mercoledì 25 gennaio 2017

IL GRAFOLOGO di ©marianoabis definitivo



IL GRAFOLOGO 



di ©Mariano Abis.



Vent'anni di storia "italiana" ambientata in Sardegna, Marche, Emilia e Friuli Venezia Giulia.









La calda mattinata di inizio autunno volgeva al termine, i miei genitori mi avrebbero chiamato a breve per il pranzo, misi il maglioncino per non ricevere da loro ramanzine, e smisi di giocare con la sabbia, mi fermai ad ammirare l’opera d’arte che avevo realizzato. Stranamente non soffiava un filo di vento, e i segni che avevo lasciato sulla sabbia non avevano subito modifiche durante il corso della loro realizzazione. Ma non avevo costruito castelli o che altro, semplicemente avevo lasciato dei segni ripetitivi che richiamavano la mia data di nascita: … zero uno, zero uno, diciannove, zero uno…
Girai intorno a quei segni per ammirarli da ogni posizione, come al solito mi comunicavano qualcosa, sia che li avessi realizzati sulla sabbia, o con un pezzo di carbone sui muri, o su un foglio di carta, ma questi, date le dimensioni di molto superiori, mi coinvolgevano maggiormente. Ricordo che, anche quando ancora non sapevo scrivere, mi dilettavo a lasciare segni dappertutto. Ma allora, dopo aver frequentato la seconda elementare, mi scoprivo a trasformare le varie lettere che avevo imparato a scrivere, e i numeri, in forme diverse a quelle raccomandate dalla maestra, e le abbellivo con segni originali che nascevano dalla mia fantasia. Il sole picchiava forte su quella sabbia bianchissima, e quasi mi impediva di vedere quei segni senza un minimo di fastidio.

Quando arrivò l’ordine di rientrare per consumare il pranzo al sacco, quasi mi dispiaceva abbandonare l’opera, e speravo che non venisse distrutta da qualche persona di passaggio che ancora affollava la spiaggia cagliaritana del poetto. Era la prima volta che vedevo il mare, e quella enorme, lunghissima e larga curva di candida sabbia, era inimmaginabile fino al giorno precedente; rientrai verso la comitiva di una ventina di persone che avevano monopolizzato lo spazio accanto a un gruppo di alberi, a un centinaio di metri dalla battigia. Più in là stavano già consumando la loro biada quattro cavalli, a ridosso dei loro carretti e calessi. Mi sistemarono accanto a un gruppo di bambini più piccoli di me, e cominciammo a mangiare, io facevo attenzione a non saziarmi troppo perché a fine pasto avremmo consumato quattro enormi angurie che i miei genitori avevano portato. Avevo appena scoperto che mio padre svolgeva un lavoro ritenuto antipatico dalla generalità delle persone del mio paese, era cioè “su cummossariu”, l’esattore delle tasse alle dipendenze dello stato, una persona cioè che sottraeva denari alla gente, ma le persone presenti sembravano dimostrare di essere sue amiche, tre famiglie che anche in passato avevano fatto gite in compagnia della mia. Avevo così scoperto che attorno al mio paese esistevano posti bellissimi, una splendida cascata nei pressi di biddaxidru, a venti chilometri dalla contrada di sorres, il mio paese, e un folto bosco in un paese ancora più in là, a gonnos; là erano attive delle miniere, come pure in territorio del mio paese, sulla strada per biddaxidru. Ero attirato dai monti, che disegnavano delle linee che si stagliavano sul cielo, al contrario del paesaggio monotono e piatto delle campagne di sorres.

A fine pasto consumai la mia porzione di anguria, ma non completamente, dato che uno degli amici di mio padre mi aveva favorito e aveva riservato per me la fetta più grossa. Mi veniva spontaneo osservare i gesti che ciascuno compiva, siano stati adulti o bambini, notavo che ciascuno aveva un suo modo particolare di eseguire lo stesso gesto, per esempio, notavo che il taglio dell’anguria che mio padre compiva, era dissimile dalla tecnica adottata da mia madre. E quando parlavano, il modo di gesticolare di ciascuno di loro differiva da quello degli altri, e attirava la mia attenzione. Mi obbligarono a giocare con gli altri bambini, ciò mi dispiaceva perché avrei lasciato la mia opera d’arte incustodita, in balia delle persone che avrebbero affollato la spiaggia per il riposino pomeridiano.

Trascorrevo la mia infanzia in modo sereno, mio padre dimostrava di non avere problemi economici, e le mie tre sorelline, venute al mondo in anni alterni, vedevano in me una persona amica che le avrebbe difese in qualunque occasione, seppure un po' dispettoso nei loro riguardi. Notavo che i miei genitori erano sempre ben vestiti, al contrario degli agricoltori e allevatori del mio paese, inoltre sentivo già dalle prime ore del mattino, quando era ancora buio, dei rumori di gente al lavoro, per accudire gli animali che ciascuna famiglia possedeva, siano stati essi buoi o maiali, o animali da cortile, mentre i miei genitori si alzavano ogni giorno col sole già spuntato da un pezzo. Il compito di mia madre, per quanto ne sapevo, era invece quello accudire la casa e le sorelline, e di prepararmi per andare a scuola. Un’infanzia felice, senza problemi di sorta, il mio unico compito era quello di ottenere buoni risultati a scuola, e non fare capricci o disubbidire, né ai miei genitori, né alla maestra, e nemmeno alla catechista che vedevo ogni domenica, dopo aver assistito alla messa delle nove. Mi pesavano però i compiti giornalieri, che mi sottraevano tempo per il gioco. Ma quando finalmente avevo svolto l’ultimo compito della giornata, potevo andare ad incontrare i miei amici, avevamo una fantasia nel scegliere i giochi, che probabilmente i ragazzi di oggi, nemmeno immaginano. Potevamo scegliere tra una miriade di giochi diversi, la classica partita con pallone mezzo sgonfio e consumato irrimediabilmente, e a volte costruito da noi stessi, con pezzi di stoffa, oppure un gioco, anch’esso a squadre, che mi attirava molto, chiamato “bara”, nel quale bisognava mettere in campo velocità, decisioni immediate in sinergia coi compagni e un pizzico di strategia concordata, oppure uno che mi piaceva meno, quello de “is cuaddus fortis”, un gioco che obbligava a sopportare il peso dei compagni, che con un balzo, atterravano sulla schiena di quattro compagni, il gioco terminava quando uno di essi non riusciva più a sopportarne il peso. Ma il gioco che più attirava la mia attenzione era quello denominato “sa strumpa”, cioè una sorta di lotta tra due contendenti, soggetto a regole precise, adottate solo nella mia terra, e non esattamente condivise nelle varie zone. Era un gioco essenzialmente di forza, ma non mancavano elementi che richiamavano a tecniche personali, specie all’inizio della contesa, o quando uno dei due contendenti riusciva a liberarsi dalla morsa dell’avversario. Noi ragazzini osservavamo le lotte tra ragazzi più grandi di noi, o tra adulti, e scimmiottavamo i loro movimenti, dal canto mio mi piaceva osservare la gestualità messa in campo, ma se obbligato a cimentarmi personalmente, non mi ispirava troppe simpatie.

Ricordo i giochi con le trottole, che un artigiano costruiva, in cambio di commissioni o pezzi di ulivo, materiale usato per lo più per la loro costruzione, ma non disdegnava realizzare con essi “panastaggius”, semplicissimi mobiletti da appendere sui muri, per custodire i piatti più belli, a vista, grosse stoviglie o mortai, tutti attrezzi che trovavano collocazione in cucina. Preferivo i giochi che comportavano grande manualità, o dinamicità, mi attiravano meno i giochi di forza. Ciascuno di noi possedeva più di una trottola, di dimensioni diverse, io avevo, tra le altre, la mia preferita, “su pisuncheddu”, dalle dimensioni ridotte. Anche durante questo gioco osservavo con attenzione la gestualità che ciascun compagno metteva in campo, e, conoscendo alla perfezione il carattere di ciascuno, traevo conclusioni tra la sua personalità e i gesti che eseguiva. Facevamo un altro gioco che consisteva nel riuscire ad addossare ad un muro, il più vicino possibile ad esso, dei cerchi metallici, chi si avvicinava maggiormente, aveva diritto a impossessarsi dei cerchi dei compagni di gioco, se non ricordo male il nome di quel gioco era “sponda”. Poi esisteva un gioco chiamato “a muncadoreddu”, che consisteva nell’impossessarsi di un fazzoletto di tela senza venire toccato dall’avversario di turno, una volta venuto in possesso dello stesso; questo gioco si eseguiva con due squadre contrapposte, mentre la generalità degli altri giochi era per lo più individuale.

Le bambine, invece, avevano i loro giochi, uno in particolare suscitava la mia attenzione, quello de “sa butteghedda”, che generava un gran chiasso che attirava la nostra attenzione; una di loro era delegata a disporre su un piano della mercanzia, pezzi di legno, pietre, stoffe, carta e cartone, e quant’altro, contrattare e vendere la merce, un gioco semplice, ma che generava grandi discussioni e continue gestualità. Poi amavano giocare ad un gioco chiamato “a casella”, che consisteva nel saltare tra degli spazi preventivamente tracciati in terra col gesso, senza toccarne i bordi. Potrei descrivere ancora una ventina di giochi diversi, sia maschili che femminili, mi viene in mente che allora la fantasia poteva spaziare in mille direzioni, avendo purtroppo a disposizione pochi tipi di oggetti utilizzabili, mentre ora la fantasia dei ragazzi si limita a scegliere gli oggetti utili e acquistarli, mentre noi dovevamo costruirli.

Oggi, se un ragazzo vuole possedere un fucile finto, basta mettersi in tasca qualche lira, ed ecco che l’arma è a disposizione, ma noi dovevamo scegliere un pezzo di legno, sagomarlo nella forma voluta, procurarci degli elastici e delle mollette che le nostre madri usavano per appendere i panni, e assemblare il tutto, ciò richiedeva fantasia e manualità, quella manualità che mi è sempre piaciuto osservare, mentre ora i ragazzi la esprimono solo quando hanno in mano oggetti non costruiti da loro e più sofisticati, con modalità per lo più ripetitive. Il gioco che più mi metteva apprensione, ma che preferivo, perché coinvolgente e pericoloso, era il gioco della “mira”, un gioco che si concludeva solo quando uno dei contendenti restava ferito.

La mia contrada, convenzionalmente, è divisa in tre parti, chiamiamoli borghi, uno era quello in cui abitavo io, denominato “de prazz’e cresia”, la piazza di chiesa, poi c’era quello de “sa stazioni”, la stazione ferroviaria, infine quello che giudicavamo più agguerrito e determinato, de “su guventu”, il convento, loro mettevano in campo un senso di appartenenza molto superiore a quello degli altri due borghi, ciascuno di essi aveva la sua squadra di ragazzini, che ricorda le bande così ben descritte dal Molnar, nel capolavoro dei ragazzi della via pal. Se si trattava di fare una partita a pallone, i componenti di una delle squadre dovevano necessariamente appartenere allo stesso borgo, e nel gioco della mira questa regola era ancora più ferrea. Poteva scegliere l’appartenenza solo chi abitava sui confini, che erano però abbastanza ben definiti.

Il gioco consisteva nell’armarsi, ciascun componente, di una determinata quantità di pietre, dalle dimensioni codificate, che non potevano superare una certa grandezza, e lanciarle all’indirizzo della squadra avversaria, a volte si verificavano alleanze, altre volte qualcuno barava sulle dimensioni delle pietre, ed il gioco terminava solo quando qualcuno veniva colpito duramente, in genere quando appariva una ferita che sanguinava. Quando qualche squadra non osservava le regole, o metteva in campo azioni sleali, o sotterfugi non concessi, veniva giudicata da una sorta di tribunale estemporaneo, istituito lì per lì, e la pena era la denigrazione generale. Quel gioco, seppure collettivo, metteva in evidenza il coraggio di ciascuno, contavano anche astuzia e rapidità di movimenti, capacità di stringere alleanze, avevano rilevanza implicazioni logistiche, e una buona dose di informazioni, carpite in tutti i modi possibili e immaginabili.

Tra i nostri passatempi preferiti figuravano altri giochi relativamente pericolosi, tra i quali i furti di frutta in campagna, avevamo la necessità di arrampicarci sugli alberi, e svolgere il lavoro in brevissimo tempo, per non dar modo ai molti contadini che affollavano allora le campagne, di identificarci. Ma ciò, però, avveniva molto spesso, e al rientro a casa, all’imbrunire, qualcuno di noi doveva subire i rimproveri dei genitori, e qualche volta anche le loro punizioni che prevedevano qualche salutare ceffone. Non ricordo, però, una sola volta in cui sono stato punito in modo violento, o brutale, piuttosto dovevo subire restrizioni sulle cose che mi piacevano, prima fra tutte, il divieto di uscire per la sera successiva, mentre qualche mio compagno di marachella a volte si presentava a scuola con evidenti segni sulla guancia.

Altre attività a noi gradite erano la ricerca dei nidi di uccelli sugli alberi, o la pesca con attrezzi inadeguati di trote o anguille nei due fiumi che costeggiano il mio paese, e la ricerca di asparagi, fichi d’india o funghi. Ciascun borgo aveva al suo interno una dozzina di gruppi omogenei, ciascuno accomunato da realtà tra le più disparate, il mio gruppo, per esempio, composto da meno di dieci elementi, forse il meno numeroso di tutti, aveva la caratteristica di essere composto da compagni di classe, ed era quasi impossibile accedervi se non dopo una prova, a dimostrazione del fatto che il nuovo arrivato dovesse essere dotato di grande coraggio. Ricordo ancora oggi la prova a cui io stesso fui sottoposto, nonostante facessi parte del piccolo gruppo originario.

I miei amici, a mia insaputa, trascorsero tutta la serata in preparazione dell’evento, mettendo in atto strategie volte a mettermi paura, esplicitando i rischi che correvo per la mia abilitazione. Uno di loro, per esempio, raccontò che fu sottoposto alla stessa prova che attendeva me, cioè attraversare il camposanto in una notte senza luna, da solo; fu così che, una volta all’interno, inciampò in un tombino che era parzialmente crollato, e si trovò lungo disteso a far compagnia alle ossa del suo inquilino, un altro uscì terrorizzato a causa di improvvisi bagliori. Inoltre avrei dovuto scappare da casa nel pieno della notte, incorrendo in punizioni da parte dei miei genitori, nel caso fossi stato scoperto. Oltre il coraggio, bisognava avere quindi anche atteggiamenti volti ad eseguire in modo intelligente il compito.

La mia “evasione” avvenne ben oltre il tempo preventivato, in quanto i miei genitori quella notte andarono a letto più tardi del solito, e quando fui finalmente in strada, illuminata in maniera approssimativa, dovetti ricevere i rimproveri dei compagni, ormai stufi di aspettarmi, e decisi a giudicarmi in maniera non proprio favorevole, anche loro avevano rischiato punizioni per la strana uscita notturna. Ci avviammo verso la periferia estrema del paese, in una notte che diventava sempre più buia, man mano che ci lasciavamo alle spalle le ultime case, fino ad arrivare a ridosso di un muro che, viste le nostre stature, ci sembrava incredibilmente alto. Era il muro di recinzione del camposanto, eravamo arrivati a destinazione, mi aiutarono a scavalcarlo, lo feci senza problemi, ma il salto dall’altra parte era problematico, mi armai di coraggio e con un salto insicuro ero dall’altra parte, ora potevo contare solo sulle mie capacità, dovevo attraversare tutta l’area, a tentoni, e uscire dalla parte opposta, dove mi avrebbero aspettato i miei amici.

Inciampai più volte al buio completo, ma finalmente arrivai a destinazione, chiamai tutti i nomi dei compagni, ma nessuno rispondeva, non mi preoccupai troppo, pensando che volessero ricambiare il favore di averli fatti aspettare in precedenza, e cercai un posto favorevole per scavalcare il muro, al buio scovai un albero quasi addossato al muro, e lo usai come appoggio per un’impresa che senza di esso sarebbe stata impossibile. Avevo finalmente quasi superato la prova, bastava un altro problematico salto verso la tranquillità, lo eseguii senza danni, ma con la speranza di atterrare in un posto senza ostacoli, visto che il buio era assoluto. Di amici nel circondario nemmeno l’ombra, mi avviai così da solo verso casa. Mi aspettavano a un centinaio di metri da casa mia, l’impresa era compiuta.

Il nostro gruppo era uno dei meno numerosi, perché chi voleva entrare a farvi parte, doveva sottostare al severo giudizio dei componenti, e superare prove impegnative per venirne ammessi, la nostra fantasia veniva usata anche per inventare nuove prove. E così trascorrevo il mio tempo, mentre i miei compagni, a volte, erano costretti a qualche lavoro leggero in campagna, essendo tutti figli di agricoltori o pastori. Alcuni di loro, in tempo di mietitura, erano costretti a trascorrere notti intere a guardia dei covoni, altra prova di coraggio. Più di una volta è capitato di avere perso di vista qualche mio compagno per qualche giorno, specie se figlio di pastori, impegnato a trascorrere giornate e nottate in campagna, a custodire il gregge, o a non vederlo mai più a scuola, perché impegnato a dare una mano in famiglia.

Vivevo in una società essenziale, dai bisogni semplici, una civiltà contadina che oggi è disprezzata e derisa, ma che racchiudeva dentro i suoi gesti e le sue peculiarità, una filosofia di vita, ben più positiva dell’andazzo a cui siamo obbligati ad assistere oggi. Il rispetto dei figli verso i genitori, se pure in presenza di disubbidienze generalizzate, era integra, l’anziano era, e non uso una parola a caso, venerato, e i suoi consigli messi in pratica, i suoi racconti, nei pressi dei portoni delle case, la sera, o di fronte al focolare, erano seguiti attentamente, in un mondo dove la tradizione orale aveva grande rilevanza, e se pure noi ragazzi compivamo qualche marachella, non ci saremmo mai sognati di effettuarla in presenza degli adulti, avremmo ricevuto sonore lezioni se pescati in “flagranza di reato”, mentre così, a volte, riuscivamo a scampare la punizione.

Il compito dei genitori era, allora, di istruire i figli sulla vita, sul giusto modo di relazionarsi, mettendo bene in chiaro quali fossero i doveri. Il rispetto costante e tassativo per le istituzioni statali o ecclesiastiche, un corretto comportamento scolastico, e quando capitava un problema, i genitori erano generalmente propensi a dare torto ai figli. Ma allora, chi aveva il compito di accompagnare i ragazzi verso la vita futura, era sicuramente conscio della responsabilità affidatagli, ed eseguiva il compito in maniera impeccabile, con un pizzico di passione, che ora in genere non viene messa in campo. Ricordo ancora con ammirazione la mia maestra elementare, un esempio irripetibile, penso, al giorno d’oggi, perché la competenza, la gentilezza, il farsi rispettare senza compiere gesti eclatanti, solo con la forza dell’esempio e delle parole giuste, veniva messo in campo con naturalezza, dedizione e coscienza, sapendo che stava formando giovani vite nel loro percorso verso il mondo dei grandi, in preparazione a comportamenti corretti. Una naturalità e uniformità di comportamenti che oggi riusciamo solo ad immaginare, e sognare; quando un genitore dovrebbe fidarsi di un’insegnante che probabilmente non possiede quelle caratteristiche, perché formato in un ambiente meno naturale di quello conosciuto da loro, allora nasce spontanea la domanda se l'insegnante sia all'altezza del compito.

Quando, parecchi anni dopo, mi apprestavo a frequentare le scuole di casteddu, avevo timore di abbandonare quel mondo rurale semplice, avevo la paura di incontrare gente dalla formazione differente, avrei dovuto “studiare” più dettagliatamente le persone con cui sarei venuto in contatto, predisposizione che però non mi pesava, anzi, che mi veniva spontanea, dato che ho sempre avuto l’abitudine di osservare il comportamento e la gestualità della gente, e in genere non avevo mai difficoltà a valutarla correttamente. Da allora, in quegli anni di studio nel capoluogo, raccoglievo scritti delle persone con cui venivo a contatto, e, a loro insaputa, ero riuscito a formare una specie di banca dati, che mi avrebbe consentito di valutare, seppure con metodi poco scientifici, empirici, la loro personalità osservando i segni che lasciavano sui fogli, e la gestualità che esprimevano nel tracciarli.

L’impressione generale che ricavavo, e i loro comportamenti successivi, mi consentirono di dare una parvenza di organicità alle mie conclusioni, e correlavo il loro comportamento a quelle scritture, che così diventavano funzionali alla valutazione delle persone. Certi segni, espressi con le mani o con la gestualità del corpo, oppure tracciati da una penna su un foglio, erano, per me, inequivocabili, e se qualcuno non aveva ancora esplicitato certe sue caratteristiche, ero sicuro che il tempo avrebbe confermato le mie impressioni, e certificato la bontà delle valutazioni. Se incontravo una persona, per esempio, che faceva del decisionismo una delle sue caratteristiche peculiari, immaginavo quale fosse a grandi linee il suo modo di scrivere. Così come, una volta constatata la predisposizione di un’altra persona alla bontà, e al naturale relazionarsi con gli altri, e osservando la sua gestualità, immaginavo quale fosse la sua scrittura, e molto raramente, una volta osservati i suoi scritti, sbagliavo.

