C'era un paesino in campidano, nel lontano mille-non-ce-vento che si poteva definire ricco e prosperoso.
Anticamente era uno dei villaggi che per miglia e miglia era circondato da campagna, campagna e niente altro.
Altre contrade furono costruite in seguito, ma quel villaggio col tempo si era ingrandito e poteva benissimo essere considerato una piccola capitale di un ampio territorio.
Qualcuno pensò bene di dargli il nome di Villasor, qualcuno molto sinteticamente ed erroneamente tradusse quel nome in "Paese delle sorelle".
Non sapeva che la contrada fu fondata dai costruttori di Tiro, di ritorno dalla cosiddetta fenicia.
Il nome ancestrale della contrada era Bitu-Tzor, che tradotto dalla lingua semitica significa la dimora di Tiro.
I costruttori di Tiro venivano chiamati fenici, ma erano sardi.
La contrada era sana, integra, popolosa, rurale nella accezione del termine più nobile.
Ad una economia agricola - pastorale floridissima si affiancavano varie realtà produttive che consentivano alla gente di affermare che non esisteva disoccupazione in paese.
Tutto girava alla perfezione, gli scambi avvenivano soprattutto col sistema del baratto, soldi pochi, ma prodotti in abbondanza.
La stazione ferroviaria pullulava di gente operosa, studenti e lavoratori in partenza, e lavoratori in arrivo.
In stazione erano impiegati un certo numero di addetti, e la vita in contrada si svolgeva secondo ritmi naturali dettati dal ciclo del sole e della luna.
In paese esistevano un numero di botteghe e botteghine commerciali molto rilevante, come pure in numero rilevante erano le botteghe artigianali.
Ogni casa di agricoltori disponeva di una cantina dove soggiornava buon vino, in vendita insieme a prodotti agricoli come frutta e ortaggi.
Ogni cortile era abitato da animali, il paese si poteva considerare a tutti gli effetti "indipendente", persino riguardo al bene prezioso che è l'acqua.
Villasor è ancora la capitale della buona acqua.
Dire che era un paese felice forse è azzardato, ma era sicuramente più felice di adesso.
La stazione ferroviaria non ha nemmeno il capo-stazione.
Gran parte delle attività produttive sono azzerate.
L'unica industria è stata buttata giù dalla dinamite.
Due grandi super-mercati hanno preso il posto delle innumerevoli botteghe.
Agricoltura e allevamenti sono allo stremo, sopravvivono per inerzia.
Sul volto della gente non si vede altro che preoccupazione e disagio.
E poi ci si chiede se questo sia un sistema sopportabile, no, non è sopportabile, manca il calore umano del vecchio bottegaio, manca la serenità di chi lavora nei super-mercati, manca la disponibilità del tempo, manca la speranza degli operai che prendevano il treno per andare verso un lavoro sicuro, manca persino il carburante di tutti i sistemi neo-liberisti, il denaro.
Un paese in metastasi, un paese attualmente senza speranza.
:Mariano-Abis:
Nessun commento:
Posta un commento