Sono
nato una mattina tiepida d'estate, in Arkansas, nome imposto dai padroni bianchi venuti da dove sorge il sole, ma il mio nome l'ho scelto io, Scheggia del Mattino.
Mio padre mi insegnò a cacciare, mi diceva di non uccidere quello che non avrei potuto consumare.
Mi raccomandava di usare tutto il necessario del povero animale, di non sprecare niente.
E così ho sempre fatto, e dei bisonti non buttavo niente, nè cibo, nè pelli e nemmenp ossa, delle quali facevo oggetti ornamentali.
Mi rubarono la terra, mi rinchiusero in una riserva, ci davano coperte infette, ho capito che avrebbero voluto distruggerci.
Mi hanno concesso di uscire dalla riserva, ho costruito grattacieli.
Ho sposato la donna che ho desiderato, Luce del Mattino, mi ha dato cinque figli.
Mi hanno mandato in guerra, ho capito che la nazione per la quale
combattevo era la stessa nazione che voleva distruggere
il mio popolo.
Ho il sospetto che voglia distruggere il mondo.
Mi sono ribellato.
Ma hanno vinto loro.
Ora danzo al ritmo di una musica che sento solo io, corro felice col mio cavallo nelle verdi praterie, e non smetterò
mai di maledire chi in maniera subdola mi ha tolto persino la speranza.
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Sono nato in una fredda mattinata di inverno, il paesaggio era bianco
dalla brina, sento ancora addosso il freddo di quella giornata.
Il mio nome, imposto, è scritto con tutte le lettere maiuscole, un modo come un altro per sentirsi proprietà altrui.
Sono nato in una terra colonizzata, stuprata da bombe al torio e
all'uranio impoverito, illusa da quella infausta civiltà dei consumi,
che mi da da mangiare carne gonfiata e allevata per tutta la vita in celle che non consentono nessun movimento.
Mi nutro con alimenti letali, mi nutro con porcherie simili al veleno puro, ma adesso ho deciso di dire
basta.
Quando mi hanno detto che era per il bene del pianeta ho immaginato la verità nascosta.
Quando mi hanno chiamato a combattere una guerra in nome del progresso e del cambiamento verde ho capito l'inganno.
Vivevo nei boschi, con altri emarginati
come me, felici di essere fuori da logiche di sfruttamento del nostro
tempo e del nostro lavoro.
Vivevo felice in seno alla natura, avevo speranze, cibo, vestiario, una casa di paglia e pietre, la luce del sole e della luna.
L'acqua di un limpido ruscello.
Sono morto per causa di
una malattia che dicono inventata in laboratorio, ho capito che vogliono
spopolare la mia terra e distruggere la mia appartenenza, l'identità
del mio popolo.
Ho capito che gente come me fa paura al potere, perchè insegna un
nuovo modo, seppure antico, di non assoggettarsi a logiche nuove,
di non accettare le loro imposizioni monetarie e culturali.
Ora, dove
vivo, sono tornato indietro nel tempo, qui regna la civiltà più antica e
duratura che sia mai esistita, la civiltà contadina.
Ho capito, forse tardi,
che non si possono permettere di lasciarci il nostro tempo a disposizione, perchè agli
umani, se lasci il tempo di pensare, possono capire e distruggere
ogni sistema.
Appena si sono accorti che l'ho capito, mi hanno eliminato.
Ora vivo felice, l'unico rimpianto è non aver potuto mettere a frutto il mio tempo, perchè non me ne hanno dato la possibilità.
Mi hanno lasciato il tempo della protesta, nel nome di una falsa democrazia, ma mi hanno tolto la possibilità di decidere per me stesso e per i miei figli nel nome di un fasullo mondo nuovo che dicono dipinto di verde.
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