Ci doveva essere per forza di cose una parvenza di scientificità nella valutazione dei segni lasciati sul foglio, dato che avevo catalogato certe caratteristiche, e generalmente le mie valutazioni non si discostavano troppo dalla realtà dei fatti. E accanto ai miei studi, indirizzati a emulare la mia maestra elementare che tanto avevo ammirato in passato, erano presenti gli studi inconsapevoli di una materia di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza, la psicologia. Ma il mio impegno era indirizzato esattamente in quella direzione, e allo studio di un’altra materia allora sconosciuta, ma ad essa correlata. Il gioco antico e inconsapevole che facevo sulla spiaggia cagliaritana, era indirizzato anch’esso verso quella materia che verrà catalogata in seguito come una scienza sperimentale, la grafologia. 

Osservavo, quando possibile, gli scritti di persone famose o conosciute direttamente, dalla personalità certa, e correlavo quelle conoscenze, con i segni che lasciavano sui fogli, e pian piano le mie competenze in materia aumentarono, fino a catalogare infiniti parametri che mi risultavano evidenti, persino al primo, fugace sguardo. Non ero, però, in possesso di valutazioni atte a codificare esattamente tale lavoro, ma una considerazione mi veniva spontanea, e cioè che gestualità del corpo e soprattutto delle braccia e delle mani, corrispondevano alla gestualità necessaria alla funzione dello scrivere, più tardi altre valutazioni che allora non consideravo, mi avrebbero aiutato a codificare ancora meglio i segni lasciati sul foglio. Doveva pur esserci una correlazione tra loro, e mi impegnai a valutare con una parvenza di scientificità, i molti fattori che relazionavano tali azioni. In quel periodo raccoglievo in decine di cartelle gli scritti di persone conosciute o famose, di cui di queste ultime riproducevo la scrittura, ed ogni cartella conteneva scritti abbastanza simili tra loro, o con caratteristiche comuni, sia nello scrivere parole che segni. Mi allenavo, una volta venuto a contatto con una persona appena conosciuta, ad esaminare prima la sua gestualità, poi il suo carattere, ed infine immaginare quale stile di scrittura adottasse.

Una volta terminati gli studi cagliaritani, ed essendo abilitato ad insegnare nelle scuole elementari, cercai immediatamente lavoro, che non tardò ad arrivare, mi venne assegnata una cattedra, però, lontano da casa, e presi la decisione di non sprecare l’occasione, e attraversare il mare, in direzione delle marche, una regione di cui non immaginavo nemmeno lontanamente le caratteristiche. I giorni successivi furono dedicati a salutare gli amici di tante avventure, le mie conoscenze cittadine e paesane, tra cui la vecchia maestra, e i miei genitori e le mie sorelle. Sto compiendo un’azione che è la prima della mia vita, che pochi conterranei avevano avuto modo di eseguire, azione descritta ironicamente come lo sport preferito dai sardi, il salto del tirreno.

A bordo del piroscafo mi sembra di essere un pioniere, diretto verso mondi sconosciuti, ma affascinanti, verso la conoscenza di una regione che mi hanno descritta come molto più ricca e sviluppata della mia, con gente dalle caratteristiche completamente dissimili dal carattere dei Sardi, a cui mi sono abituato finora. E se sulla nave ho avuto modo di sentire varie lingue, ma sostanzialmente simili alla mia, il campidanese, più qualche altroa lingua parzialmente sconosciuta, una volta sbarcato a civitavecchia, mi sono sentito spaesato, e se pure parlavo in italiano, non tutti mi rispondevano a tono, e molti si esprimevano con dialetti per me incomprensibili.

Non voglio andare direttamente verso la regione che mi è stata assegnata, dato che ho ben una giornata di tempo libero, e mi dirigo verso roma, che ho sempre desiderato visitare, più di ogni altra città al mondo. Resto affascinato e stupito dalla maestosità dei vari monumenti, dalla larghezza delle strade, dalla grandezza fuori da ogni aspettativa delle piazze, dalle sue innumerevoli e affascinanti fontane, dalle strade lastricate in modo così particolare, e quando vengo a contatto visivo con i resti della sua antica civiltà, resto estasiato e perplesso, come può un antico popolo come quello Romano, autore di tante conquiste, che ha assoggettato tutto il mondo allora conosciuto, e aver lasciato tali bellezze architettoniche, essersi lasciato sgusciare dalle mani tanto potere?

Forza della storia in continua evoluzione, penso. Ma penso anche che la civiltà romana sia nata da altre precedenti civiltà, e a questo riguardo mi piace ricordare i miti raccontati dagli anziani, sulla civiltà nuragica shardana. Tutto è concatenato, tutto è una risultanza, e se è vero, come è vero, che gli antichi sardi hanno dominato in lungo e in largo sulla penisola, e oltre, anche le vestigia lasciate da roma provengono dalla civiltà sarda. Tutto quello che mi si presenta davanti agli occhi qui è maestoso, non ho più la capacità di valutare esattamente le giuste proporzioni, e quando vedo, per esempio, una costruzione in fondo alla strada che sto percorrendo, e decido di ammirarla da vicino, penso che in appena un quarto d’ora vi sarei arrivato, e invece è necessario il triplo del tempo per raggiungerla, tanto sono distanti le reali proporzioni da quelle che ho valutato. E accomuno la maestosità degli edifici romani, alla altrettanto maestosa imponenza dei nuraghi sardi.

Mi sembra che sto vivendo un’avventura fuori dal tempo reale, i miei occhi fanno fatica ad osservare e il mio cervello a catalogare, sono certo che se tornassi ancora in questa città, e ci tornerò di certo, di quello che ho visto oggi, una parte sarà dimenticata, troppe visioni che si rincorrono, troppe sensazioni mai provate prima, come una persona obbligata a scrivere rapidamente, e rincorrere sul foglio il corso dei suoi pensieri, molto più rapidi della sua capacità di scrittura. Mi sembra di notare qualcosa di indecifrabile tra la gente, una frenesia inspiegabile, discussioni che hanno come comune denominatore la politica; quando riesco a captare frasi qua e là, da diversi gruppuscoli di persone, mi rendo conto che l’argomento è sempre lo stesso: politica, solo politica, possibile che la gente in questa città non parli d’altro? E se nella mia isola è un argomento secondario, qui sembra che tutti siano direttamente coinvolti, anche se devo dire che un nuovo movimento, sta facendo proseliti anche nella mia terra. Ma qui si rasenta la paranoia, e sembra che le problematiche semplici del trascinare la vita alla meno peggio, come da noi, in questa città non siano degne di attenzione.

Anche quando entro in un’osteria, per rifocillarmi un po’, la musica non cambia, e allora, decido di abbandonare la città, che reputo splendida, e lasciarmi alle spalle quella gente dai discorsi monocorde e inconcludenti, gente che si trascina nella noia di argomenti già abbondantemente trattati, e dalla valenza che giudico superficiale e insignificante. Senza nemmeno andare a visitare piazza San Pietro, e dopo aver solo intravisto da lontano il tevere, mi dirigo verso la stazione, con l’intenzione di abbandonare al più presto quella città abitata da gente noiosa che non mette in campo fantasia, quando si tratta di decidere quali argomenti trattare. Scelgo di effettuare il lungo viaggio verso le marche a bordo di una corriera, che mi avrebbe portato direttamente a destinazione, abbandonando l’idea iniziale di servirmi delle ferrovie.

Trascorro tutto il viaggio in un continuo dormiveglia, spossato dalle lunghe camminate capitoline, del resto il primo tratto del viaggio non è molto dissimile dai paesaggi monotoni che offre il mio paese di origine. Quando termina la pianura mi sveglio per la prima volta, e mi riaddormento, un sonno leggerissimo che si interrompe spesso, intorno a me una miriade di colline, tanti alberi, qualche casolare, è un continuo addormentarmi e risvegliarmi fino a quando non vedo in lontananza montagne innevate, e la temperatura che sento è sensibilmente inferiore a quella che mi invogliava a riaddormentarmi. Strade contorte, qualche galleria oscura, e improvviso, il chiarore accecante della neve, proprio di fronte a me.

Sento che ci troviamo ad un’altezza rilevante, e le cime che vedo sono di un’altezza spropositata, mi domando come farà la corriera a superare ostacoli così ingombranti, e tra le ripide salite e qualche sporadica discesa arriviamo in un punto di ristoro, proprio quel che serviva per scacciare definitivamente quella sonnolenza fastidiosa e il senso di costrizione che accuso sulle gambe. Una volta finalmente fermata la corriera, l’autista ci dice che, come convenzione, il posto è considerato l’ombelico d’italia, una posizione che si potrebbe anche definire come una sorta di baricentro dello stivale. Quando ripartiamo, rifocillati, incontriamo ancora salite, ancora qualche discesa, neve dappertutto, una temperatura che invoglia a stare svegli. Si intravvedono, lungo le vallate, un’infinità di rigagnoli, seminascosti da alberi altissimi, di un’altezza così rilevante che supera di gran lunga gli alberi più grandi che ho visto nella mia terra che, se venissero accostati a loro, sembrerebbero poco più che arbusti. Qualche raro casolare lungo la strada stride tra il verde intenso di quella vegetazione incontaminata e fitta all’inverosimile, qua e là incontriamo qualche grande mucchio di legname pronto per essere trasportato a valle. Un paesaggio praticamente deserto, le poche auto che abbiamo incrociato sembravano uscite dal nulla, e dobbiamo ringraziare la perizia del nostro autista se non si sono verificati incidenti in quella strada troppo irta e troppo stretta.

Ma finalmente le grandi montagne terminano d’incanto, di fronte a noi possiamo intravvedere spazi più liberi alla vista, le grandi colline hanno preso il posto delle montagne, e il verde quello del bianco accecante della neve. Sembra di essere usciti da un ambiente inospitale, e la vista che quegli spazi sempre più aperti ci regalano, ci danno l’impressione che il grande viaggio sia quasi al termine, ma così non è, io sono diretto verso la cittadina di fermo, e fin quando non vedrò il mare in lontananza, non potrò dire di essere vicino alla destinazione finale. Le enormi colline, divengono sempre più piccole, e assumono una curiosa caratteristica mai notata da nessun’altra parte, la loro disposizione, prima disordinata e casuale, ora si indirizza verso una parvenza di disposizione geometrica sempre più lineare che risponde a qualche ordine imposto da chissà chi, col procedere della strada si indirizzano tutte verso la stessa direzione, disegnando fila rettilinee e parallele tra loro, come dei covoni verdi disposti da un contadino in vena di perfezionismo. E tra quelle fila di colline, in ciascuna vallata scorre un fiume, a volte di grandi dimensioni, più spesso simile ad un ruscello, ma con una caratteristica comune: sono tutti indirizzati parallelamente verso la stessa direzione, che non può essere che il mare.

Tra me penso che l’avventura non preventivata che mi ha costretto ad affrontare un viaggio così lungo e faticoso, volga al termine, forse avrei fatto meglio ad utilizzare il treno, ma ancora una volta mi accorgo che la meta è lontana, e la sofferenza di quella posizione scomoda che non mi consente di muovere le gambe per via della disposizione troppo ravvicinata dei sedili, dovrà essere sopportata ancora per molto tempo. Ma almeno gli occhi riescono a godere di paesaggi più rilassanti e vari, in cima alle colline, sempre più spesso, si notano piccoli borghi, poi sempre più numerosi e di dimensioni maggiori, il verde delle colline ora si mischia ad altri colori, determinati dal lavoro dei contadini, pian piano aumentano le aree di colore giallo, in lontananza non riesco a capire di quali coltivazioni si tratti, presumo siano coltivazioni di girasoli; si affacciano alla mia vista aree piantumate, forse da alberi da frutto e qualche raro vigneto. Poi mi si presentano di fronte disastrose visioni di intere colline sventrate da non so cosa, il compagno di viaggio che ho al mio fianco mi informa che quegli scherzi non sono stati causati dall’uomo, ma dalla natura, si chiamano calanche e sono caratteristiche di questa regione.

Infine ci immettiamo in una grande vallata scavata da un fiume che sembrerebbe molto più importante degli altri, il tenna, e, a ridosso dello stesso, la percorriamo completamente fino ad arrivare finalmente alla mia destinazione: la caratteristica cittadina dall’aspetto medioevale di fermo. Gli abitanti di questa zona, mi dicono, hanno sempre dato grande rilevanza a questo fiume: se i Romani hanno il tevere, loro hanno addirittura il tenna! Storicamente, qui e in tantissime zone italiane, i fiumi che attraversano le varie zone, hanno avuto grande importanza per il progresso della popolazione, per i trasporti, per il relazionarsi, per quel senso di appartenenza che crea nella vallata, accomunati da economie simili, che così sente una sorta di vicinanza.

Anche il mio paese è stato costruito a ridosso della confluenza di due fiumi, e questo fatto non può essere dettato dal caso. In questa zona, appartenuta per lunghi tratti della sua storia, allo stato pontificio, sono presenti tante belle chiese, e monasteri, un’economia antica che non ha mai fatto a meno di avere rapporti stretti con la chiesa romana. Al primo impatto con la cittadina, sento una sorta di aria clericale, diffusa e ingombrante, così densa che mi sembra impregni ogni luogo e persino le persone; le strutture ecclesiastiche sono posizionate nei luoghi più caratteristici, o meglio difendibili, dato che in passato guerre e dissidi erano frequentissimi, e anche allora, come oggi, chi detiene il potere sceglieva i luoghi più funzionali allo scopo. Però la cittadina mi attira, con le sue viuzze mai in piano, ambienti che trasudano storia persino nelle zone presumibilmente abitate da povera gente, quegli oscuri viottoli lastricati, che all’improvviso, percorrendoli fino alla fine, mi rivelano improvvisamente paesaggi immersi nel verde della campagna sottostante.

L’alta e irta collina su cui è stata edificata la cittadina assomiglia in modo impressionante a quella che accoglie San Marino, vista in tante caratteristiche foto negli anni dalla scuola. E quando, percorrendo a caso quei viottoli, mi imbatto in una piazza, resto entusiasta della semplice bellezza architettonica degli edifici che la circondano, noto un senso di organicità in quelle costruzioni, seppure costruite in tempi diversi e derivate da progetti elaborati da persone diverse, una pulizia formale che la rende bella alla vista, quasi completamente circondata da massicci porticati, d’ora in poi la chiamerò “la bomboniera”. In qualche maniera, però, si distingue il palazzo monumentale del municipio, costruito in epoca rinascimentale. E’ una cittadina scomoda, ma affascinante da percorrere, con quelle salite intervallate da ripide salite, e scivolose discese, una cittadina costruita, mi dicono, sul monte sàbulo, di cui ignoro il significato o la derivazione del nome. E se prima, la mia vista si schiudeva su collinette verdi, ora, dall’altra parte della cittadina, improvvisamente mi appare il mare, il cui colore imprecisabile in riva, si dipinge di un azzurro sempre più intenso man mano che ci si allontana dalla costa.

Mare, colline, alte montagne in lontananza, la vallata del tenna, che dà a quella piccola fetta di paesaggio una parvenza di pianura, un paesaggio di una bellezza indescrivibile che non si fa mancare nulla. E chiese, chiese dappertutto, oratori, antichi monasteri, edifici ecclesiastici in successione, sembra che la gente, qui, in passato, avesse occhi e orecchie solo per la religione. E quando mi trovo di fronte alla massiccia cattedrale, penso che probabilmente, all’atto della sua costruzione, l’architetto abbia esagerato nelle dimensioni, in rapporto alla popolazione che al tempo, nel milleduecento, non doveva presumibilmente contare un numero di residenti così elevato da giustificarne la imponenza Una cittadina costellata da splendidi edifici, musei e l’importante palazzo di giustizia. Una cittadina che sembra aver conservato nella sua interezza lo spirito che aleggiava nel medioevo.

Quando, chiedendo indicazioni, arrivo al bel palazzo che ospita le scuole elementari, mio futuro luogo di lavoro, mi attivo alla ricerca di un alloggio in zona. Mi imbatto in un’osteria, proprio quel che ci voleva per riposarmi dalla lunga camminata, resa necessaria per smaltire il senso di costrizione che mi ha perseguitato nella corriera per troppe ore, e la valigia che porto, ormai, sembra farsi sentire più del dovuto. Entro e mi accomodo in una panchina a ridosso di un tavolino, e ordino all’oste un quarto di vino, prontamente servito. Mi si avvicina a quel punto uno spilungone dall’aria strana, capelli lunghi e parzialmente canuti, arruffati, vaporosi in maniera disordinata e per nulla curati, come del resto conferma l’aspetto generale, una sciarpa al collo, grossa in maniera eccessiva, barba non troppo lunga, ma incolta, si siede al mio fianco senza dire una parola, mi guarda in faccia con occhiate profonde e aria indagatrice, con uno sguardo così profondo che crea imbarazzo. Appena ho in mano il bicchiere di vino, come per stemperare la tensione, gli chiedo se per caso ne gradirebbe uno anche lui, la risposta non arriva subito ma è affermativa.

Il suo unico sorso azzera il contenuto del bicchiere, e solo allora si degna di prendere la parola, e mi dice di essere a disposizione per qualunque consiglio o suggerimento mi sia utile. Lo ringrazio e gli chiedo dove potrei trovare una stanza per alloggiare. “Quassù”, mi risponde, indicandomi una stretta scala che si inerpica verso il piano superiore, il caso mi ha portato nel posto giusto. Prendo accordi con l’oste e il problema è risolto completamente, in quanto avrebbe provveduto lui stesso anche per il vitto e per tenere puliti i miei vestiari, e la stanza. Due giorni dopo avrei preso possesso della mia prima cattedra di insegnante elementare. Mi congedo da quella enigmatica persona di cui non conosco nemmeno il nome, che mi ha tenuto compagnia, non prima però, su sua richiesta, di avergli offerto un altro boccale di vino.

L’impegno che mi attende il giorno successivo è quello di prendere accordi con i dirigenti scolastici, poi riprendo il cammino interrotto il giorno prima per stanchezza, e vado alla ricerca di nuovi edifici che attirino la mia attenzione, o per scoprire scorci interessanti. Quando arrivo nella parte più alta della cittadina, la visito accuratamente, fino a scorgere ancora una volta paesaggi che dall’alto sembrano irreali, avvolti parzialmente dalla nebbia, ma non vedo costruzioni sottostanti, incuriosito, mi sporgo appoggiandomi su un robusto muro basso che delimita quello spazio, a quel punto mi appare un precipizio verticale molto rilevante, e quando chiedo a un signore che sembra non abbia nulla da fare in che zona mi trovi, vengo informato che siamo all’interno della inespugnabile rocca medioevale. Anche quella zona abbonda di chiese, come gli altri quartieri, mi dicono che sono presenti in città ben sei o sette chiese risalenti al milleduecento, più un’altra decina di chiese edificate in epoche successive, ma in rapida successione, oratori e conventi, altri edifici ecclesiastici, penso tra me che un popolo così devoto deve per forza di cose avere già in serbo un posto in prima fila in paradiso.

Il signore senza impegni pressanti, mi consiglia di visitare, dopo la cattedrale, la chiesa di San Domenico, anch’essa edificata nel milleduecento, e contenente al suo interno molti affreschi realizzati uno o due secoli dopo, e di non dimenticarmi di ammirare la reliquia più importante di fermo, quella che la tradizione vuole sia una spina della corona che il Cristo portò fino al calvario. Mi informa anche che in città esiste un bel teatro, chiamato dell’aquila. Mi rendo conto che il destino mi ha condotto in un posto particolarissimo, un ambiente che trasuda storia dappertutto, e se il sito mi affascina, ora devo per forza di cose fare la conoscenza con la sua popolazione, che immagino sia pia e devota fino all’eccesso. Non tanto per dissetarmi o rifocillarmi, ma per avere altri, estemporanei contatti con la popolazione, mi accomodo su una sedia a ridosso di un piccolo tavolino in legno, posizionato all’esterno di un’osteria, a fianco di altri tavolini occupati da gruppi di persone intenti a discutere a voce alta, avrei così appreso il loro modo di ragionare e i loro argomenti preferiti. Con disappunto entrambi i gruppetti parlano di … politica … ancora …

Mi chiedo cosa stia succedendo in italia di così coinvolgente, so per certo che un nuovo partito politico sta destando curiosità e interesse, fondato da una personalità proveniente dalle fila del partito socialista, un giornalista che si è fatto conoscere con articoli pubblicati sul suo organo di stampa, l’avanti. E le rivendicazioni degli operai assumono pian piano carattere di globalità in tutta la nazione, al nord si lotta contro le scelte discutibili degli industriali, mentre al sud cresce il malcontento nelle campagne. Due anni prima fecero parlare di sé avvenimenti scaturiti dalla serrata generalizzata delle fabbriche da parte dei padroni, a cui seguì lo sciopero generale degli operai, spalleggiati soprattutto da un giornalista e attivista politico, anche lui facente parte dello stesso giornale, una persona di cui avevo sentito parlare in sardegna, particolarmente apprezzato perché nostro conterraneo, ma residente nella culla delle grandi industrie italiane, torino. Se voglio sentire notizie politiche o impressioni sulla stessa materia, non ho problemi e basta tendere l’orecchio e il gioco è fatto, ma a me interessano altri argomenti riguardanti la cittadina, e i suoi abitanti, che mi vengono forniti solo se richiesti.

