martedì 1 settembre 2015

Ancora su martiri ed eroi





Ancora su martiri ed eroi

Noto molta confusione in merito e le domande che si pongono sono numerose.
Innanzitutto bisogna premettere che le due definizioni hanno origine diversa.
I martiri sono figure perlopiù religiose o mitizzate e quasi sempre passive, nonostante il loro esempio possa essere da sprone, quindi possa rivestire un ruolo attivo impersonale.
San Sebastiano e San Giorgio rappresentano bene il quadro.


Gli eroi, invece, appartengono all'immaginario collettivo battagliero, pertanto sempre attivo.
Un martire muore sempre, un eroe può restare vivo, ma può divenire martire se ucciso per vendetta delle proprie gesta. 
L'assunzione a martire di un eroe ne amplifica il clamore e può fungere da esempio per altri aspiranti eroi che ne volessero calcare le orme. 
Pertanto, la vendetta degli sconfitti ai danni dell'eroe vittorioso deve essere ben ponderata, proprio per non ottenere un effetto contrario, cioè decapitare la rivolta potrebbe creare una belva furiosa dai molteplici capi.

Entrambe le figure hanno punti in comune, come coraggio, sprezzo del pericolo o amore per il bene comune e la giustizia, ciò che li differenzia è l'utilità reale postuma del sacrificio, sia esso momentaneo o definitivo.
Ovvero la corretta valutazione di "costi e benefici" e se la minaccia sia di tipo artificiale o naturale.
Cioè il martire è esclusivamente creato dall'uomo, mentre l'eroe può essere di vario genere.

Poniamo esempi pratici.

Se salvo un essere vivente da pericolo di morte certa sono un eroe, ma il mio modus operandi, le caratteristiche del soggetto da salvare e le modalità-difficolta del salvataggio stesso sono fondamentali per definire il grado di eroismo, fino a giungere al punto massimo nel caso in cui metto a repentaglio la mia stessa vita per salvare quella altrui.

Un chirurgo che salva una vita in sala operatoria, tranne rari casi particolari, non è un eroe, se lo fa in autostrada, sì.

Un operatore della protezione civile è quasi sempre un eroe quando salva una vita, poiché, nonostante lo faccia per professione, le condizioni operative e ambientali richiedono un particolare coraggio.

Nel caso in cui mi offro come ostaggio nello scambiare la mia vita con quella di qualcun altro, invece, andando incontro a morte certa non ho caratteristiche eroiche, ma esclusivamente da martire.
Posso diventare eroe se combatto per evitare di essere ucciso insieme ad altri ostaggi, a prescindere dall'esito, ma se accetto la morte passivamente, non lo sono.

Paradossalmente un prigioniero accetta passivamente la morte, poiché preferisce la beatificazione come martire, piuttosto che la sconfitta come eroe, e questo fa la differenza.

Poi vi sono casi in cui non si è né l'uno né l'altro, cioè quando si valutano male "costi e benefici" della propria azione o situazione.

È una posizione impopolare e poco romantica, lo so, ma non definite eroe chi non lo è.

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Ps: Non includo notazioni politiche, su martiri per la libertà, Fosse Ardeatine, Foibe, piazzali Loreto e quant'altro per non alimentare facili speculazioni ideologiche, chi è intelligente trarrà proprie conclusioni.
Basti pensare che se dico CONDOTTIERO sono tutti pronti a partire (a chiacchiere), se dico DUCE (che significa la stessa cosa) sono tutti pronti a rimanere a casa...
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Carlo Pompei Falcone

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