
addestrare il personale forestale, dotandolo senza risparmio dei mezzi investigativi volti ad accertare ed assicurare alla giustizia il maggior numero di responsabili e non una tantum.
Dotare il medesimo corpo forestale dei mezzi aerei e terrestri sufficienti, nonché di personale di lotta in numero adeguato e con adeguata preparazione così come era fino a quando i cantieri forestali erano gestiti dal corpo forestale.
Questo ed altro mi ha detto il mio conoscente-amico, il cui nome non posso pubblicare senza il suo consenso, e nemmeno mi ha voluto dire dove finiva il vero e iniziava la finzione dei racconti.

*

SEMPRE A PROPOSITO DI INCENDI...
Ieri 28 Luglio come tutti gli anni, a Tempio Pausania dal 1983 avviene la commemorazione dei defunti di "Curraggia", ricordando anche quanti seppure sopravvissuti, hanno subito gravi menomazioni.
Queste 4 righe di per se mi bastano per farmi sanguinare la ferita sempre aperta fin dal primo giorno dell'insorgere dell'incendio in agro di Viddalba. Infatti, insieme ad un altro o forse altri due, sono un superstite di quella immane tragedia.
Ho partecipato, dal 1983, solo alla prima commemorazione del 1984 poi mai più.
Non sono stato allevato sia in famiglia che istituzionalmente a proferire o ad ascoltare parole più dello stretto necessario e poiché le belle parole mai seguite dai fatti mi provocano pruriti urticanti in tutto il corpo, non ho mai più partecipato a nessuna delle commemorazioni compresa quella di ieri, da questo punto di vista sono un latitante puro.
In verità , non voglio parlare di questo ma, far vedere un breve filmato che ho fatto il giorno 27 quando come tutti gli anni, vado per colloquiare di quei giorni funesti, con le persone li decedute e del fatto che diverse volte ho avuoto la "fortuna" di essere stato salvato per ben tre volte. Dicevo... filmato che riprende la zona del tragico epilogo ma sopratutto la vallata sottostante la collina di "curragia". Noterete, nonostante la pessima qualità del filmato, la vegetazione abbondante e rigogliosa, composta prevalentemente da Sughera, Leccio, Roverella e da diverse essenze arbustive.
Ricordo perfettamente come era prima dell'incendio e come era subito dopo. I giorni successivi, SI VEDEVA UNA AUTENTICA APOCALISSE!
Man mano che passavano gli anni quella vasta zona dove non era rimasto nulla in piedi, si ripopolava sempre più della originaria vegetazione ed oggi, sembra quasi non esserci più traccia di quella devastazione.
Nonostante tutto e a dispetto di tutto, il manto vegetale sardo anche quando viene distrutto, si riprende e se non è disturbato, anche abbastanza in fretta. Lo testimonia tutta l'area distrutta nel 1983 come tutte le altre prima e dopo quella data.
Si potrebbe quasi dire e sottolineo quasi, che siamo fortunati in Sardegna per avere una simile vegetazione arborea ed arbustiva.
Il mio personale messaggio è di speranza, rivolto alle popolazioni colpite alle quali sia pure virtualmente, va il mio affettuoso, fraterno abbraccio; va poi alle donne e uomini del corpo forestale (questi sconosciuti e, o fin troppo volutamente dimenticati) che nelle zone dei recenti incendi hanno dato tutto se stessi per limitare i danni; ai vigili del fuoco; a tutti gli operai a qualunque titolo presenti in quelle aree, all'organizzazione tutta.
Aggiungo, in conclusione, che un solo ettaro bruciato è una sconfitta, grande sconfitta ma se nessuna vita umana è stata presa è certamente una vittoria.
Da oggi in poi, da Sardi, pretendiamo solo fatti concreti, BASTA CON LE PAROLE DI POLITICI E ALTI FUNZIONARI, il problema incendi si può se non risolvere sicuramente essere contenuto di molto.
FORZA PARIS.

Testo di ©Domenico Loche Paba









2 commenti:

  1. ...la natura "ostacola" la "comunicazione orizzontale"....o si impedisce con decisione anche estreme, se no pur di far funzionare quelle diaboliche microfrequenze, son disposti a bruciare tutto....negli anni 80 gli incendi erano commissionati dai militari (5G militare), oggi dai network dei bigtech...burn the towers....Ignaz c'è( mizioce@hotmail.it)

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