Ed ecco materializzarsi una figura conosciuta, lo spilungone del giorno prima, evidentemente in giro alla ricerca di qualcuno che gli offra da bere, appena mi vede seduto al tavolo mi si avvicina, e senza proferire parola, si siede accanto a me. Chiamo l’oste per accontentare il suo probabile desiderio, lui ordina un’enorme tazza di latte, con aggiunta di qualche goccia di caffè e acquavite.
“Come ti chiami?” gli chiedo.
“ Chiamami Lupo solitario, o qualunque nome ti faccia piacere, per me è indifferente”, è la sua enigmatica risposta.
Per una volta non mi ha risposto con monosillabi.
“Bene, il nome mi piace” rispondo, “Io mi chiamo Gavino”.
Mi chiede se sia originario della sardegna, dove questo nome è molto diffuso. Mi chiedo dove abbia carpito quella notizia, dato che reputo che i suoi contatti con miei conterranei siano improbabili, come immagino che siano frammentari anche i contatti con i suoi concittadini, e non dà certo l’aria di essere particolarmente colto.

Ma passo alle domande che mi stanno a cuore porgli, e con la grande tazza del latte in mano diventa improvvisamente loquace, le sue dissertazioni partono da molto lontano, mi spiega che la cittadina è antichissima, cosa di cui non dubitavo, ed era una colonia molto rilevante già in epoca romana, il suo nome era firmum picenum, da cui il nome attuale, mi informa che se voglio vedere vestigia di quel tempo, potrei visitare le cisterne romane, a dimostrazione del fatto che i Romani erano maestri nel settore idraulico. Mi elenca uno per uno i nomi delle chiese e degli oratori, tra me penso che il calendario dei santi è quasi al completo, le opere d’arte presenti, una dettagliata storia della cittadina, dilungandosi soprattutto nel periodo medioevale; dove abbia preso tutte quelle notizie è un mistero per me, mi dovrò ricredere in seguito di aver giudicato in maniera approssimativa una persona dalla grande cultura, che dimostra anche quando si tratta di affrontare altri temi o commentare avvenimenti. Mentre parla a ruota libera, mi risulta simpatico il suo modo di esporre le cose, chiaro, esaustivo, e dalla dialettica coinvolgente, lo ascolto con interesse anche quando mi racconta la sua vita, e i suoi orientamenti politici, un argomento che lo appassiona in modo particolare, anche lui…

Possibile che da quando sono partito dalla mia terra, non debba sentire parlare d’altro che di questo argomento, che non mi ha mai interessato? Penso tra me che sarà la mia condanna da espiare in cambio del lavoro trovato in modo così rapido. Ma le sue dissertazioni in materia mettono in evidenza una preparazione superiore alla media, è in possesso di idee particolari e poco diffuse, mi confida di essere un anarchico convinto, e di aver scelto una vita così dissimile dai suoi concittadini, perché li reputa non in grado di contrastare le sue teorie, e il suo scopo è conoscere gente nuova nella speranza di trovare interlocutori validi. Mi risulta un po’ presuntuoso, ma per me questa non è una caratteristica completamente negativa, se supportata da cultura e idee personali non scopiazzate e infarcite da luoghi comuni, mi viene in mente che il nome che mi ha proposto per la sua persona sia stato analizzato attentamente, e mi risulta azzeccato. Però anche lui, come gli altri, ama parlare troppo di politica, un argomento che mi annoia, anche se ritengo che il momento che sta vivendo la nazione sia particolare e foriero di sviluppi imprevedibili. Mi illustra gli scioperi generalizzati in tutta la nazione, il difficile cammino che gli operai e i braccianti agricoli stanno intraprendendo, alla sua ammirazione per il mio conterraneo, di cui ha letto tantissimi articoli, sia sull’avanti, che su altri giornali; mi dice che si trova bene con me perché sono il primo conterraneo del giornalista, con cui viene a contatto, e che ammira in modo particolare; spero di non deludere le sue aspettative.

Mi dice che, nonostante fermo sia trapuntata da innumerevoli luoghi di culto, non reputa i suoi concittadini particolarmente bigotti, semmai ha altri appunti da contestare loro, specie in ambito politico e sociale. Mi invita a pranzo a casa sua, non prevedevo certo una simile eventualità, ma accetto di buon grado. Mette sul fuoco uno spezzatino che in fase di cottura emana un simpatico aroma di aceto, e sul tavolo un bottiglione di vino nero e un po’ di insalata, poi apre gli sportelli di un armadio dalle dimensioni importanti, mi aspetto di vedere stoviglie o non so che altro, ma resto stupito alla vista di una colossale montagna di giornali, e qualche libro. Mi spiega che per lo più sono stati racimolati qua e là, e ogni articolo di carattere politico e sociale spulciato attentamente. Mi sono sempre piaciute le persone particolari, ma la sua personalità è così spiccata che mi risulta persino ingombrante, se continuerà il mio relazionarmi con lui, non sarà certo in tranquillità, o per parlare di luoghi comuni, e dovrò adeguarmi alle sue dissertazioni poco convenzionali. Parla continuamente del mio conterraneo, i suoi articoli lo appassionano, e seppure le due visioni politiche e sociali differiscono sensibilmente, mi dice che il suo anarchismo è stemperato da concezioni socialiste che ha sempre avute.

L’ingombrante armadio pieno come un uovo, mi ricorda un mio mobile dove stipavo quantità industriali di manoscritti, a convalida delle mie teorie sullo studio dei segni lasciati sui fogli. Gliene parlo, e mi dico curioso di analizzare la sua grafia, al che lui non ha problemi di sorta, anzi va in direzione dell’armadio ed estrae un fascicolo che sottopone alla mia attenzione: si tratta di articoli pubblicati da un francescano suo conterraneo, che sta cercando di rendere scientificamente plausibili le sue originali conclusioni riguardo a una materia completamente nuova, quella della grafologia. Mi rendo conto di essere di fronte a una persona dagli innumerevoli interessi, portati avanti con competenza, d’ora in poi, quando parlerà di qualsiasi argomento, dovrò pensare che le sue parole non saranno buttate giù a caso, ma correlate da informazioni dettagliate. Non avrei mai immaginato che la mia predisposizione all’analisi dei segni fosse in qualche modo condivisa da altri, per di più dalla esperienza nettamente superiore alla mia, e i suoi articoli, e i libri pubblicati, sono già conosciuti in zona da qualche appassionato; stanno uscendo in questo periodo le sue pubblicazioni scientifiche su un giornale bolognese, di cui il mio amico ha la raccolta completa; il Lupo solitario è tale solo in relazione alle persone, non certo quando si tratta di assimilare concetti emergenti, una persona che volge il suo sguardo al futuro, appassionato di argomenti poco conosciuti e dibattuti, con una cultura impensabile se paragonata al suo aspetto dimesso, ma che, con quei capelli arruffati e i modi di fare sembra piuttosto un intellettuale con cui è problematico ogni confronto.

Mi dice che più della grafologia, gli interessano argomenti in qualche modo correlate ad essa, quelli evidenziati da una nuova scienza che si sta facendo largo, la psicologia. Infatti la quasi totalità dei libri posseduti trattano quell’argomento. Sono curioso di informarmi sui due argomenti, e gli chiedo se possa prestarmi le collezioni complete, e manoscritti di altri autori, si dimostra molto restio a quella eventualità, ma mi dice che se un favore del genere fosse stato espresso da chiunque altro, avrebbe rifiutato sdegnosamente, ma dato che si tratta di un favore che può fare a me, acconsente. Dopo l’ottimo spezzatino, e dopo aver consumato tutto quello presente in tavola, lo saluto e, con un voluminoso pacco tra le mani, mi accingo a rientrare alla mia stanza, ho una frenesia incontrollabile di leggere argomenti che mi appassionano così tanto, anche se ormai la voglia di intensificare le mie relazioni col Lupo si fa altrettanto pressante. Appena apro la porta della mia camera, mi accorgo di non aver soddisfatto il desiderio di osservare la grafia di Lupo, ma poco male, spero che si presentino ancora tante occasioni per questo.

La sera non esco, ho troppa voglia di venire a contatto con l’autore che diventerà presumibilmente il mio preferito, e divoro decine di articoli. Le conclusioni che prospettano i giornali sono abbastanza in linea con le mie, riguardo per esempio la scrittura più o meno rotondeggiante, il carattere dalle dimensioni più o meno importanti, l’orizzontalità delle linee tracciate, e tanti altri elementi, primo tra tutti la pressione che si esercita sul foglio. Ma acquisisco tanti altri parametri da valutare, avevo intuito che, per esempio, doveva avere una certa importanza valutare quanto spazio si lascia a destra e a sinistra del foglio, ma non avevo capito che ha rilevanza anche la disposizione in diagonale delle aste, che possono essere più o meno trasversali, più o meno indirizzate a destra o a sinistra. Essendo digiuno in materia di psicologia, scienza nuova per me, dagli scritti che sto analizzando risulta evidente che le teorie del giornalista, fanno leva su quella materia, è anche allo studio di psicologi appassionati di grafologia, un altro modo di interpretare i segni, in particolare si specifica che buona parte delle teorie poggia le basi su un concetto che sento oggi per la prima volta, il complesso di Edipo.

Dovrei allora cercare qualche articolo che specifichi le problematiche insite in tale concetto, e perdo tanto tempo alla ricerca di un articolo esaustivo, e quando finalmente trovo una sorta di spiegazione la divoro cercando anche di leggere tra le righe, ma ricevo una grossolana infarinatura sull’argomento, dato che l’autore ne parla come rivolto a persone che ne hanno già assimilato i concetti basilari. Se non troverò pubblicazioni che facciano al mio caso nell’armadio di Lupo, dovrò per forza di cose acquistare libri che ne parlino dettagliatamente. Ma confido nella buona sorte, ricordando che il mio amico mi aveva detto che la quasi totalità dei suoi libri trattano di psicologia, materia dalla quale deriva il concetto. Ho urgenza di contattare Lupo, vado a casa sua, e naturalmente non c’è, faccio un giro tra i posti che potrebbe frequentare, ma niente, quando è lui a cercare me mi scova facilmente, mentre io al contrario non ho quella fortuna. Mi rendo conto che sto perdendo tempo inutilmente, e rientro alla mia camera, un po’ di lettura, la cena e il riposo indispensabile per gli impegni da insegnante che mi attendono il giorno dopo.

Il giorno successivo arrivo a scuola un po’ in anticipo, vorrei fare la conoscenza almeno di una parte dei colleghi, qualche rapido scambio di battute, ed inizia il mio primo giorno da insegnante, in compagnia di alunni che, anche loro, vivono l’avventura del primo giorno di scuola, infatti mi viene affidata una prima elementare, il mio compito sarà quello di accompagnarli fino alla quinta dando loro solide basi per un corretto stile di vita e formazione culturale, un compito che trovo delicato e impegnativo, ma confido nella preparazione che ho ricevuto nella mia terra, preparazione che reputo di ottimo livello. Ho dalla mia, inoltre, un ottimo esempio di insegnante, la mia maestra elementare, che ho sempre ammirato per la sua disponibilità, per il suo relazionarsi con gli alunni, facendo sentire il meno possibile che esistevano dei gradini tra noi, per la sua innata sensibilità, un esempio che spero di duplicare nella maniera migliore. Dovrò anche fare uno sforzo per assimilare parole dialettali o espressioni comuni, dato che quasi tutti i bimbi sono stati abituati ad imparare solo qualche parola italiana, e non vorrei dare loro l’impressione che voglia imporre questa lingua. E dovrò fare uno sforzo per imparare velocemente i loro nomi.

E il mio impegno lavorativo termina senza che mi sia pesato eccessivamente, e rientro a casa impaziente di proseguire il lavoro di ricerca che ho iniziato, ma dopo un po’ decido di uscire nella speranza di incontrare Lupo, è inutile acquisire concetti se non si sono metabolizzate alla perfezione le regole portanti della materia. Due ore in giro non sono bastate per incontrarlo, quando invece a lui fa comodo incontrare me, sa alla perfezione dove trovarmi, ma il cammino che ho intrapreso alla sua ricerca mi ha fatto conoscere scorci interessanti della cittadina, mi piacciono soprattutto le vedute con orizzonti aperti che si possono ammirare dalla parte alta, dalla rocca e dalla cattedrale. Ma non dispiacciono nemmeno i viottoli angusti le cui case sono state costruite dalla gente povera, rispecchiano più di altre zone, il presumibile aspetto medioevale. Quando decido di fare una sosta in un’osteria, eccolo presentato il mio ricercato, il solito aspetto trasandato, nessuno scambio di saluti con gli avventori suoi concittadini, non si guarda nemmeno intorno ed eccolo seduto di fronte a me, un minuto dopo ha in mano il suo tradizionale boccale da un quarto che risulta vuoto tre secondi dopo, dovrò abituarmi ad ordinare una misura da litro, certo che il contenuto non verrà disperso.

Mezz’ora dopo ho in mano quattro libri di psicologia che sono sicuro che spulciano più o meno compiutamente l’argomento che mi sta più a cuore, dato che sono stati scelti con una certa pignoleria dal mio amico. In particolare uno di questi libri mette in risalto aspetti psicologici correlati con la grafologia, Lupo me ne legge qualche stralcio, ma mi consiglia di leggerlo per ultimo in quanto è più conveniente assimilare concetti psicologici, prima di avventurarmi a trovare correlazioni con la grafologia. Naturalmente seguirò il suo consiglio, e mezz’ora dopo sono intento ad assorbire la teoria del complesso di Edipo. “Divoro” i primi tre libri in due giorni, ma rileggo le parti che mi interessano maggiormente più volte, cercando anche di leggere tra le righe, per essere sicuro di aver assimilato l’argomento, ma mi rendo conto che la materia è interessante, a prescindere dai miei obiettivi di studio, e sarebbe bene studiarli tutti, e non solo qualche parte di essi. Ho ben chiaro ormai il concetto che associa la teoria con le espressioni grafiche che ho intenzione di valutare, anche se certi concetti erano già stati acquisiti da me in maniera poco scientifica.

Avevo intuito che la parte sinistra del foglio, e gli spazi lasciati prima di scrivere, e altri segni, potevano avere una qualche correlazione con l’antico, col passato, con l’inizio, persino con la regressione, ma mai avrei immaginato che avesse attinenza con la figura materna, assimilo senza resistere questo concetto che trovo non faccia una grinza, una scoperta illuminante che mi apre spiragli inattesi. Il testo, inoltre, specifica altre caratteristiche che trovo non siano dettate da conclusioni automatiche, evidentemente i miei studi sono immensamente frammentari se confrontati con i risultati elaborati dall’autore, si parla infatti di aspetti negativi quali la predisposizione all’introversione, alla repressione caratteriale, al narcisismo e all’egoismo; intuisco, prima ancora di leggere la parte riguardante la figura paterna, che le caratteristiche che verranno descritte, andranno in direzione opposta, sto acquisendo concetti significativi, ma sono ad un bivio: lasciarmi trasportare da quelle teorie, ed accettarle supinamente, o svolgere un mio lavoro personale per verificare se i riscontri a cui giungerò io saranno compatibili con quelle teorie.

Decido di non andare oltre nella lettura, voglio metabolizzare alla perfezione i concetti acquisiti, e analizzare se quegli aspetti negativi descritti, coincidono con le mie conclusioni, confrontandoli con alcuni esempi di scrittura che mi sono portato dalla sardegna, estrapolati dalle varie cartelle; infatti da ciascuna cartella riempita in maniera organica, ho portato con me alcuni fogli, per me significativi. E ricordando gestualità e carattere di alcune persone, ed avendo i loro scritti a disposizione, posso valutare se le conclusioni dell’autore risultano corrette e abbiano una certa relazione con le mie esperienze. Di una cosa, però, sono certo, e cioè del fatto che l’autore ha trattato molto più di me l’argomento in maniera prettamente scientifica, mentre io arrivavo a conclusioni non suffragate da alcuna teoria, frammentarie e che non esaurivano il concetto espresso, un lavoro disorganico con solo qualche attinenza con l’argomento trattato. Mi rendo conto che la materia con cui mi dovrò confrontare è complicatissima, da un lavoro giocoso, passare a un impegno scientifico, mettere in relazione una teoria della quale fino a qualche giorno fa non conoscevo l’esistenza, con un’altra che, ora mi rendo conto, ho studiato finora in maniera superficiale; è un lavoro dagli obiettivi fumosi, con riscontri dettati da intuizioni che di scientifico hanno solo qualche elemento, un lavoro che dovrà tener conto di impressioni o intuizioni, poco concreto e molto aleatorio.

Ma le nuove scienze, e finanche le espressioni artistiche di questi primi anni del novecento sono indirizzate verso sperimentazioni, nate da intuizioni o persino da sogni, dal lasciar libero il cervello di spaziare dappertutto desideri, con problematiche sociali in trasformazione, con il nuovo pensiero in progresso, con rivendicazioni operaie nate da concetti e spesso non derivate da dati concreti, la realtà che spesso lascia il posto all’inventiva, teorie che nascono da supposizioni, figure mentali che prendono il posto di realtà concrete. Ecco i campi verso i quali dovrò indirizzarmi se voglio ottenere dal mio lavoro risultati concreti e al passo coi tempi. L’inventiva, la creatività, l’apparente e l’irreale, la fantasia e l’ispirazione, l’aspirazione ad analizzare l’anima, e confrontarla con problematiche legate al corpo, concezioni nuove nate dalla mente e non da fatti reali. Ma nessun pensiero può essere disgiunto dalle esperienze passate; se viene spontaneo, ci deve essere un motivo, sia esso una frase sentita in passato, o un’esperienza vissuta direttamente. Congetture che portano a conclusioni a cui i meno avvezzi a ragionare col pensiero nuovo, troveranno elementarmente evidente che non sussiste alcuna attinenza con la realtà.

Ma la realtà esiste, e bisogna tener conto di un mondo in trasformazione, l’abbandono parziale di una civiltà contadina che ha resistito per millenni; nascono da realtà artigianali vere e proprie fabbriche, gli operai e il mondo ad essi collegati, alla ricerca di nuove strategie per non soccombere al nuovo ordine delle cose, la nascita di una società capitalista che vorrebbe tenere per sé la maggior parte del ricavato dal lavoro dell’uomo. Un nuovo mondo di continui contrasti, di rivendicazioni spesso attuate con la forza dei numeri, scioperi e anche scioperi al contrario, che sarebbero le serrate decise dagli industriali, disordini sedati con la mancanza di fantasia che spesso il potere non riesce a mettere in campo, e cioè senza concertazione e confronto, ma con il più immediato e “facile” ricorso alla forza dei soldati. Idee socialiste nate dalla considerazione che il mondo, specie quello del lavoro, è in rapida trasformazione, e ha bisogno di teorie per contrapporsi al sempre più imperante strapotere del capitalismo; nasce da una costola del movimento socialista, fondato dal giornalista mio conterraneo, una nuova concezione socialista, più avanzata, più al servizio dei lavoratori, se vogliamo più radicale, il partito comunista. Nasce il suo organo di stampa, l’unità.

E nasce ancora un’altra forza, più concreta e realista, il cui esponente di maggior spicco è il collega dei tempi andati del mio conterraneo, avendo entrambi lavorato per quella fucina di idee che è il quotidiano dell’avanti. Due ragionamenti, partiti dalle stesse posizioni, che pian piano si sono divaricate, contrasti derivati inizialmente dal problema dell’interventismo o meno riguardo alla partecipazione all’ultima guerra che l’italia ha combattuto, teorie entrambe indirizzate al bene degli operai, si sono drammaticamente scisse in due tronconi incompatibili, il mio conterraneo fermo sui principi che hanno sempre indirizzato il suo pensiero, l’altro capace di approfittare delle nuove tematiche che la storia metteva in campo. La rigidezza morale contrapposta al raziocinio della flessibilità, l’intelligenza teorica contro quella politica, la pulizia morale contro la concretezza in via di trasformazione, pronta ad approfittare di ogni occasione favorevole. La loro naturale trasformazione da giornalisti a politici, e la conclusione più logica di questo scontro di intelligenze non può essere che la conquista del potere da parte di uno di loro, ma chiunque dei due avesse prevalso, avrebbe dovuto tenere bene a mente che il contendente più pericoloso sarebbe stato proprio l’ex collega di giornale. Ha prevalso la concretezza, con una prova di forza messa in atto nella capitale ha ottenuto due giorni dopo il controllo del paese, finalmente al governo! Ma l’intelligenza dimostrata non è stata una casualità, e derivava da azioni messe in atto anni prima, con la costituzione di un movimento che aveva caratteristiche che si ispiravano a concetti militari, e che due anni dopo si trasformarono in un vero e proprio partito politico, quello che gli avrebbe consentito di prendere il potere.

Lupo mi dice che tra i primissimi appartenenti a quel movimento, seppure lui stesso fosse già indirizzato verso concezioni anarchiche, c’era anche lui, ma pan piano il suo pensiero si è indirizzato verso le tematiche espresse dal mio conterraneo. Differenze sostanziali riguardo alla gestione della cosa pubblica, il mio conterraneo coi pensieri rivolti alla povera gente, con azioni che prevedevano solo decisioni democratiche, il secondo, grande trascinatore di folle e politico di razza, attento all’economia e a non pestare i piedi a categorie di persone che sarebbero state utili in seguito, con risoluzioni personali. Però la sua formazione socialista fa parte integrante della sua personalità, e almeno per i primi tempi è stata tenuta ben presente, influenzando la sua personalità politica, e quando, ancora due anni dopo, ha vinto le elezioni in un clima di pesante violenza creata dai suoi sostenitori, decide in cuor suo che approfitterà degli eventi per prendere decisamente il potere, attuando altre prove di forza per trasformare la nazione a suo piacimento, strategie decise per tempo e che evidenziano lungimiranza. E’ in questo clima politico che stiamo vivendo i nostri giorni, ma la vita scorre tranquilla, si lavora e si dà grande valore alle produzioni, la gente segue in modo appassionato il suo condottiero, e dà scarsa rilevanza alle istanze dell’opposizione. Io che non mi sono mai occupato di politica, ritenevo che l’argomento di cui tutti trattavano, fosse secondario; davo grande importanza prima di tutto ai miei studi, stavo costruendo così il mio futuro, in un settore, quello del relazionarmi con giovani vite, che mi appassionava molto di più della politica, poi con l’immediato lavoro che mi consente una tranquillità economica, ottengo il rispetto della gente, in quanto un insegnante occupa un posto di rilievo nella società attuale. 

Un lavoro non faticoso, in primis sotto l’aspetto di dispendio di energie fisiche, ma nemmeno sotto altri aspetti, perché il lavoro che faccio mi piace e mi fa volare il tempo, a contatto di bambini che non chiedono altro che di assorbire cultura, e imparare come stare al mondo. Un impegno che mi lascia tempo ed energie mentali per dedicarmi alla mia grande passione. Pian piano la gente cerca il contatto con me, primi tra tutti i genitori dei miei alunni, e mi accorgo che, nonostante la mia amicizia con un perfetto antisociale che risponde al nome di Lupo, malvisto ed evitato da tutti, la considerazione di cui godo man mano che passa il tempo aumenta sempre più. Mi faccio nuovi amici, ma il mio relazionarmi con l’anarchico non subisce modifiche, e se la gente cerca il contatto con me, io cerco di trascorrere il mio tempo con la persona meno rilassante che conosco: proprio lui! Ci sorprendiamo a discorrere di politica, il cancro che mi vuole trasmettere, e delle nuove frontiere che la psicologia apre in questi anni, di cose astratte eppure così importanti per la personalità di ciascuno di noi, tanto più che le conoscenze che acquisisco mi sono utilissime quando metto in atto un approccio che diventa sempre meno convenzionale con i miei alunni.

Prendiamo in considerazione la realtà del mondo attuale, in continua trasformazione, l’industrializzazione, le spinte che investono il mondo dell’arte, concezioni che invitano alla dinamicità, alla costruzione di un futuro con problematiche inimmaginabili solo un decennio fa, alla trasformazione di ogni realtà produttiva e del pensiero, un mondo che per forza di cose risulta proiettato verso il futuro. Persino il mondo contadino, di per sé ancorato a concezioni arcaiche, non è esente da questi cambiamenti. E la politica rende tutto più effervescente, diventa un volano per immaginare nuove strade, anch’essa in evoluzione, fatto strano se confrontata con i decenni trascorsi, che concepivano il pensiero politico quanto di più lontano dalla parola avanguardia. Ma se con Lupo siamo in sinergia quando si trattano argomenti tra i più disparati, con analisi a tutto tondo, veniamo in contrasto quando si parla di politica. Di qualsiasi aspetto che tratti di politica. Eppure, se pure immagino una formazione culturale fondamentalmente dissimile tra noi, le conclusioni che traiamo sugli argomenti trattati spesso coincidono, in antitesi col suo approccio generalmente in controtendenza verso chiunque altro. Ma, a differenza del sottoscritto, lui ama parlare di politica, io evito l’argomento finché posso, ma essa è generalmente lo sbocco naturale di ogni discussione, e dissertazioni iniziate in sinergia si trasformano alla fine in scontri accaniti tra due correnti di pensiero incompatibili.

Io difendo scelte governative che giudico funzionali al progresso economico, culturale e formativo del nostro popolo, con una cultura dominante che mira a dare prestigio alla nostra nazione, sotto tutti i punti di vista, apprezzo gli sforzi per dare autosufficienza economica, lavoro per tutti, la ricerca del predominio militare, inteso non come atto ad offendere, ma per creare rispetto, il cercare presupposti ad una valenza dominante in campo artistico, a rincorrere un progresso demografico, anch’esso finalizzato a conquistare rispetto, e in ultima analisi a creare un sentimento comune di nazione, azzerando quanto più possibile le innegabili disparità storiche e culturali presenti nel nostro territorio. E il mio impegno scolastico mira a tutti questi principi, approvo e pubblicizzo fattivamente ogni scelta del governo, mi sento impegnato in un progetto globale, nel mio piccolo ruolo, per rendere più potente la nazione a cui mi onoro di appartenere in ambito mondiale. E la gente apprezza il ruolo che mi sono ritagliato, l’impegno verso i loro figli, apprezza la mia disponibilità ad assecondare un progetto di nazione che mira addirittura a dominare il mondo, uno sforzo, il mio, in sinergia con milioni di persone, accomunati dallo stesso fine, un obiettivo a lunga scadenza, si, ma che porta anche benefici immediati. Quando si entra nell’ordine di idee di essere parte di un progetto, e lavorare attivamente per esso, ci si sente importanti, la strada che ho scelto mi gratifica, e, do volentieri il mio piccolo contributo che a questo punto considero vincolante.

Naturalmente il mio amico non la pensa così, parte dall’assunto che un sistema politico che, secondo lui, mira alla dittatura, non può essere positivo, per principio, e se al momento qualche risultato incoraggiante si comincia a notare, nessuno può dire quali siano i reali obiettivi del capo di stato.
Mette in dubbio, come da pensieri più volte espressi, la bontà del tentativo di favorire una esplosione demografica, condizione che può essere foriera di centomila eventi non esplicitati, ma che nella sua mente possono portare anche ad atti di forza inconsulti, del resto, nel concepire atti di forza è stata finora una sua evidente caratteristica. Non gli piace l’impronta squadristica e in qualche modo militare che si sta rendendo sempre più evidente, lo sbocco secondo lui è il ricorso alla violenza verso altri popoli, la promozione di una cultura asservita al potere, l’evidenziare e favorire solo certe correnti artistiche, funzionali al prestigio internazionale, ma in ultima analisi asservite a fini propagandistici in favore di interessi personali e di immagine. L’impegno economico che il governo riesce a mettere in campo anche in ambito sportivo, risulta per lui un mero mezzo per acquisire prestigio sia interno che internazionale.

Lo sviluppo delle arti, spinte in maniera inverosimile, anch’essa finalizzate a creare cervelli univoci, il cercare di minimizzare la visibilità di etnie e minoranze, tutte azioni indirizzate verso un unico fine; devo ammettere che il mio amico possiede argomenti validi ed esaustivi, ma il problema, semmai, va ricercato nella mente del politico, chi può sapere quali siano le sue mire nascoste? A questo proposito, un po’ condizionato dalle parole di Lupo, mi riprometto di analizzare la scrittura del personaggio, e leggere tra le righe dei suoi segni quale sia la sua reale personalità, se sia una persona affidabile e sincera; immagino certe caratteristiche della sua scrittura, denoteranno certo la determinazione che ha sempre dimostrato di possedere, ma sono curioso di analizzarla a fondo. Risulterà, nei miei pensieri, l’analisi più importante che mai abbia realizzato, rivolto a scoprire nel limite del possibile i traguardi che si è prefissato, e, in contrapposizione, voglio analizzare la scrittura del suo principale contendente, che non ha mai rinunciato alle sue idee, a renderle pubbliche, anche sapendo che potrebbero essere pericolose per la sua incolumità, mi immagino due grafie che denotano entrambe coraggio e determinazione. Ne parlo con il mio interlocutore, e lui si impegna a cercare il materiale che mi occorre. 

Dopo l’impegno di insegnante, giornalmente, dopo il pranzo e un piccolo riposo dedicato a qualche lettura, mi piace uscire e respirare aria buona, aria di collina, e relazionarmi con la popolazione con la quale ho contatti sempre più frequenti. Se non sono in compagnia di Lupo, e incontro qualche genitore dei miei alunni, è raro che non riceva un invito a casa sua, e così le mie conoscenze aumentano ogni giorno di più in maniera esponenziale. Ma da buon Sardo, formalmente cortese e disponibile, valuto attentamente ogni persona, e non concederò amicizie se non soppesate attentamente, e dopo un congruo lasso di tempo. E alla fine ritengo che qualche persona meriti il mio interesse, ma sono persone immensamente diverse dai miei conoscenti Sardi, con formazioni nettamente dissimili da quelle a cui ero abituato. Qualcuno, sicuramente più sincero degli altri, mi fa sapere che per il sentire comune il Marchigiano è considerato una persona da prendere con le molle, a volte inaffidabile, ma confido sulla mia capacità di discernimento e non farò certo scelte avventate.

Ma alla fine giudico tre famiglie in particolare degne della mia attenzione, e con loro intrattengo rapporti costanti, tanto più che tra loro esistono sorelle maggiori dei miei alunni che attirano la mia attenzione. E quando mi apro, i miei ragionamenti non possono che essere indirizzati a problematiche che mi stanno a cuore, primo tra tutti il mio impegno lavorativo, ma non tralascio di parlare anche di psicologia e grafologia, ma ogni discussione, alla fine, si incanala verso la conclusione logica di ogni disputa, la politica. Stringo, col tempo, relazioni più continuative con una famiglia in particolare che mi ispira fiducia, il capo famiglia dirige la stazione ferroviaria giù a valle, idee in sinergia perfetta con l’andazzo politico, ma con una preparazione di fondo che denota cultura, acquisita sicuramente in tempi recenti, definirei la moglie “adeguata” alla personalità del consorte, del resto ho notato che le donne, in questa regione, sanno stare al loro posto, a differenza della cultura sarda che ha decretato da millenni, che le donne sono il vero volano della famiglia, in una società matriarcale che ha pochi esempi altrove, e il motivo è presto spiegato: più che contadina, la civiltà sarda è pastorale, e capita che il marito sia costretto a disertare la casa a causa del fatto che la pastorizia, da noi, è essenzialmente nomade, e capita che pastori delle montagne svernino in campidano, nella mia zona di origine, e stanno fuori casa svariati mesi, e, quando ciò non avviene, il tempo che i mariti trascorrono a casa, risulta irrilevante.

Mi trovo tra un popolo molto dissimile dal mio, ma non mi trovo male in questa zona, e l’iniziale pensiero che mi trovo tra gente bigotta si è parzialmente ridimensionato. Certo, l’unico libero pensatore che ho incontrato è Lupo, ma in genere vengo a contatto con persone accettabili, dedite al lavoro e al corretto relazionarsi. E non esiste il mito della personalità, così spiccato da noi, qui la gente mira a vivere tranquilla, ed evita accuratamente contrasti. Su un aspetto, però, assomigliano al mio popolo, un aspetto negativo, trovo che anche loro siano individualisti almeno quanto noi. Eppure la loro storia si è dipanata tra commerci e contatti frequenti con altri popoli, in una regione certo molto più servita della mia da strade di grande comunicazione, e il mare che a volte è un impedimento, per i Marchigiani è sempre stato fonte di reddito e di comunicazioni. E la passata appartenenza allo stato pontificio ha sicuramente favorito i contatti.

Fa parte della famiglia del capo stazione, la figlia Dalida, molto bella e dallo sguardo penetrante, almeno cinque anni più giovane di me, sempre ben vestita e aggraziata nei movimenti, una personcina che mi attira in particolar modo. Sarei curioso di sentire da lei il modo di ragionare e di vedere la vita, ma anche lei, come la madre, sa stare al proprio posto, e non interviene se non interpellata. E così le mie discussioni avvengono quasi esclusivamente con il genitore, e mai trovo modo di conoscere le impressioni di Dalida. Vorrei conoscerla più a fondo e, dato che è studentessa, e non ho altre opzioni, adotto un "misero" sotterfugio: esprimo il desiderio di seguirla nella materia di italiano, che ho scoperto essere il suo punto debole, e mi offro per correggere i suoi scritti, naturalmente il fine è quello di valutare la sua grafia e conoscere più a fondo la sua personalità. Non noto nella sua grafia segni particolarmente negativi, piuttosto, se un appunto le può essere fatto, è quello che tende ad accentuare leggermente segni e altre manifestazioni regressivi, che di per sé, secondo le nuove teorie, risultano negativi, ma la rotondità dei segni circolari e la generalità della scrittura, mi portano a pensare che sia una persona fondamentalmente positiva. Noto anche, nonostante la leggera tendenza a non accentuare troppo i segni verso destra delle sue manifestazioni grafiche, come una voglia di andare decisamente verso quella direzione, latente, ma che potrebbe esplodere in maniera improvvisa.

Nel giro di una decina di giorni, frequentando giornalmente la sua casa, e dopo che lei ha dimostrato di aver ottenuto miglioramenti nella materia di italiano, cerco di capire se l'altra mia strategia di farla interessare a me, sia andata a buon fine. Le chiedo se, con l’approvazione dei genitori, sia disposta a trascorrere con me, fuori casa, qualche serata, la risposta è positiva, quella dei genitori idem, e inizia così la mia avventura con lei, ci conosciamo reciprocamente più a fondo, e si fa strada in me il pensiero che lei sia la donna che vorrei avere al mio fianco per sempre. Un giorno, con lei al mio fianco, incontro il mio grande amico, e trascorriamo una serata a tre in un rinomato bar della piazza del popolo, la bomboniera, come la chiamo io, la piazza più importante di fermo; parliamo di svariati argomenti, cercando di coinvolgere anche Dalida, ma lei non si dimostra particolarmente espansiva. Quando ci congediamo da Lupo, lei mi esprime il suo pensiero riguardo al mio amico, non esattamente positivo, e mi dice che, seppure avesse sentito su di lui critiche feroci, si è impegnata a trovarne eventuali positività, ma inutilmente. L’impressione che si è fatta è fortemente critica, tra me penso con dispiacere che le due persone con le quali sto più volentieri, non stanno bene tra loro. Ma nei miei pensieri sono entrambe importanti, e non rinuncerò certo a frequentare Lupo.

Un giorno mi trovo a casa sua, lui mi mette in mano gli scritti delle due persone di cui desideravo analizzarne la grafia. La scrittura del mio conterraneo non contiene, secondo me, particolari segni negativi, e la giudico positivamente sotto tutti gli aspetti. Non è né disarmonica, e nemmeno contorta, con qualche variazione di calibro, abbastanza orizzontaleggiante, e dimostra di dare molta importanza alla passione quando si imbarca su argomenti e azioni prossimi a venire. Denota una certa dose di ottimismo e progressività verso il futuro. Noto dalla scrittura, che caratterialmente possiede un forte decisionismo, e che le sue scelte sono estremamente ponderate, ma che una volta decise, non andrà mai contro il suo pensiero, e sarà suo intendimento portarle avanti con forza, incurante di ogni pericolo, una persona tosta, insomma, che rispecchia il carattere diffuso delle sue origini. Non esistono, però, elementi troppo accentuati che mi facciano pensare ad una tendenza ad essere particolarmente sovversivo, piuttosto denota senso di equilibrio, intelligenza e assertività.

Anche quella del capo del governo non presenta, a mio avviso, particolari segni negativi, una scrittura dritta, essenziale, che denoterebbe predisposizione al comando, caratteristica evidenziata da mille sottigliezze grafiche, in particolare la pesante marcatura che sviluppa sulle aste discendenti ne amplifica questa caratteristica. La sua scrittura angolosa all’eccesso era da me preventivata, come pure la forte pressione esercitata sul foglio che risulta evidente anche se non possiedo l’originale, ma una sua riproduzione, inoltre noto estrema orizzontalità delle righe, e gesti impetuosi in tante sue espressioni grafiche, che risultano però estremamente eleganti, caratteristico è il ricorso continuo a gesti della mano ariosi e fantasiosi. Secondo la mia esperienza mi sembra che dia importanza a scelte dettate da caratteristiche indirizzate verso decisioni istintive, il che mi lascia perplesso, visto che ogni sua azione è stata finora una conseguenza di scelte favorite da azioni passate persino troppo programmate. Dal punto di vista strettamente personale denota baldanza, fierezza e amor proprio, temerarietà e sagacia. E la scrittura è fluida, articolata e fantasiosa, ma soprattutto originale, con quei gesti aperti che denotano interesse per l’esterno, una ricerca di simbiosi con gli altri, ma lui sa quel che vuole, e lo dimostra con la grafia, che non mi è utile, però, a darmi certezze assolute riguardo alle sue doti di sincerità, concludo però che sono evidentissimi un alto senso di nobile magnanimità, passionalità ardente, e costanza incrollabile, il mio giudizio, a questo punto, non può che essere, anche per lui, nettamente positivo.

Sarei curioso di conoscere il parere dell’autore dei libri che sto studiando con passione, certamente lui saprebbe spulciare quella scrittura infinitamente meglio di me, ed entrare più incisivamente nei dettagli, visto che i segni grafici da lui finora analizzati e codificati, sono innumerevoli, e io, per ora, non so valutare certi segni che l’autore potrebbe catalogare come patologici, poco male, sono alle prime armi e nessuno può farmene una colpa. Lupo resta come interdetto sentendo le mie conclusioni, mi dice di essere venuto spesso in contatto con lui, agli inizi della sua avventura politica, quando si stavano formando i suoi primi gruppuscoli paramilitari, e non si dimostra completamente d’accordo con me.

E la mia vita scorre tranquilla, frequento la casa di Dalida assiduamente, ormai siamo convinti che i genitori aspirino ad un nostro rapido, pubblico fidanzamento, e le nostre uscite si fanno sempre più rare, in quanto è arrivata una fredda stagione invernale, e preferiamo stare al calduccio in casa, dove mi trovo bene con tutti e tre i componenti la famiglia. Ma non voglio essere invadente, e in genere non mi trattengo troppo, ho voglia di frequentare anche Lupo, che mi schiude continuamente nuovi orizzonti; saltuariamente, infatti, mette da parte pubblicazioni che mi interessano, e insieme le analizziamo con passione, trattano per lo più di psicologia, ma non mancano nuovi argomenti che trattano scienze nuove come la fisiognomica e, ovviamente, la grafologia. E se lui mi coinvolge spesso nel suo argomento preferito, la politica, io riesco pian piano a farlo appassionare alla grafologia, e insieme traiamo conclusioni spesso univoche. E’ riuscito a procurare un’infinità di pubblicazioni di un giornale bolognese, come abbia fatto non saprei dirlo, che pubblica regolarmente stralci di un trattato di grafologia, noi divoriamo quegli articoli molto approfonditi, e pian piano le nostre competenze aumentano. Ma le discussioni politiche sono di gran lunga più partecipate, e anch’io finalmente, trovo che sia un argomento degno di attenzione, specie in questi ultimi tempi.

Si stanno susseguendo infatti una serie di avvenimenti importanti a ritmo continuo, fa grande scalpore l’assassinio di un deputato socialista particolarmente fastidioso per il capo del governo, lui si assume la responsabilità morale dell'omicidio, e avviene il conseguente abbandono temporaneo del parlamento da parte dell’opposizione, ormai ininfluente sulle decisioni da prendere, e costretta sempre più ad un ruolo marginale. Mano a mano che gli avvenimenti importanti si fanno sempre più frequenti, la nazione si avvia verso scelte centraliste, e Lupo mi fa capire che aveva previsto che la conseguenza logica di strategie così particolareggiate, dovevano per forza di cose avere quella conclusione, e mi confida che avrebbe fatto di tutto per riequilibrare la situazione, anche a costo della sua vita, ormai in lui si è fatto strada un odio fortissimo, mi dice che avrebbe cercato di eseguire un attentato all’unica persona che vorrebbe sparisse dalla faccia della terra. Io controbatto che, seppure disapprovando l’evoluzione che si sta verificando, la nazione sta progredendo, il lavoro non manca, si stanno mettendo in atto realizzazioni di grande rilevanza, sostegno alle produzioni agricole, attenzione per vaste aree della nazione meno sviluppate, e condizioni migliori per i lavoratori. Se simili provvedimenti fossero stati adottati da un governo più attento alle opposizioni, il mio appoggio sarebbe stato incondizionato, ma le mie posizioni si avvicinano, col tempo, a quelle di Lupo.

Una sera, siamo usciti insieme, dopo che Lupo è venuto a trovarmi, mi dice che avrebbe voluto trascorrere tutta la serata con me, ha da dirmi qualcosa di importante, ma non affronta l’argomento in modo diretto, parla di se stesso, delle sue aspirazioni, del mondo in cui avrebbe voluto vivere, del significato che ciascuno di noi dovrebbe dare alla sua esistenza, della sua "appartenenza" all’anarchia, e del compito che avrebbe dovuto svolgere a breve. Ma non mi parla in dettaglio delle sue prossime mosse, solo di aspetti esistenziali, il che mi mette ancora di più in apprensione, sospetto che abbia in mente di compiere qualche azione eclatante, lui mi dice che c’è la possibilità che questa sia l’ultima volta che possiamo parlare assieme. Parla solo lui, è come che non gli basti il tempo per comunicarmi tutto quello che ha da dirmi. Mi lascia la chiave della sua casa, e mi dice che posso disporre liberamente di tutto il materiale cartaceo che ha accumulato, inoltre mi indica una pianella mobile sotto il suo letto, e mi dice che, dato che ci perderemo di vista, quello è il posto nascosto per eventuali comunicazioni. Mi preoccupo, e quando chiedo spiegazioni più dettagliate, mi dice che se non ci saremmo più visti, avrei capito in seguito cosa gli fosse successo, ho in me la netta convinzione che abbia già deciso un attentato.

Il giorno dopo sparisce dalla circolazione, dopo la scuola non mi riposo nemmeno, devo rincontrarlo e obbligarlo a dirmi quali siano le sue intenzioni, lo cerco dappertutto, nessuno l’ha visto, come al solito quando sono io a cercarlo, lui si eclissa, e quando mi rassegno e sospendo le ricerche, mi avvicino un attimo a casa di Dalida e chiedo al padre se l’abbia visto, e finalmente ho sue notizie: è partito col treno verso ovest, in compagnia di tre amici. Penso che non rivedrò più una persona che mi invogliava a ragionare senza essere influenzato da luoghi comuni, un cervello libero di spaziare indisturbato, uno che è riuscito a liberarsi dai ciarpami inutili che il sentire comune impone, una persona che ha costruito la sua personalità culturale senza debiti verso nessuno, tanto meno verso il tipo di società che rifugge, e non ultimo il fatto di essere riuscito a coniugare il suo anarchismo con le avanzate concezioni socialiste espresse soprattutto dal mio conterraneo giornalista. Una persona, che al solo starle a contatto, mi arricchisce. Mi stupisco come mi condizioni il pensiero di non poterlo vedere più, ormai la sua presenza mi era necessaria, e il cammino che stavo intraprendendo verso una diversa visione della vita dovrà essere interrotto, o subire rallentamenti. Mi sento all’improvviso più povero sotto molti aspetti della mia personalità.

I giorni successivi la mia ragazza mi chiede spesso come mai sia scostante con lei, trova che abbia al suo fianco una persona diversa, e mi rendo perfettamente conto che ha ragione. Gli ultimi avvenimenti mi hanno turbato, e la mia vita, che fino ad allora si era sviluppata in beata armonia, ora mi chiede di pensare a mille congetture, mi fanno vedere il mondo con altri occhi, in politica sto cambiato posizione, e non so che atteggiamenti adottare persino verso i miei alunni. Non potrò certo più assecondare un sistema di potere che si indirizza sempre più verso la negazione di diritti personali, e i miei punti fermi sui più svariati argomenti necessitano di una revisione. Il centralismo sempre più esasperato mi convince sempre meno, e provo a immaginare a quali obiettivi miri il governo. 

I miei rapporti con Dalida diventano sempre più problematici, e questo unicamente per colpa mia, fino a quando, un giorno, al mio rientro dalla scuola, vedo in attesa a fianco della porta della mia camera due personaggi dall’aria non proprio rassicurante, vestiti entrambi con un cappotto scuro, bavero sollevato, sciarpa leggera che copre il mento, grandi occhiali scuri e un cappello calato sui visi, posso immaginare la massiccia corporatura di entrambi, ma non quali siano i tratti dei loro visi. Apro la porta della camera, loro mi seguono a ruota come se fosse un loro diritto entrare, ma senza proferire una parola; una volta entrati, mi dicono che devo seguirli, tra me penso che siano qui per via della mia amicizia con Lupo, loro mi dicono che conoscono tutto di me, e che avrei dovuto seguirli fino a roma. Obietto che a fermo ho due realtà che non posso abbandonare, l’insegnamento, e la mia donna. Mi dicono che per l’insegnamento hanno già provveduto per la mia sostituzione, e la mia ragazza avrebbe ricevuto notizie in seguito.

Ho necessità di verificare il loro reale motivo per cui sono qui, e cerco di carpire loro qualche notizia, tra me penso che la cosa più probabile è per via della mia amicizia con Lupo, ma non mi devo scomporre, chissà se la loro gestualità mi potrà dare delle indicazioni. Come se mi avessero letto nel pensiero, mi dicono che sanno tutto della mia amicizia con un anarchico, ma anche della mia lealtà verso il governo, e che il motivo della loro visita è un altro, ma che non spetta a loro addentrarsi nei particolari, o fornirmi spiegazioni. Se pure non ho scoperto ancora il motivo della loro intrusione, mi sento sollevato dalla notizia che la loro visita non ha alcuna relazione con Lupo, e comunico loro che assolutamente non avrei abbandonato le marche. Come se avessi parlato al vento, uno di loro prepara un paio di valige e le riempie delle mie cose, alla rinfusa, l’altro mi dice che ho da eseguire un compito molto importante per la nazione, e che non mi sarei pentito a seguirli senza opporre resistenza.

Le prepotenze non mi sono mai andate a genio, e mi ribello, cercando di svuotare le valigie, loro, che fino ad allora hanno cercato di risolvere la questione in modo pacifico, ora adottano le maniere forti, e mi bloccano, uno di loro mi mostra un paio di manette, e mi avverte che d’ora in poi non avrei dovuto opporre resistenza, perché loro sono qui in veste di delegati di un non meglio specificato ministero.
“Se volete che vi segua senza opporre resistenza, devo sapere cosa andrei a fare a roma!”
“Devi assolvere ad un compito di grande importanza per la nazione, sarai molto ben retribuito, avrai tutte le comodità che desideri, ma nessuno deve sapere, né ora, né mai, di questo tuo incarico”.

Hanno un modo che definirei professionale nel pur discutibile comportamento, escludo che siano degli squadristi di basso livello, non mi danno l’impressione di appartenere ai fasci di combattimento, sono sicuramente delegati da qualche istituzione governativa, forse una specie di agenti segreti, o qualcosa di molto simile. In ogni caso i loro atteggiamenti sono autorevoli, come se per loro sequestrare una persona sia ordinaria amministrazione, e adottano comportamenti blandi, ma decisi, probabilmente sparirò da fermo, e tutti crederanno che sia sprofondato nel nulla. Che abbiano un non so che di segreto è evidente da come sono conciati, e soprattutto dai modi di fare, se fossi stato costretto in seguito a identificarli non avrei potuto dare alcun ragguaglio. Protesto il mio diritto di sapere almeno i loro nomi e vedere qualche tesserino che li identifichi, ma ricevo in cambio un sorriso sarcastico da parte di uno di loro. Realizzo che sarebbe inutile contrastarli, se gridassi mi tratterebbero sicuramente male e mi ridurrebbero all’impotenza, decido di seguirli senza opporre resistenza, due minuti dopo sono a bordo di una macchina, loro sistemano le mie valige nel baule, e mi fanno accomodare “gentilmente” a fianco del guidatore, si sono addirittura scomodati in tre per venirmi a prendere!

“Vi paga bene lo stato per dar fastidio alla gente?”
“Si, grazie, abbiamo un ottimo stipendio”.
“Appartenete a qualche organizzazione militare segreta?”
“Apparteniamo allo stato, dove c’è bisogno del nostro intervento, qualsiasi esso sia, noi siamo pronti”.
“E cosa c’entro io con il vostro lavoro?”
“Nulla, una volta che arrivi a roma per noi è come che tu non sia mai esistito, niente di personale, amico”.

Le mie strategie per riuscire a estorcere qualche notizia si rivelano infruttuose, per il momento; ripartirò alla carica più in là. Trascorriamo tutta la notte in viaggio, le strade sono abbastanza disagevoli, ma la macchina è comoda e ben ammortizzata, nonostante ho sonno mi riprometto di non cedere, e carpire qualche notizia. Quando insisto troppo, il più antipatico, quello dal sorrisetto sarcastico, mi intima di star zitto, altrimenti mi avrebbe imbavagliato con sua grande soddisfazione. Mi rassegno all’evidenza di dover fare il viaggio in compagnia di brutti ceffi, per di più poco espansivi, e neanche troppo accondiscendenti, tra me penso che, seppure il clima politico non sia proprio rassicurante, siamo pur sempre in un regime che, a fatica, si potrebbe, con una certa dose di elasticità, definire democratico, con le dovute cautele, però privarmi della libertà personale come stanno facendo, mi dà immenso fastidio.

All’alba arriviamo a roma, con la falsa gentilezza che dimostrano, mi invitano a salire le scale di un sontuoso palazzo, uno di loro mi afferra con forza un braccio, e mi spinge su per le scale, verso un grande e robusto portone presidiato da due brutti ceffi, anche loro quasi irriconoscibili, due personaggi molto simili nella corporatura e nell’abbigliamento ai miei due “amici” compagni di viaggio, cerco di scoprire se all’entrata ci sia una qualche indicazione o cartello che espliciti la funzione di quel palazzo e quella dei suoi occupanti, ma, seppure da fuori sembra che abbia l’aspetto di una serie di uffici, che sembrerebbero di rappresentanza, non trovo alcuna indicazione utile; essendo molto presto penso che la mia curiosità resterà tale ancora per un po’ di tempo. Vengo accompagnato al piano di sopra, noto che la costruzione è massiccia in modo eccessivo, grossi marmi pregiati dappertutto, la scala è di una larghezza spropositata, per niente ripida, grosse colonne la affiancano, qua e là altri uomini dall’abbigliamento simile a quello dei miei accompagnatori, sono intenti a presidiare le varie porte, massicce e altissime, chi ha costruito quel palazzo aveva sicuramente l’ordine di abbondare nei materiali, e dare l’impressione a chi sarebbe entrato, di aver a che fare con personaggi di grande rilevanza.

Tutto qui mette soggezione, a cominciare dai guardiani dei vari ambienti, robusti, molto alti e con posture poco rassicuranti. Ho l’impressione di trovarmi in una fortezza discreta, ma presidiatissima, tra me penso che sia una struttura collegata con il ministero degli interni, occupata da personaggi di grande rilevanza, non si spiegherebbe altrimenti la presenza ingombrante di così tanti guardiani. Vengo introdotto immediatamente in una di quelle stanze presidiate, noto che non c’è nessun contrassegno che la identifichi, e con mia grande sorpresa, data l’ora, vedo che mi attende un tizio che confrontato con i suoi coinquilini sembra un nano, viso e fisico striminzito, occhialini praticamente senza montatura, almeno questa è la mia impressione, dato che alle sue spalle filtrano i primi raggi del sole, che mi investono in faccia rendendo la vista del tizio accomodato di fronte a me, non troppo nitida; appena mi vede entrare si scomoda dalla poltrona, dispone di fronte al grande tavolo, gentilmente, una comoda sedia imbottita, e dotata di braccioli, una via di mezzo tra una sedia e una poltrona, e mi invita ad accomodarmi. I suoi modi vogliono essere gentili, si relaziona con me con grande riguardo, mi chiede se, vista l’ora, gradisca un caffè. Rifiuto e assumo atteggiamenti nettamente antitetici al suo modo di relazionarsi con me.

“Mi chiamo Gavino, sono un insegnante elementare Sardo che ha una cattedra nelle marche, là ho una fidanzata che mi aspetta, e una classe da seguire, quindi vorrei sapere in tutta fretta perché mi avete condotto qui con la forza, e soprattutto con chi ho il “piacere” di parlare, e sapere a che titolo lei occupa quella poltrona, dopo di che, voglia essere così cortese di farmi riaccompagnare a casa”.

Mi dice solo il suo nome di battesimo, Duilio, ed evita altre spiegazioni, sembrerebbe che non ho nessun diritto, devo subire e basta.
“Il paese sta vivendo un periodo particolare, ti sarai accorto che sono in atto grandi trasformazioni, stiamo costruendo una grande nazione, e ciascuno di noi è chiamato a collaborare, in base alle sue competenze”.
“E mi potrebbe dire, di grazia, quali sarebbero le mie fantomatiche competenze?”
“Tra un paio di giorni conoscerai il lavoro che svolgerai qui, per ora sei in vacanza, visita la capitale, fai quello che vuoi, ti posso solo dire che sarà un lavoro delicatissimo e di grande importanza, sarai retribuito profumatamente, e verrai a contatto con persone molto potenti, ti faccio una raccomandazione: prima abbandonerai il pensiero che la vita che hai vissuto finora è stata gratificante, meglio sarà per te, dovrai imparare in fretta a fare cose di grande responsabilità, vivere una vita a contatto con persone ben più importanti di quelle a cui la tua scialba vita ti ha abituato, abiterai in questo palazzo, avrai qualunque comodità desideri, e avrai a disposizione una guardia del corpo”.
“Non va bene niente di tutto quello che ha detto, e l’ultima frase men che meno, non ho bisogno di gente appresso, e rivoglio la mia libertà”.
“Forse non hai capito, sei qui per un periodo della tua vita, non ti so dire quanto sarà lungo, in seguito tornerai finalmente, forse, a trascinare la tua vita fatta di cose insignificanti, ti stiamo offrendo di vivere alla grande per un periodo della tua vita, o per sempre, chi può saperlo? Per te è venuto il momento di fare finalmente grandi cose”.

Mi alzo dalla sedia, dimostro di essere risentito:
“Sarò libero di decidere da me stesso la vita che voglio? Questo è un sopruso!”
Vengo affiancato da un omone alto almeno dieci centimetri più di me, dalla corporatura massiccia, vestito in abiti borghesi, ma molto simili all’abbigliamento dei miei due accompagnatori, sa già cosa deve fare, infatti mi accompagna forzosamente al secondo piano, apre una pesante porta, e mi introduce in un ampio ambiente che denota raffinatezze sia negli arredi, che nell’aspetto generale, una stanza dalle dimensioni importanti, muri molto grossi, tre doppie finestre e una robusta persiana nella parete che dà alla strada sottostante, cinque quadri classicheggianti dalla raffinata fattura, e dalle cornici spudoratamente pompose, complementi d’arredo scelti con cura, un pavimento in marmo, parzialmente intarsiato, brillante, uno splendido lampadario artisticamente lavorato, un letto sontuoso e mobili spuduratamente massicci, la stanza linda e lustra all’eccesso, come se avrebbe dovuto accogliere una personalità di grande rilevanza. Nella parte più luminosa della stanza è sistemato un grande scrittoio, affiancato da due mobili che sembrerebbero delle librerie, ma vuoti.

L’omone mi dice che dovremo andare d’accordo, perché trascorreremo molto tempo fianco a fianco, specie quando avrò l’esigenza di uscire.
“Bene bene”, penso tra me, “potrò quindi uscire … anche dopo l’ipotetico periodo di vacanza, anche se non da solo, tanto vale creare una sorta di relazione con il mio interlocutore”.
“Come ti chiami?”
“Romano, e voi?”
“Mi chiamo Gavino, mi puoi dire perché quest’edificio è così accuratamente presidiato?”
Il suo viso denota imbarazzo alla mia domanda, ma mi dice che, dato che non passerà molto tempo fino a quando scoprirò tutto quel mistero, e forse per stabilire un certo contatto non troppo turbolento con me, mi spiega le funzioni dei personaggi che occupano i vari ambienti, mi chiede però, con un’aria di complicità, di non far sapere a nessuno che mi ha rivelato i prossimi segreti che ha intenzione di confidarmi.

L’edificio e il personale sono un’emanazione diretta della presidenza del consiglio, e si occupa di mille faccende: informazioni su personaggi di qualunque tipo, avversari politici o persone vicine al partito, organizzazioni anarchiche e comuniste, esiste persino una sezione che raccoglie informazioni sulla casa regnante, in una grande stanza sono custoditi documenti che potrebbero essere usati contro qualcuno, perché compromettenti, ancora un’altra stanza è dedicata alla custodia di informazioni scientifiche d’avanguardia, un’altra ancora ha la funzione di conservare risultati statistici nei campi più disparati, ognuna di quelle stanze accoglie due, tre funzionari di alto livello, e la sala più grande è occupata da una miriade di burocrati e funzionari, che hanno il compito di coordinare i vari settori e smistare i vari compiti. Mi dice che l’organizzazione creatasi è di altissimo livello, ma estranea alla vita politica così come viene intesa di solito, e nessuno divulgherà informazioni correlate alle attività che si sviluppano in questo palazzo, in quanto, se questo accadesse, sarebbe a rischio persino la vita del dipendente infedele. Hanno mille modi per ricattare chi non si adeguasse, e passerebbero guai persino i familiari di chi volesse contravvenire alle disposizioni. Penso tra me che tutto questo è quanto di più lontano dal concetto di democrazia, e quando esprimo il parere Romano mi dice che sono in preparazione, coordinate da questa struttura, grandi trasformazioni della nazione e del suo popolo, trasformazioni che mirano a far diventare il popolo italiano rispettato e temuto in tutto il mondo, azioni che hanno intenzione di emulare i fasti dell’antica roma.

E’ questo un argomento che lo appassiona, infatti la sua spiegazione, iniziata in modo tranquillo, si è evoluta pian piano verso un’enfasi quasi incontrollabile, come una scrittura inizialmente portata avanti con un certo stile, e trasformatasi verso la fine del ragionamento in maniera convulsa. Mi accorgo che sono di fronte ad un convinto sostenitore del governo, che probabilmente sa molto di più sulle prossime strategie che verranno messe in atto. E’ questo un ambiente, evidentemente, di direzione strategica, nascosto alla vista della gente, e dalle funzioni così importanti che necessitano di segretezza, controllo e verifica delle informazioni in uscita. Un ambiente sotto il diretto controllo della presidenza del consiglio, ma con finalità che mi sfuggono nella loro indiscutibile complessità. Ma non lo chiamerei un ambiente da agenti segreti, mi sembra piuttosto un centro direzionale che raccoglie la totalità delle informazioni sulla vita generale della nazione, il regno dei burocrati, forse. Gli esprimo il desiderio di visitare roma, oggi mi va di fare una camminata lungo il tevere, ma soprattutto, in cuor mio, stabilire un forte legame con lui, che si mette subito a disposizione, poi mi consegna un incredibilmente grande mazzo di banconote, dicendomi che posso disporre di denaro per ogni mia necessità, qualunque sia, tiene per se, solo qualche banconota. Lo guardo con aria stupefatta. Abbiamo anche a disposizione una macchina, che oggi resterà parcheggiata nello spazio ricavato all’interno del palazzo.

Una volta usciti dalla grande costruzione, ci avviamo verso il grande fiume, entriamo nella prima cartolibreria che incontriamo, acquisto delle buste postali, e dei libri, ho intenzione di scrivere a Dalida, in fondo, pure senza che io abbia nessuna colpa, sono obbligato a scusarmi con lei e comunicarle gli ultimi avvenimenti; quando ci fermiamo in un’osteria, mi metto a scriverle, subito Romano mi avverte che dovrò stare attento a non divulgare alcuna informazione sulla struttura che mi ospita, e mi dice che dovrò consegnare aperta a lui la lettera, l’avrebbe imbucata lui stesso, ma solo dopo il controllo da parte di un funzionario, mi consiglia inoltre di comunicare alla mia ragazza che sono dovuto partire all’improvviso, e che dovrò svolgere un compito per le istituzioni scolastiche. Prendo per buono il consiglio di Romano, non sapendo esattamente quale sia la funzione, che dovrò svolgere nella struttura, per ora è un metodo per tranquillizzare la mia ragazza. In ogni caso non ho alcuna competenza in fatto di scuole o insegnamento, e men che meno di organizzazioni di eventi scolastici, o quant’altro, il mistero non vuole saperne di svanire, e chiedo al mio accompagnatore, quali compiti dovrei svolgere.
“Non vi posso dare alcuna delucidazione, perché non ne sono al corrente, la risposta la dovrebbe individuare tra le sue competenze”.

All’ora di pranzo capitiamo in una caratteristica zona non troppo lontano dal fiume, e mangiamo in un’osteria dall’aspetto un po’ trasandato, ma dall’ottimo servizio e da cibi ancora migliori. Durante il pranzo, e dopo qualche bicchiere di vino, cerco di carpire altre informazioni al mio accompagnatore, mi preme ipotizzare con lui quale potrebbe essere il mio futuro lavoro in seno a quell’enigmatico ambiente in cui sono costretto a vivere, lui mi chiede di elencargli le mie competenze, e dopo ciò, pensa di aver scoperto l’arcano: avrei dovuto, molto probabilmente, analizzare una montagna di grafie, mi chiede di instaurare una sorta di reciproca collaborazione, ciò farà comodo a entrambi, gli dico che di me si potrà fidare sempre, a patto che si instauri un certo tipo di sinergia e collaborazione tra noi. Ho in mano dei libri che trattano proprio l’argomento che mi preme conoscere, e che mi saranno utili per il mio prossimo lavoro, sempre che sia quello ipotizzato da Romano.

La sera vengo convocato dal tizio di nome Duilio, che reputo sia il mio diretto superiore, finalmente ne posso osservare il volto, dato che non c’è più quella fastidiosa luce di fronte, un viso minuto e scavato all’inverosimile, si possono intuire facilmente le forme sottostanti la sottilissima pelle che ricopre il viso, gli occhialini circolari dall’impercettibile montatura argentata, un aspetto generale e movenze che ricordano il fare di un burocrate orgoglioso della sua funzione, gentilmente mi chiede come abbia valutato gli ultimi avvenimenti, ma meno gentilmente mi chiede se abbia finalmente capito che qui la mia vita sarà ben migliore della insignificante esistenza trascorsa finora. Mi dà fastidio la sua supponenza riguardo a valutazioni che spettano solo a me, come se vorrebbe indirizzare la mia vita dove vuole lui, ma a pensarci bene, devo ammettere di non aver alcuna capacità decisionale, tra me però penso che svolgerò il mio lavoro nella maniera che riterrò più adeguata, senza intrusioni da parte di nessuno, tantomeno sue, dal momento che reputo chi ho di fronte la persona che, a pelle, mi ispira meno fiducia di tutte quelle che ho incontrato finora, con quella gestualità che a me risulta chiarissima, gesti che denotano ricerca di superiorità verso di me, che sono presumibilmente un suo sottoposto, gestualità che immagino nettamente dissimili quando si trova di fronte a un suo superiore.

Quel suo agitare debolmente le mani, con movimenti verso se stesso, non mi ispira fiducia, penso di avere di fronte una persona estremamente negativa ed egoista, pronta però a sottostare in maniera troppo visibile, quando si dovesse trovare al cospetto di persone che possono decidere per lui. Dalla gestualità che esprime posso immaginare a grandi linee quale possa essere la sua scrittura, devo assolutamente impadronirmi di un suo manoscritto per avere conferme delle mie impressioni. Mentre parla, immaginando già cosa mi dovrà dire, cerco di escogitare qualche stratagemma per impossessarmi di un suo scritto, e dopo un minuto ho già la mia strategia pronta allo scopo. Mi dice che la mia unica occupazione sarà quella di analizzare volta per volta le varie scritture che mi verranno sottoposte, e, come per minacciarmi, o per invogliarmi ad eseguire coscientemente il mio lavoro, mi comunica che quelle scritture saranno sottoposte anche ad un altro grafologo presente nel palazzo, mi dice esplicitamente di non fare il furbo.

Sono combattuto dal pensiero di rientrare nelle marche, e rivedere Dalida, impresa impossibile al momento, e quello di iniziare la mia nuova attività, che si preannuncia foriera di soddisfazioni personali, mi trattengo a stento dal dirgli che non sono un vero grafologo, solo un appassionato, e che in italia esistono grafologi ben più preparati di me, e lui, come se mi avesse letto nella mente, conferma a voce il mio pensiero, e mi dice che sono stati costretti a scegliere me perché finora ho dimostrato di essere un simpatizzante del partito al potere, a differenza di personaggi molto più preparati di me, che non ispirano fiducia, e seppure sono agli inizi, mi metteranno nelle migliori condizioni per migliorarmi professionalmente. Qualcun altro grafologo è troppo legato a certi ambienti critici verso il governo, altri troppo vicini a gerarchie ecclesiastiche, altri ancora non ritenuti idonei per qualche loro antica azione non conforme al nuovo pensiero, che prenderà il sopravvento nella nazione.

Quest’ultima frase mi ha incuriosito, anche perché è stata detta con una gestualità che esprimeva sicurezza, come se tutto sia già stato deciso e i prossimi avvenimenti saranno ineluttabili. L’attuale movimento al governo, mi viene in mente al proposito, aveva istituito anni fa delle milizie paramilitari, che hanno spinto a decisioni politiche favorevoli, riescono a controllare, a volte con la violenza, situazioni contorte o sfavorevoli, stanno creando un clima pesante verso chi si oppone all’attuale situazione, tutte azioni ben programmate per tempo, che denotano diabolica lungimiranza e analisi precise. Penso che il mio lavoro sarà indirizzato, certamente, all’immediato, ma avrà sicuramente connotazioni che guarderanno anche al futuro. Quando sento che sta per congedarmi, mi alzo prima di lui e faccio due passi verso il fianco del suo tavolo dove è presente il cestino della carta straccia, come per stringergli la mano, poi gli dico che mi ha incuriosito un libro che ho notato, e che tiene nella libreria a fianco della porta di entrata, gli comunico il titolo e gli chiedo se possa prestarmelo, e quando lui si dirige verso la libreria voltandomi le spalle, mi impossesso di alcuni fogli stropicciati, che metto in tasca. Quando ci congediamo lui fa un gesto come per porgermi la mano in segno di saluto, dato che io stesso avevo dimostrato di volerlo salutare così, faccio finta di non aver visto il tentativo ed esco.

Appena rientro in camera il primo pensiero è naturalmente osservare la sua scrittura, per vedere se l’impressione caratteriale che mi sono fatto, corrisponde alla sua grafia, ma noto immediatamente che le ante degli armadi a fianco dello scrittoio sono chiuse, mentre quando sono uscito erano solo appoggiate, guardo dentro, e con sorpresa vedo una ventina di libri e i fogli che avevo portato dalla sardegna, come siano finiti là resta un mistero, dato che non avevo notato, all’atto della preparazione delle valigie, che vi avevano inserito anche le cartelle. Mi attirano alcuni libri, realizzati come una sorta di prontuario da consultare continuamente riguardo ai vari segni, in caso di dubbio, mi saranno sicuramente utili, come mi sarà utile un altro libro che invita a considerare la grafia in modo più generale dal solito, osservando cioè la totalità della pagina, senza andare ad analizzare i singoli segni, da quella tecnica si può avere una prima impressione generale su quali indirizzi dare all’analisi successiva. Un altro libro tratta esclusivamente segni giudicati patologici, mi viene da pensare che se tanti autori hanno realizzato quei libri che trattano argomenti così specifici, e ai quali potrò attingere, non capisco come mai abbiano scelto me per un lavoro che, ora me ne rendo perfettamente conto, è forse più grande delle mie reali capacità, presenti e future. Mi mettono però nelle migliori condizioni per aumentare in modo esponenziale le mie competenze in materia.

Il pensiero per la mia donna è sempre vivo, ma al contempo le mie prossime attività mi attirano in modo coinvolgente, e alla fine dell’avventura avrò competenze altamente gratificanti, che potrebbero schiudermi in futuro strade innovative e impensabili opportunità. L’insegnante Sardo, figlio di un semplice esattore delle tasse, ma figlio anche di una civiltà contadina che nulla ha a che fare con argomenti di ultima generazione, è impegnato a dare il suo contributo ad una scienza innovativa dagli sviluppi impensabili, mi rendo conto del fatto che essere tra i primi che studieranno scientificamente la materia, potrà schiudermi le porte, se lo volessi, ad un’attività alternativa, con conseguenti vantaggi sia economici che di immagine. E se anch’io provassi a scrivere un libro, mettendo in risalto eventuali disparità di conclusioni se confrontate con i testi che ho a disposizione? Ho a che fare con una scienza sperimentale, agli albori della sua diffusione, e se imparerò a fidarmi delle mie impressioni, piuttosto che prendere per oro colato le conclusioni altrui, chissà che non si verifichi il caso di riuscire a varare una mia filosofia personale, e pubblicizzarla. E anche ragionando in termini non strettamente egoistici, perché non potrei dare il mio contributo alla nuova scienza?nIn fondo posso partire da un dato di fatto di grande rilevanza, ho nella mia casa, in sardegna, un’infinità di materiale da riempire abbondantemente uno dei due armadi, questo non è cosa da poco, e dubito che chi ha scritto questi libri possa disporre di una così rilevante mole di informazioni.

Decido di intraprendere la strada che mi si è schiusa così, senza essere evocata, nata da un pensiero spontaneo, da un’intuizione peregrina, mi viene in mente la frase del burocrate che mi diceva che qui, in pratica, posso e devo pensare in grande. Cinque minuti dopo sono di fronte a lui, gli dico che sono indispensabili per me quei fogli che custodisco in sardegna, per eseguire al meglio il mio compito, al che lui mi dice che domani avrebbe mandato un suo agente a recuperare quel materiale, la solerzia che dimostra quasi mi commuove, se non sapessi con quale persona ho a che fare, gli dico che è indispensabile la mia presenza per via del fatto che il materiale è sparso in posti differenti. Senza proferire parola, mi consegna un mazzo di banconote e due piccoli fogli, dicendomi che sono i biglietti sia di andata che di ritorno, sia per me che per Romano, non hanno scadenza e possono essere usati dappertutto, più volte, e in vari settori, sarei potuto partire l’indomani stesso; che organizzazione! Mi trovo ad operare in un contesto direi quasi onnipotente, con quei fogli in mano sarei potuto andare in giro per tutto lo stivale, treni, corriere, navi, tutto al mio servizio! E chissà quanti altri vantaggi potrò avere, una volta scoperte le potenzialità di quei fogli. Mi dice di conservarli gelosamente, perché mi danno diritti di viaggio, ma non solo, mi dice che qualsiasi esigenza abbia, acquisti, alberghi, pasti e quant’altro, sono riconosciuti non dappertutto, ma in molti posti, e in ogni caso consentono il ritiro di una determinata quantità di moneta. 

Tutti questi ultimi fatti mi fanno sentire importante, ben sapendo, però che la situazione in cui mi trovo è dettata dal caso, chi avrebbe potuto immaginare che la mia collaborazione con lo stato apportasse tanti vantaggi? E pensare che mi reputo parzialmente incompetente per il servizio che lo stato pretende da me, figurarsi se fossi una personalità nel settore! Una vita destinata a essere trascorsa tra i banchi di una scuola, con i pensieri rivolti ad una vita familiare senza scossoni, vissuta con banalità e in maniera forse noiosa, in contrapposizione a questa continua avventura che la rende sapida. E Romano non è solo la persona che mi deve controllare o proteggere, è soprattutto un appoggio per me, forse più al mio servizio, che al servizio dello stato. Ma nei miei pensieri è semplicemente una persona che potrebbe diventare un mio amico, una persona con cui relazionarmi in maniera spontanea, senza gradini di sorta, con evidenti vantaggi per entrambi.

La sera dopo facciamo il nostro ingresso sul piroscafo che ci porterà in sardegna, e dopo aver parcheggiato l’auto nella stiva, al momento di salire, siamo accolti dal comandante in seconda; senza controllare i fogli ci fornisce tutte le indicazioni utili riguardo la cuccetta a noi destinata, gli orari di cena e colazione, e ci fa sapere che, in qualunque caso avessimo bisogno di assistenza, lui è a nostra completa disposizione. Romano, scherzando, gli comunica che avremmo avuto bisogno di compagnia femminile durante la notte, giusto per capire fino a che punto potessimo osare. Il nostro viso stupito conferma poco dopo che tutto è realizzabile, ci dice che è stato avvisato del nostro arrivo, e che è a disposizione per rendere la nostra traversata quanto più comoda e serena possibile.

Il giorno dopo abbraccio la mia famiglia, non ho fretta di rientrare in continente, mi serve qualche giorno per recuperare tutto il materiale, che, secondo quanto ho dichiarato a Duilio, si trova dislocato in varie zone, naturalmente così non è, e mi servo dell’appoggio di Romano per prolungare di un paio di giorni la nostra permanenza nell’isola, lui naturalmente non rifiuta il compromesso. Non posso però entrare nei dettagli della mia nuova attività con i miei genitori, e dico loro che abito a roma, e che sto eseguendo un non meglio precisato compito per conto delle istituzioni scolastiche. La mia fantasia, in quel frangente, arriva fino a lì, loro non vogliono sapere altro. Romano dimostra di gradire la cucina semplice di mia madre, e trascorriamo tre giorni in totale rilassatezza. Mi piace lo stile di vita che sto portando avanti nella capitale, ma aver riassaporati i gusti e gli aromi della mia terra, mi fanno ricordare i tempi felici di quando era ragazzino, le gite in comitiva, i giochi semplici, il gusto essenziale e sincero che la civiltà contadina comunica, il piacere di assaggiare i frutti appena rubati dalle piante in campagna, il gusto del rischio così spontaneo, sapendo di essere spalleggiato dai compagni di avventura, il doversi fidare di loro senza problemi, sicuro che non avrebbero tradito, in una parola assaporare il gusto della naturalità della vita.

E riassaggiare i nostri vini, così particolari, dalla personalità persino troppo marcata, in contrapposizione ai gusti fruttati e delicati a cui mi sto abituando, mi fa sentire bene e finalmente a casa, qui mi sembra che il cibo abbia un diverso sapore, più genuino e semplice, e quando riassaggio le specialità tradizionali che cucina mia madre, mi chiedo se la vita che sto conducendo sia migliore di quella contadina che ho lasciato. Romano dimostra di apprezzare tutto della mia terra, lo attirano i paesaggi rustici che essa riesce a esprimere, la semplicità della gente, il modo tutto nostro di costruire le case, con materiali poverissimi, eppure così robuste, con la tipologia campidanese particolarissima, il grande cortile, al suo fianco più lungo il loggiato, case costruite pressoché in maniera simile in tutta la zona, con la disposizione classica che circonda il cortile su due o tre lati, la configurazione razionale anche in funzione della posizione del sole, dove trovano spazio una famiglia numerosa, un orticello, degli animali e sementi o paglia, una grande buca che accoglie le risulte organiche di cibi, che diventeranno prezioso concime, e un altro ambiente destinato ad accogliere gli attrezzi necessari alla lavorazione dei terreni, non manca un pozzo che fornisce acqua per uomini e animali.

Ma lo attira soprattutto la cantina, o meglio il suo contenuto, mi dice di essersi innamorato perdutamente dei vini sardi. Così, insieme alla grande quantità di fogli, trovano spazio nella macchina anche molte bottiglie di vino, prodotte da agricoltori Sorrensi. E formaggi pecorini e insaccati. E olive confezionate alla nostra maniera, e i saporiti dolci a base di mandorle. Mi dispiace rientrare a roma dopo aver riassaporato i gusti dei quali la gente dei campi gode con naturalezza, non conscia di avere per le mani beni alimentari di grande valore. La sera della partenza verso roma abbraccio la mia famiglia, non so se avrei trovato qualche occasione per rivederli presto, certo avrei dovuto trovare qualche stratagemma per rendere indispensabile il mio ritorno tra la mia gente, ma al momento la mia fantasia risulta desolatamente latitante.

Siamo appena saliti in macchina quando due carabinieri mi consegnano un dispaccio che mi intima di rientrare immediatamente a roma. Arriviamo a civitavecchia in tarda mattinata, siamo a roma nel primo pomeriggio, percorrendo le strade, anche quelle periferiche, notiamo una strana atmosfera, capannelli inusuali di persone che discutono, incontriamo un piccolo, improvvisato corteo, siamo circondati da una insolita atmosfera, decidiamo di interrompere il viaggio e informarci su cosa stia succedendo, e le notizie che riceviamo non sono per me così strampalate come potrebbero apparire, immaginavo che la situazione si sarebbe potuta evolvere verso una conclusione che a me appariva logica. E’ stato compiuto giorni fa un attentato contro il capo del governo, e la sua reazione immediata è stata la limitazione drastica delle libertà personali della gente. Sono stati sciolti i partiti e azzerata la libertà di stampa; il traballante, insicuro sistema democratico che arrancava finora, non esiste più, l’antico giornalista socialista si è trasformato in dittatore.
Il mio pensiero va a Lupo.

Anche nel nostro palazzo è sparita la calma che lo aveva contraddistinto finora, ora sembra un vespaio in subbuglio, immagino che il lavoro per i suoi occupanti d’ora in poi non mancherà di certo. Quando entriamo nella mia camera con gli ingombranti pacchi di scritti recuperati a casa, il mio sguardo si posa sul mio tavolo di lavoro, vi sono appoggiati una cinquantina di cartelle, presumo che dovrò darmi da fare per analizzare quella quantità enorme di materiale, è finita la pacchia, addio al viaggio in sardegna tra breve tempo, ora è il momento di guadagnarmi i privilegi che il regime mi concede. Ogni cartella riporta un nome e un cognome, accanto campeggia un grosso timbro con svariate diciture: socialista, comunista, anarchico, sovversivo, cattolico pericoloso, giornalista, altri fascicoli riportano solo nome e cognome, riconosco tra questi anche diciture già sentite da breve tempo, sono i nomi di politici e ministri vicini al regime, penso che il lavoro che mi aspetta, dato che diffidano persino degli amici, sarà mastodontico. Mi metto subito a lavoro, potrei analizzare almeno una ventina di cartelle al giorno, ma il fatto che dovrò giocoforza stilare una relazione dettagliata per ciascun nome, mi obbligherà a consegnare al massimo una decina di relazioni.

Con i libri più importanti in bella vista, i prontuari, comodi da consultare, inizio il mio lavoro con la parte che reputo più impegnativa e delicata, analizzo cioè prima di tutte le cartelle senza i timbri, quelle degli amici del regime. Noto che la quasi totalità degli scritti hanno elementi comuni, confrontando le date, man mano, col tempo, diventano, per così dire, un po’ più ottimisti. Sono tentato di fare una relazione comune per tutti, certo che in questa fase non mi si pretende di analizzare compiutamente la personalità di ciascuno, ma il loro adattamento alla nuova situazione, ma non lo farò, e stilerò una rapida relazione per ciascuno di loro, specificando che sono favorevoli all’evoluzione che gli eventi consegnano alla storia. In ogni caso non possono certo rappresentare un pericolo per il regime, anzi…

Mi salta subito agli occhi però, un’unica grafia tra quelle non timbrate, che si evolve col tempo, in direzione opposta a quella degli altri, man mano più problematica, come se gli avvenimenti sempre più indirizzati verso la conclusione attuale lo preoccupassero, e negli ultimi scritti compaiono segni incerti che prima non esistevano. Eppure tra i suoi scritti precedenti abbondavano segnali di una personalità rivolta verso il prossimo, con slanci verso fattori positivi, mentre negli ultimi abbondano righe indirizzate verso il basso, con disarmonie diffuse, segno di uno stato di tensione, e la scrittura, prima organica e ordinata, ora presenta anomalie, come se il precipitare degli eventi verso la dittatura lo avesse messo in allarme, e quasi il fattore fisico della scrittura, cioè la manualità espressa dalle parole in successione, non avesse il tempo di seguire il corso vertiginoso dei pensieri. Mi risulta evidente che, prima di tutto, la personalità in esame non ha più la lucidità necessaria per svolgere compiti delicati, e la sua grafia si indirizza in direzione opposta dai segni iniziali, che erano caratterizzati da segni inequivocabilmente collaborativi e fattivamente costruttivi. Dovrei stilare un rapporto estremamente negativo per quest’ultimo soggetto, catalogandolo come un potenziale nemico del nuovo regime, ma mi frena la sua scrittura precedente, di gran lunga la più positiva tra tutte, con segni rivolti a espressioni di nobiltà d’animo e intelligenza.

E siccome non sono un grande ammiratore delle dittature, la mia relazione non sarà così distruttiva, e si allineerà alle risultanze delle precedenti cartelle, sarò però costretto a certificare che i compiti a lui assegnati dovranno per forza di cose essere leggermente ridimensionati, è troppo evidente il suo disagio e il suo stato di tensione, che lo porterà certamente a valutare avvenimenti in maniera non più corretta. Faccio chiamare Romano, mi serve assolutamente, e in breve tempo, un’informazione che deciderà la mia relazione definitiva. Arriva immediatamente, gli concedo esattamente un giorno di tempo per scoprire se effettivamente nel palazzo operi un altro grafologo. Gli dico che per ventiquattro ore non lo avrei disturbato, per nessun motivo, e che conto sulla sua discrezione per non dare troppo nell’occhio, lui mi comunica che proprio quello è il suo mestiere, e mi assicura di avere i canali giusti per scoprire quello che mi interessa e si mette subito al lavoro.

Stilo parte delle relazioni dei personaggi favorevoli al regime, lasciando in sospeso l’ultimo, problematico caso. E passo ad osservare così, senza dover fare immediatamente relazioni, per curiosità, le risultanze grafiche di personalità di cattolici e giornalisti, anche queste sono abbastanza problematiche, soprattutto riguardo agli ultimi scritti, che denotano sempre più insofferenza verso i nuovi eventi, anche con loro non userò la mano dura in maniera eccessiva. Tra questi scritti si distingue al primo, rapido sguardo, una cartella contrassegnata dalla dicitura “cattolico”, noto segni che denotano grande intelligenza e capacità di valutazione, ma accompagnati da chiarissimi elementi continui ed evidentissimi di scrittura contorta, ed elementi generalizzati che mi fanno pensare, oltre che a un impellente bisogno di giustizia, anche ad una fortissima repulsione a sistemi sociali non condivisibili, e a una capacità di reazione che reputo incurante di mettere a rischio la propria incolumità. So già come stilare anche queste ultime relazioni, senza evidenziare troppo la pericolosità dell’ultima grafia analizzata, e le catalogherò un po’ tutte alla stessa stregua, parzialmente pericolose. Se le notizie di Romano confermeranno la presenza di un altro grafologo, sarò sempre in tempo ad apportare piccole modifiche di valutazione personale.

Il mio lavoro per oggi è terminato, stavolta mi appresto a consumare la cena nel palazzo, anche se preferisco ogni sera mangiare in qualche osteria, dato che voglio lasciare libertà di azione al mio amico, che però, mi raggiunge quasi subito. E’ stato veloce anche nel compito che gli ho assegnato, e mi dice che, per ora, la notizia che nel palazzo opera un altro grafologo è totalmente e sicuramente falsa. Gioco forza, però, dovrò stilare relazioni con un minimo di verità, dato che possono essere controllate in qualsiasi momento, anche in tempi successivi, e non posso esentarmi da rilevare caratteristiche pericolose di ciascuna grafia, quando necessario, fatto sta, però, che le grafie che evidenziano bontà d’animo e propensione verso il bene del prossimo, se giudicate da me stesso scritte da personaggi pericolosi per il regime, non saranno giudicate in modo troppo severo. E al contrario, se dovessi venire a contatto con grafie di persone vicine al regime, che denotano personalità inequivocabilmente negative dal punto di vista psicologico, anche se non particolarmente pericolose, stroncherò quelle personalità senza pietà.

Consegno allora, prima di cena, le poche relazioni già pronte, certo di non correre rischi immediati, avendole redatte in modo da modulare con una certa elasticità i risultati, mettendo un pizzico di verità; sono certo di correre rischi trascurabili anche se dovessero toglierle dagli archivi in tempi futuri. E ci godiamo la prima cena consumata nel palazzo, che si rivela niente male, composta da cibi raffinati, e da ottimi vini, ma il contesto in cui si consuma un pasto ha la sua rilevanza, e sia io che Romano preferiamo di gran lunga qualche osteria popolare. La splendida notizia che non esiste nessun altro grafologo nel palazzo, mi ha messo di buon umore, e non mi pesa il pensiero che sto servendo il regime in modo così subdolamente infedele, ormai anche il mio amico ha parzialmente cambiato opinione politica, e sono sicuro che non mi tradirà mai, qualsiasi cosa succeda. Per come lo conosco, sia personalmente, avendo affrontato con lui innumerevoli discussioni, sia per la complicità che si è creata tra noi, per la gestualità che esprime, e per la sua grafia, sono certo che il nostro sarà un sodalizio destinato a durare nel tempo senza scossoni.

Durante la cena ricevo una lettera di Dalida, con disappunto noto che è stata spudoratamente aperta, mi alzo di scatto, e chiedo spiegazioni al mio diretto superiore, che sa cenando non lontano dal mio posto, lui mi risponde quasi con noncuranza che l’ha aperta lui e che questa è la prassi, mi dice testualmente, con un sorrisetto sarcastico, che in fondo siamo in regime di … regime. Non sopporto spiritosaggini neanche da lui, e mi dimostro risentito, posso capire che vengano controllate le mie lettere in uscita, ma che si intrometta tra due fidanzati non è concepibile. Per tutta risposta mi dice di stare attento a come parlo e soprattutto a come agisco, e che lui ha il dovere di controllarmi da vicino. Domani, prima di iniziare il mio lavoro, avrò il piacere di controllare la sua scrittura, dato che gli avvenimenti si sono susseguiti con troppa rapidità e non l’ho ancora fatto, e nel mio archivio personale e segreto figurerà anche il suo nome. Sono certo che mi sto creando un nemico, ma deve stare attento anche lui, forse non conosce la cocciutaggine dei Sardi quando stabiliscono che una persona è da scartare o da punire.

Quando vado a letto sono nervoso, mi piacerebbe che le persone con le quali vengo a contatto si comportassero lealmente, specie quelle che hanno compiti dirigenziali, ma penso che proprio loro si siano conquistati quei privilegi facendo a gomitate con i possibili rivali, prevaricando e compiendo azioni inqualificabili, la mia vendetta sarà approfittare della mia posizione di grafologo e distribuire elogi alle persone meritevoli, e stroncare chi non merita il posto che si è conquistato in modo ingannevole. Reputo che la qualità più apprezzabile di qualunque individuo, sia l'onore, il rispetto di se stesso e degli altri, è solo una conseguenza, reputo inoltre che la mia parziale infedeltà verso il regime, non sia disonorevole. In fondo sto eseguendo un compito che non ho cercato, nè voluto, un compito imposto.

Mi sveglio molto presto, non ho voglia di stare ancora a letto, ho una frenesia addosso incontrollabile, voglio analizzare la scrittura del mio capo. Ad una prima analisi non trovo nulla di particolarmente negativo, secondo la mia esperienza, né analizzando i segni singolarmente, né ad uno sguardo più generale, denota possesso di carattere in quanto spiccano segni abbastanza angolosi, ma conoscendo i suoi comportamenti e la sua gestualità, sono sicuro di sbagliarmi. Analizzo una per una ogni singola lettera, e per ciascuna sfoglio i prontuari e alla fine saltano fuori le magagne. La sua scrittura sembrerebbe ordinata in modo troppo evidente, anche considerando che presumibilmente i fogli che ho recuperato non erano indirizzati a nessuno, sembrerebbero delle note ad uso personale, mi domando perché abbia messo in campo quella grafia impeccabile su dei fogli che sarebbero finiti comunque tra i rifiuti, mi attira la pulizia formale, l’orizzontalità delle righe, puntigliosa ed esasperatamente diritta, il calibro delle lettere senza alcuna variazione, nessuna disarmonia o grafia contorta, immagino che metta ancora più cura quando i fogli sono destinati ad essere letti da altri, devo trovare sui manuali cosa comportano queste caratteristiche.

I manuali mi schiudono conclusioni inimmaginabili, certe caratteristiche che a me sembravano da valutare in maniera positiva, secondo quello che ho appena letto sono da considerarsi sfavorevolmente. Con sorpresa apprendo che alcune caratteristiche sono in antitesi con segni, per così dire, che denotano intelligenza, ed evidenziano un adattamento troppo passivo all’andazzo generale, senza alcuna spinta verso l’ignoto, un cervello, insomma, che si è adagiato sui risultati ottenuti, una personalità che va avanti per inerzia. Notizie che mi saranno utili quando avrò altri contrasti con lui. E scopro ancora una notizia che non avevo mai preso in considerazione in maniera approfondita, che afferma che la scrittura troppo leggera, senza alcuna pressione sul foglio denota uno stato di sensibilità troppo accentuata, anomala, e la sua grafia è così leggera che addirittura certe parti di qualche lettera non si vedono, una scoperta che va controcorrente all’impressione che vuole dare di sé con angolosità accentuata delle curve. Gli angoli abbastanza accentuati, secondo il prontuario, sono in netta contrapposizione con la leggerezza esasperata della scrittura, come se voglia inconsciamente dare ad altri un’impressione di sé che nemmeno lui condivide, per forza di cose trovo che ci siano sostanziali incongruenze. Tra me penso ad una personalità contorta, che ama nascondersi. E scopro, infine, dopo analisi più approfondite, che certi suoi segni denotano introversione e asocialità, altri propensione all’avarizia; la sua firma è assolutamente dissimile allo stile consueto, ne so abbastanza anche se in effetti non ho trovato alcun riscontro che rasenti stati espressamente e inconfutabilmente patologici, o eccessi troppo evidenti, dovrò spulciare attentamente il libro sui segni anomali che spero mi diano ulteriori riscontri.

Conosco quali sono i limiti evidenziati, e posso intervenire in casi estremi, infatti conoscere i punti deboli di chi mi contrasta è un vantaggio non indifferente. Ho appena sistemato la sua cartella al sicuro, accompagnata da una relazione indirizzata verso conclusioni estremamente negative, accentuate all’eccesso, certo più del dovuto. Mi appresto ad analizzare le cartelle che contengono i profili di avversari del regime, quando lo vedo di fronte a me, con un altro mazzo di fascicoli pronti per essere analizzati, ne approfitto per osservarlo, ho letto che dai tratti anatomici, specie del viso e delle mani, e quelli generali della struttura fisica, si possono ricavare ulteriori informazioni.
“Sospendi quei fascicoli che hai di fronte, e lavora su questi che ti ho appena portato, voglio una relazione entro oggi, su tutti, in particolare, riguardo il primo, mi devi consegnare il rapporto entro le prossime due ore”. 
Non è restato troppo tempo nella mia stanza, ma l’ho osservato attentamente: fisico asciutto e minuto, mani che presentano impercettibili rigonfiamenti nelle giunture delle ossa, posizione del corpo leggermente curvata in avanti, grandi e sottilissime orecchie, unghie biancastre, voce stridula e occhi minuti ed esageratamente affossati. Prendo nota e mi appresto ad analizzare la grafia del primo della lista.

Toh, è la cartella del mio conterraneo giornalista, a fianco del nome spiccano due timbri: “deputato comunista” e “estremamente pericoloso”. Potrei anche non analizzare la cartella, dato che la sua grafia è già stata analizzata compiutamente da me in passato, ritengo curioso però il termine pericoloso apposto con un timbro in grande evidenza, dato che mi invitano ad esprimere un parere, e mi viene da pensare che la mia relazione non avrà alcuna valenza anche se giudicassi quella persona incapace di creare seri rischi per la dittatura. La analizzerò senza grandi approfondimenti. Osservo la grafia dal punto di vista generale, mi sembra tutto regolare ed equilibrata, non noto segni patologici, e le lettere non mi comunicano sensazioni particolari, tre minuti di analisi mi bastano, non voglio cercare troppo assiduamente difetti in quella scrittura, primo, perché è un mio illustre conterraneo, secondo perché mi fa venire in mente una persona che non c’è più, e alla quale ero estremamente affezionato, il mio amico Lupo, grande ammiratore di chi ha scritto quei fogli. E se per le altre cartelle ho dedicato più tempo per analizzarle, e meno per stilare la relazione, per questa faccio il contrario. Termino il mio lungo rapporto positivo con la frase: “persona non in grado di mettere a repentaglio la sicurezza dello stato”. Almeno questo glielo devo, in memoria di Lupo. Sono certo, però, che la frase è estremamente truffaldina, e la determinazione, la costanza e l’intelligenza che dimostra la sua grafia, unita alla tradizionale cocciutaggine dei Sardi quando stabiliscono un fine, mi portano a pensare che potrei avere dei grossi guai per questo, ma penso che saprò difendermi … Alla scadenza delle due ore stabilite consegno la relazione, noto che gli occhietti del capo sono bramosi di leggerla immediatamente.

Mi rimetto al lavoro, analizzando gli altri fascicoli, portano nomi sentiti altre volte e tutti evidenziano timbri con la dicitura: “parlamentare”, oppure specificano la passata appartenenza a un partito politico. Non ho ancora terminato la relazione successiva, quando rivedo il mio capo, spalanca come una furia la pesante porta, mi butta con rabbia la cartella sul tavolo e mi dice con la sua voce stridula che non va assolutamente bene. Gli dico di farla analizzare all’altro grafologo, dato che non è convinto dei riscontri che gli ho presentato, gli faccio notare che mi sarebbe stato molto più facile confermare la dicitura del timbro e lo invito a lasciare la stanza perché ho lavoro urgente da svolgere, lui per tutta risposta mi lascia la cartella sul tavolo e mi dice che vuole un’altra relazione completamente diversa, esattamente tra un’ora. Quando ho fatto riferimento all’altro grafologo, è restato un attimo interdetto, segno che le informazioni di Romano al riguardo erano esatte. Proseguo con le mie analisi, trascorre ben più di un’ora, ed eccolo di nuovo, a pretendere la nuova relazione. Apre la cartella che non è stata spostata di un millimetro, si accorge che non è stata cambiata una virgola, e mi dice che per questo avrei passato grossi guai, per tutta risposta gli dico che è libero di redigerla da sé, e se vuole altri riscontri, diversi da quelli presentati, mi deve mettere di fronte l’interessato, o almeno fornirmi suoi filmati, per ora le mie conclusioni, unicamente riferite alla grafia, non possono essere cambiate, gli dico che spero di non godere più della sua fiducia, così sarei tornato nelle marche, con buona pace di chi mi ha stravolto la vita.

Per una volta lo vedo un po’ in soggezione di fronte alla mia determinazione, mi illudo che abbia capito che la mia relazione sia corretta e sincera, e se ne va, un po’ meno nervoso. Ma dopo appena tre ore eccolo con dei filmati, li visioniamo insieme, e alla fine gli dico che la mia relazione non può essere cambiata. Se ne va, ma non prima di avermi lanciato uno sguardo che sembra voglia incenerirmi all’istante, con il dito indice della mano destra sollevato, come se stesse per dirmi una frase molto offensiva, ma dalla bocca non gli esce un sibilo, tanta è la sua rabbia, la pesante porta alle sue spalle emette un boato come se fosse scoppiata una bomba! La guerra tra noi è sancita. Per oggi l’ho visto molte più volte del necessario, e cerco Romano per andare a pranzo, molto prima dell’orario che sceglievamo di solito, questo posto mi sta diventando indigesto e voglio abbandonarlo il più presto possibile, e rientrarvi ben al di là degli orari usuali.

Di fronte ad un abbacchio cucinato alla perfezione, e ad un boccale di frizzante vino di frascati, mi sfogo raccontandogli tutto l’accaduto, compreso il fatto di aver analizzato la scrittura del capo, trovando elementi che potrebbero essermi utili nel caso mi debba difendere da probabili sue azioni future. Romano mi consiglia di non tirare troppo la corda, mi dice che in passato ha avuto contrasti con altri suoi sottoposti, e lui ne è uscito sempre vincitore. Gli rispondo che forse i suoi antagonisti non possedevano la mia cocciutaggine e armi necessarie per potersi difendere. Tre giorni dopo apprendo che il mio conterraneo è stato arrestato, passano pochi mesi e si celebra il processo, viene condannato e incarcerato. Sono dispiaciuto per tutto questo, la mia relazione non è servita ad evitargli la reclusione, egoisticamente penso che potrei passare guai anch’io.

La mia attività si dipana tra perizie grafiche, studi grafologici e psicologici, indirizzati prevalentemente alla acquisizione di competenze in fatto di segni patologici, e qualche uscita pomeridiana o serale alla scoperta di angoli nascosti di roma; nonostante che le nostre scorribande per la capitale siano frequenti, la città è così estesa che non basterebbero mesi per visitarla dettagliatamente, gli edifici di grande rilevanza sono innumerevoli, le vestigia dell’antica civiltà da visitare minuziosamente, e piazze, fontane, chiese, mercatini rionali, spazi aperti e sportivi, e quant’altro, sono troppo numerosi, e ogni volta Romano trova posti sempre nuovi e interessanti che non abbiamo ancora visitato. Ma le mie uscite, ultimamente, si sono diradate, per via delle troppe cartelle che mi consegnano giornalmente. Abbiamo ovviato anche al problema della corrispondenza con Dalida, in quanto una sorella di Romano si è offerta di riceverne la corrispondenza; nel palazzo tutti sanno che ci siamo lasciati.

Col passare del tempo, di pari passo al consenso generale che il regime si è guadagnato con politiche volte a dare grande importanza alla nostra nazione nel mondo, ad una assidua propaganda, e ad assicurare lavoro per tutti, il mio impegno diminuisce sensibilmente, segno, forse, che i contrasti interni si affievoliscono, del resto chi non si dichiara favorevole al regime, non viene messo nelle condizioni di poter sopravvivere, e molti personaggi di rilievo preferiscono continuare la loro opposizione al regime, lontano dai confini nazionali. Si fa sempre più pressante per me il bisogno di costruire la mia vita a fianco di Dalida.

Ho iniziato a prendere appunti per il mio libro sui segni grafologici che avevo catalogato nella mia banca dati, costituita semplicemente dai fogli provenienti dalla sardegna, solo una minima parte di loro non trovavano riscontri tra i segni reputati classici dalla letteratura grafologica, in tutto ho catalogato quasi un centinaio di segni, la maggior parte ricavati da altri autori, e una piccolissima parte scoperti da me, a cui do risalto accomunando a qualcuno di essi una sorta di descrizione della gestualità che in genere li accompagna. E se altri autori esplicitano e catalogano per lo più segni, io cerco di relazionarli, quanto più possibile, alla descrizione e alla correlazione di caratteristiche anatomiche, alla gestualità che normalmente li accompagna, che vanno ad aggiungersi alle descrizioni scoperte in precedenza da altri, sto compiendo, cioè, un lavoro di completamento di esperienze altrui, molto importante quando si ha la necessità di collaborare all’evoluzione di una nuova scienza. Ma per scrivere un libro, devo sapere esattamente quali siano le tendenze che indirizzano altri autori, per non incorrere in affermazioni già esplicitate da altri, e mi viene da pensare che potenzialmente ho il materiale che mi serve, dovrei unicamente andarlo a prendere.

Si trova in casa di Lupo, libri e giornali che mi sarebbero stati utili; devo trovare una scusa per recarmi nelle marche, non posso però accampare il pretesto che ho la necessità di vedere la mia donna, perché tutti sanno che ci siamo lasciati. Ne parlo con Romano, mi dice che l’opzione più favorevole per convincere il mio capo sarebbe sicuramente quella effettiva: mi serve materiale per scrivere un libro, e per il mio compito attuale, e lo posso trovare a fermo, o nel circondario. Ne parlo il giorno dopo con Duilio, con sorpresa mi dice di andare il più presto possibile e restarci almeno una settimana, così si sarebbe, forse, disintossicato dalla mia presenza, non mi poteva andare meglio, e una tregua col mio capo non dispiace nemmeno a me, mi ordina però di prendere contatti col podestà, mi sarebbe stato utile per reperire altro materiale, ma sospetto che attraverso lui, voglia controllare le mie mosse. Assecondiamo con piacere il suo volere e la mattina dopo siamo in partenza per le marche.

La prima tappa è naturalmente la casa di Dalida, non mi accolgono troppo bene, io cerco di spiegare i motivi della mia sparizione, ma non posso entrare troppo nei particolari, anche lei pretende spiegazioni che non posso darle. Il giorno dopo varco l’entrata dello splendido palazzo di piazza del popolo, per mettermi in contatto col podestà, lui mi accoglie bene e mi dice che se volessi, potrei consultare dei manoscritti presenti nel palazzo, redatti da personaggi importanti del passato, e al momento di congedarmi mi chiede se abbia notizie di Lupo, la domanda mi mette in allarme, ma al contempo mi schiude un barlume di speranza per la sorte del mio amico, gli dico che è ormai troppo tempo che non ho sue notizie, e per quanto ne so potrebbe essere dappertutto, o da nessuna parte.

La notte, col favore delle tenebre, recuperiamo tutto il materiale cartaceo presente in casa di Lupo, mi sembra che manchi qualcosa, ma nel contempo mi accorgo che qualcosa è stata aggiunta, un libro e qualche foglio di giornale, controllo le date, sono recentissime, Lupo è dunque vivo, e si è recato di recente nella sua casa, sicuramente di notte, se l’aggiunta dei giornali recenti fosse opera sua, dovrebbe essere in zona. Rimetto a posto il materiale recuperato, gli chiederò se posso utilizzarne almeno una parte, per giustificare il viaggio, il problema sarà unicamente riuscire a mettermi in contatto con lui. Sotto la mattonella che Lupo mi ha indicato nascondo un mio messaggio. Trascorro la notte in casa di Lupo, in compagnia di Romano, in attesa che il mio grande amico si faccia vivo, ma di lui nessuna traccia, in effetti non ho la assoluta certezza se sia ancora in vita. Come al solito quando ho bisogno di lui non si fa vivo, poco male, se è in zona mi troverà lui.

Tornare a fermo mi ricorda i tempi andati, noto che gli atteggiamenti delle persone non differiscono dal solito, come se la situazione politica non fosse cambiata, la cittadina ha l’immutabile aspetto clericale, e la gente continua a parlare di politica, senza però dare troppo nell’occhio, ed evitando capannelli di persone. Trascorro la mattinata approfittando dell’opportunità offertami dal podestà di consultare antichi manoscritti, vengo anche a contatto con grafie di papi. Trascrivo tratti che mi sembrano interessanti, cercando di imitare lo stile grafico, ci sarà tempo in seguito per analizzarli, confrontandoli con la loro personalità ricavata dalla storia. Anche la sera è dedicata a questo lavoro, e all’imbrunire prendiamo posto in uno spazio aperto di un’osteria, con la speranza di venire notati dal mio amico Lupo. Ceniamo all’aperto, e quando le tenebre si fanno più fitte, torniamo a casa del mio amico, ci apprestiamo a coricarci quando la porta si spalanca, eccolo là il fuggitivo, un forte abbraccio e le presentazioni di rito.

Ci raccontiamo gli ultimi avvenimenti.
“La notte scorsa stavo per entrare in casa, quando mi sono accorto che all’interno c’era qualcuno, e siccome è capitato altre volte che squadristi mi abbiano aspettato, non ho voluto rischiare anche perché non sentivo alcuna voce e non potevo immaginare chi avesse occupato la casa, stamattina però sono entrato, ho guardato sotto la mattonella, ed ho scoperto che il visitatore eri tu, ed eccomi qui, felice di rivederti, amico mio.”
Gli racconto ciò che mi è capitato, ed il lavoro che sto compiendo, ma sintetizzo al massimo l’esposizione, ho una dannata fretta di conoscere l’evoluzione degli avvenimenti che lo riguardano, e informarlo che per lungo tempo ero convinto che fosse morto o imprigionato, certo che tra gli organizzatori dell’attentato ci fosse anche lui.

“Appartengo ad un’organizzazione anarchica che ha deciso di eliminare il dittatore, e se in genere agiamo singolarmente, stavolta abbiamo deciso di non rischiare e organizzare per bene un attentato. Eravamo in sette, ma ancora prima di agire, due miei compagni sono stati picchiati e sequestrati dagli squadristi, che però erano sicuramente ignari della decisione presa, e noi abbiamo continuato ad organizzare l’azione, non è la prima volta che abbiamo avuto grosse noie senza andare a cercarcele. Per un motivo o per un altro, la decisione è stata rimandata più volte, a roma abbiamo deciso che là saremmo entrati in azione, aspettando un’occasione favorevole, ma ancor prima di agire, un mio compagno è stato arrestato, mentre un altro è stato ferito e bastonato, perché trovato in possesso di un’arma, un terzo, riconosciuto e inseguito, ma salvo, ha detto di voler espatriare in svizzera, un altro verso nord, ed io sono rientrato in questa zona, ma penso che sappiano esattamente chi siamo, infatti mi stanno cercando, anche se non ho avuto modo di compiere alcuna azione, evidentemente hanno deciso di arrestare tutti gli anarchici, a prescindere da eventuali colpe. Essere venuto qui proprio ora che ci sei tu penso sia un grosso rischio per entrambi, e infatti tra un po’ vado via, se ci dovremo vedere sarà in un altro posto”.

Prendiamo accordi per una prossima volta, naturalmente sarà lui a trovarmi, gli dico che ho necessità di prendere i suoi giornali e libri, e lui acconsente. La mattina successiva vado a casa di Dalida, lei come al solito è scostante con me, pretende dettagliate spiegazioni sulla mia attuale vita, le spiego il minimo indispensabile, forse anche più del dovuto, ma per lei non è sufficiente, e mi dice di evitare di cercarla in seguito, ha deciso di lasciarmi. Tra me penso che abbia perfettamente ragione a comportarsi così, io non mi fido a svelarle alcunché, non perché non la ritengo affidabile, ma perché potrebbe svelare particolari inavvertitamente, e so benissimo che in quel caso sarebbe a rischio la mia incolumità, mentre lei non mi stima abbastanza per potersi fidare ciecamente delle mie affermazioni. Le dico che quando tutta questa situazione terminerà, il tempo decreterà se il nostro rapporto potrà riprendere, per il momento ciascuno vivrà la sua vita autonomamente. Quando vado via dalla sua casa, stranamente non sento alcun peso, e seppure la mia stima per lei resta immutata, penso che l’evolversi della situazione non mi consente di comportarmi diversamente. Ho perso la mia donna, ma il dolore è abbondantemente compensato dal fatto che il mio amico è ancora vivo e libero. 

Il giorno dopo ci incontriamo in una località giù a valle, e così possiamo parlare con maggiore tranquillità, Romano gli spiega che è proprio per colpa di un attentato, che si è instaurata la dittatura, Lupo controbatte che l’attentato è stato semplicemente un pretesto, e che l’attuale sistema era stato deciso da tempo, le gerarchie che hanno preso il potere aspettavano semplicemente un appiglio su cui aggrapparsi, di qualsiasi natura esso fosse. Seppure tutti e tre siamo arrivati alle stesse conclusioni, e ormai siamo tutti schierati contro il regime, le nostre posizioni al riguardo differiscono tra loro. Il meno critico verso di esso è Romano, che afferma che nonostante le restrizioni delle libertà personali, il regime mira al progresso economico della nazione, che si sta conquistando pian piano il rispetto del mondo. Ricorda che il regime è impegnato in grandi lavori per recuperare terreni per i contadini, in una grande battaglia che mira a realizzare autosufficienza economica, specie in agricoltura, nella lotta contro la delinquenza organizzata, e nella costruzione di grandi opere architettoniche, un regime che crea lavoro, e che sembrerebbe dalla parte degli operai.

Lupo ricorda invece che il regime si è macchiato di delitti infami, ha giovato di un clima oppressivo verso i dissidenti, incarcerato personalità di grande rilevanza, ora sta mettendo in atto strategie comunicative che mirano ad annichilire pensieri contrari e uniformare il sentire popolare alle sue direttive, ha soppresso partiti e libertà di stampa, indirizzato elezioni a suo piacimento, e pian piano sta isolando la nazione dal contesto mondiale, istituito di nuovo la pena di morte e tribunali speciali. Se tutto questo non bastasse a catalogare il regime in modo estremamente negativo, non saprebbe quali altre azioni politiche dovrebbe mettere in campo per poter essere definito scandalosamente scellerato. Informa Romano che anche lui, dopo la fine dell’ultima guerra, ha fatto parte di squadre paramilitari della prima ora, istituite in suo appoggio, e che ha conosciuto personalmente l’attuale dittatore, ma ha ripudiato in fretta quella decisione, perché ha notato evidenti anomalie nel pensiero politico e soprattutto nelle azioni vili messe in campo; ora il suo unico pensiero è di cercare l’occasione di compiere un attentato, anche se da solo, e a costo della sua vita.

Lo metto al corrente della mia nuova attività, dell’ambiente in cui opero, delle mie relazioni grafologiche infedeli, e dei contrasti con il mio superiore. Tra me penso che durante questi giorni ho perso la mia donna, ma ho scoperto piacevolmente che il mio grande amico è vivo e vegeto, e determinato più che mai a portare a termine azioni eclatanti. Ho tanto tempo ancora per stare a contatto di Lupo, mi tratterrò ancora per qualche giorno nella cittadina, e gli consegno un mazzo di banconote, dicendogli che sono offerte dal regime… Quando lo vedo, il giorno dopo, al solito posto, mi mostra furtivamente una rivoltella, parte dei soldi è stata utilizzata per l’unico scopo che gli è rimasto nella vita.

Qualche giorno dopo Romano ed io siamo di nuovo a roma, mi aspettano due montagne di cartelle separate tra loro, a destra portano tutte diciture del tipo: politico, oppure podestà, generale, gerarca e simili, tutta gente vicina al regime, dato che i politici, per essere candidabili durante le ultime elezioni, dovevano appartenere ad esso. Il gruppo di cartelle alla mia sinistra è composta da personaggi contrari al regime: comunisti, anarchici, intellettuali, qualche sacerdote e molte personalità che hanno scelto di espatriare. Metto molta cura per il primo gruppo a scovare segni patologici, che pian piano sto imparando a riconoscere, e non do troppa importanza all’analisi caratteriale, piuttosto, dato che riesco, con uno sguardo fugace, a valutare la bontà d’animo, o meno, mi concentro soprattutto su questo aspetto, e stilo in poco tempo un gran numero di relazioni. Alcuni nomi di gerarchi di una certa notorietà, invece, subiscono un’analisi un po’ più approfondita.

Mi sono liberato in due giorni di quei personaggi che mi risultano sempre più odiosi, in genere la loro grafia denota spudorata ricerca di apparire, ambiguità diffuse, ma non manca qualche personaggio dall’intelligenza al di sopra della media, e quando trovo segni che denotano quelle caratteristiche, presto un po’ più cura alla analisi dei testi, ma il quadro generale di quella serie di cartelle è abbastanza grigio e triste. E passo ad analizzare le cartelle che mi ispirano maggiormente, e tra queste noto caratteristiche di determinazione, coraggio e intelligenza. Tra queste mi salta agli occhi, immediatamente, una cartella in particolare, con la dicitura: anarchico. Noto evidentissimi segni positivi, rotondità di segni, ma non eccessiva, variazioni di calibro continui, segni indirizzati verso l’alto e a destra, distanza tra parole e lettere regolari, una grafia indirizzata verso sentimenti nobili, ma non mancano segnali che esplicitano risolutezza.

I gesti spontanei hanno la prevalenza sugli altri, nessun accenno a ricci negativi, o a caratteristiche ritmiche esasperate, una scrittura armonica e chiarezza di grafia nella norma, caratteristiche che mi fanno pensare ad una persona equilibrata e determinata allo stesso tempo. A grandi linee potrei tracciare un profilo anatomico abbastanza convinto, ma non mi azzardo ancora a cimentarmi in quel difficile campo. Immagino anche la gestualità che esprime, e sotto questo aspetto penso di non sbagliare. Il personaggio mi incuriosisce, ma le sue generalità non mi comunicano alcunché, mi piacerebbe conoscerlo di persona, anche per motivi professionali, e scoprire chi è in possesso di una grafia che giudico in maniera estremamente positiva. Chiamo Romano e lo prego di cercare ulteriori elementi su quella persona, naturalmente avrebbe dovuto svolgere un lavoro “sotterraneo”, senza dare troppo nell’occhio.

Analizzo le cartelle rimanenti, lo faccio abbastanza svogliatamente, e penso che da una passione presente già da bambino, ho creato un’attività soddisfacente, ma che si sta trasformando in routine, in una situazione che non mi dà più troppe soddisfazioni, salvo quando analizzo qualche rara grafia interessante, o quando vengo a contatto con personaggi di grande rilievo, allora il mio impegno è ai massimi livelli, e mi scopro a spulciare puntigliosamente ogni minimo dettaglio. Dopo cena, con Romano, rientriamo sempre più tardi al palazzo, la vita notturna di roma, è estremamente interessante, anche se subisce le negatività di un regime. Frequentiamo ambienti raffinati, gruppi di intellettuali per lo più politicamente vicini al regime, a volte andiamo a teatro, o visitiamo qualche mostra artistica. Quest’ultimo campo mi attira particolarmente perché dà l’idea di guardare al futuro, più di ogni altra manifestazione culturale, e in genere le persone che frequentano gli ambienti artistici sono aperte ad esperienze innovative. In poco tempo conosciamo pittori, scultori e architetti, ma altre forme artistiche sono in evoluzione, prima tra tutte per importanza la cinematografia. Pur non condividendo l’evoluzione che il regime ha imposto al paese, in campo artistico e architettonico il prestigio della nostra nazione aumenta sempre più in ambito internazionale, ma penso che siamo in presenza di ottimi interpreti del bisogno di cambiamento culturale, che le nuove opportunità consentono, penso che in un’altra forma di sistema, più democratica, più libera, i risultati sarebbero potuti essere anche superiori.

Abbiamo il privilegio di venire accolti in molti studi di pittori e scultori, i contesti dove più si sentono le spinte moderniste, molto più che in una mostra, in quanto possiamo venire a contatto con sperimentazioni che non sempre vengono messe a diretto contatto con la gente, una miriade di lavori e schizzi ritenuti spesso troppo innovativi per essere esposti. Mi piace stare a contatto con queste personalità, che dimostrano di essere quanto di più lontane da concezioni generalizzate, gente che con le sue opere esprime voglia di cambiamento e svecchiamento delle forme artistiche del passato, in sinergia al pensiero innovativo presente in tantissime forme di manifestazioni umane, nascono persino scienze completamente nuove, di pari passo con l’avanzare di nuove tecnologie, e tutto si evolve e si trasforma. Ormai vivo per la notte, il mio compito nel palazzo non mi attira più come prima, forse ho esaurito la spinta che mi invogliava a dedicare energie finalizzate al mio miglioramento professionale. Se prima guardavo con avidità un foglio da analizzare, ora sono entrato nell’ordine di idee che sto eseguendo semplicemente un lavoro, e mi dà fastidio la mia spontanea supponenza di essere arrivato a conoscere ogni segreto della grafologia, naturalmente così non è, solo che mi basta una rapida occhiata per avere la prima approssimativa impressione della personalità di chi ha redatto quel foglio.

La maggior parte delle valutazioni successive sono spesso una conseguenza dell'esperienza conquistata. Eppure sono costantemente a contatto con una scienza sperimentale, che per definizione ha bisogno di ulteriori riscontri, ma in questo periodo non ho voglia di essere proprio io quello che darà impulsi decisivi al suo sviluppo, e mi accontento di svolgere il mio lavoro alla meno peggio, risparmiando energie per vivere la mia vita notturna. Durante la festa di inaugurazione di una mostra di un certo risalto, frequentata da personaggi importanti della capitale, vengo attirato dalle forme sinuose e slanciate di una donna intenta a gustare un calice di vino, ma non posso vederla in faccia in quanto mi volta le spalle, avvolta da un abito dal colore unico, di un rossastro abbastanza evidente, ma non sfacciato, capelli lunghi, ma raccolti per mezzo di una spilla. Abbandono Romano e cerco di vederla in viso, mi appare una pelle che sembra porcellana, due occhi profondi che prendono risalto da un trucco palesemente eseguito a regola d’arte, ma non pesante, il rossetto, quello si, è molto evidente, ma di una tonalità non troppo comune, l’abito rosso mette in evidenza una profonda, sottilissima scollatura, che lascia intravvedere una splendente collana argentata. I capelli castani, raccolti all’indietro con una semplice acconciatura, lasciano completamente libera sia la fronte, che una coppia di piccoli orecchini, della stessa fattura della collana.

L’impressione generale è che mi sembra di poter affermare che mi trovo alla presenza del mio ideale fisico di donna. Quando mi lancia, un inconsapevole, fugace sguardo, decido che devo assolutamente conoscerla, mi avvicino, le chiedo se il vino sia buono, e al suo gesto affermativo prendo un calice anch’io, dopo aver riempito il suo.
“Mi presento, sono Gavino”.
In quel momento mi sono sentito inadeguato, come può, uno che si chiama col mio nome, far colpo su una donna raffinata come lei, per giunta in un contesto altrettanto elegante?
“Eleonora, sarete sicuramente Sardo”.
Mi guarda con quei profondi occhi indagatori.
“Si, vengo da cagliari, sono un insegnante elementare”.

Se avessi voluto dare un’aria di mistero sulla mia persona, cosa che le donne che ho finora conosciuto hanno dimostrato di apprezzare, avevo sbagliato nettamente strada, in quattro parole le ho comunicato provenienza e professione, mi viene voglia di mordermi la lingua…
“Abitate a roma?”
“Si, sono qui per un lungo periodo, ma la mia sede è nelle marche, abitate a roma anche voi?”
Altre informazioni gratuite…
“Si, sono Romanissima.”
La convinco a visitare assieme a me la mostra, il contatto è stabilito alla meno peggio.
Dimostra di essere una vera esperta di arte, al corrente delle ultimissime tendenze, e non solo pittoriche. Sguazza su disquisizioni artistiche come se fosse il suo ambito preferito, quello che sembra darle soddisfazione affrontare, anche stavolta mi sento inadeguato e cerco di non intervenire a sproposito visto che sono digiuno in materia.
“Ma imparo in fretta”, penso tra me.

Trascorro tutta la serata in sua compagnia, e dato che non ho mai perso il vecchio vizio di osservare i comportamenti della gente, osservo la sua gestualità: con grande disappunto devo rilevare che è praticamente assente. Penso tra me che mai ho incontrato persone che non accompagnassero le parole con seppur minimi movimenti delle mani, o espressioni facciali involontarie, ma lei fa eccezione. Eppure non dà l’impressione di essere una persona fredda, anzi, è abbastanza espansiva e non sembra trovarsi male con me. Ci scopriamo a ridere più di una volta e contemporaneamente per qualche battuta di spirito, venuta fuori così, improvvisa. Quando parla, dato che non posso osservarne la gestualità, mi scopro a guardarla inavvertitamente negli occhi un po’ troppo spesso, penso tra me che non devo esagerare, ma quegli occhi sono per me una specie di calamita. Vorrei che lei facesse altrettanto, ma avviene raramente, e quando incrocio il suo sguardo mi sento bene. Alla fine della serata, mi offro di accompagnarla a casa, ma lei dice di essere venuta con amici. Le dico che vorrei rincontrarla il prima possibile, mi dice che sarà il destino a decretare se e quando questo avverrà, e la vedo fare per la prima volta un gesto con le mani, che per quanto ne so non promette nulla di buono, un gesto dall'interno verso l'esterno, come per tenermi a distanza.

Una bella serata rovinata da una manifestazione inconsapevole, da un gesto inconscio e inaspettato, che per chiunque non ha significati, ma a me risulta chiarissimo. La voglio incontrare di nuovo e al più presto, ma non ho nessun appiglio a cui sorreggermi, abbiamo parlato tutta la sera, ma non dei suoi interessi, e non mi ha fornito alcuna indicazione degli ambienti che frequenta, a parte naturalmente le mostre di pittura, lei, invece, conosce la mia vita alla perfezione, l’unico particolare che non le ho rivelato è il vero motivo che mi trattiene a roma. mi viene da pensare che se il nostro primo incontro fosse stata una lotta, lei avrebbe trionfato su di me, lasciandomi annichilito, sguarnito, spogliato e orrendamente perdente, senza alcuna attenuante. La notte ho sognato come se fosse un incubo, e ripetutamente, quell’impercettibile gesto che mi allontanava da lei.

Quando mi sveglio penso ancora a lei, ho memorizzato alla perfezione il suo viso, quegli occhi che raramente incontravano i miei, eppure quando questo succedeva mi davano vibrazioni positive, per la prima volta sento un coinvolgimento che non potrei scacciare neppure se volessi. Va da sé che le sere successive vengono trascorse in giro per roma, alla ricerca di qualche mostra, e lo sfogliare il giornale per scovare un’inaugurazione di avvenimenti artistici diventa obbligatorio. Trascorre ben più di un mese quando finalmente la rivedo di sfuggita, è a bordo di una macchina, lei non mi ha visto, ma io riesco a prendere il numero della targa, incarico Romano di prendere informazioni. E le informazioni arrivano in pochissimo tempo, la macchina appartiene ad una persona che abita nei pressi di via veneto, infatti, le molte volte che ci siamo recati in quella zona, l’abbiamo vista spesso parcheggiata a fianco di un bel palazzo dallo stile settecentesco. Romano, con la solita discrezione, si informa abbinando il cognome così scoperto al nome di Eleonora, ma arriva alla conclusione che in zona non abita nessuna persona utile alla sua ricerca, evidentemente il proprietario della macchina non è né suo padre, né un ipotetico fratello.

E continuano le nostre uscite notturne per rincontrare la mia ossessione. Il lavoro che sono costretto a svolgere mi pesa sempre più, e, dato che il regime è ormai stabilizzato, senza eccessivi disordini tra la popolazione, che ha trovato modo di campare senza troppe preoccupazioni, e i rivali del sistema annichiliti, il mio lavoro mi consente di operare senza assilli di nessun genere. Ma un giorno Duilio mi inonda la scrivania di una montagna incredibilmente grande di cartelle, mi domando quali siano i programmi del regime, dato che ogni volta che ricevo una quantità di materiale simile è in atto qualche strategia particolare, o qualche rilevante trasformazione. La totalità delle cartelle è composta da scritti del pontefice, di alti prelati, vescovi e qualche sacerdote. Eseguo il lavoro con lo stesso andazzo svogliato, e dedico molto più tempo a redigere i rapporti piuttosto che analizzare gli scritti. In una settimana termino il lavoro. Sono contento solo quando, ogni sera, sul tardi, mi lascio alle spalle l’entrata del palazzo, in compagnia di Romano, alla ricerca di Eleonora.

E un giorno la vedo, nella piazza antistante la grande stazione ferroviaria, in compagnia di un uomo, ci avviciniamo, lei fa le presentazioni di rito, e ci dice di essere in partenza per trascorrere un periodo di vacanza. Mi chiedo se sia possibile che debba incontrarla sempre di sfuggita, e la notizia che trascorrerà una vacanza con quell’uomo non mi mette particolarmente di buon umore. Per un periodo di tempo sarò costretto a non pensare a lei, o almeno a non disperdere il mio tempo alla sua ricerca. I giorni successivi, giocoforza, mi libero da quell’ossessione, e ritrovo una parvenza di interesse per le analisi che sto compiendo, in particolare Romano mi dice che ha trovato informazioni frammentarie sull’autore degli scritti che tanto hanno attirato la mia curiosità, qualche giorno prima, quelli dell’anarchico. Mi dice che è originario del friuli, ma abitava nelle marche, almeno fino a quando non è stato costretto ad eclissarsi, vista la cattiva aria che tira verso anarchici e sovversivi. Mi viene da pensare a Lupo, ma le informazioni non mi sono di nessun aiuto, infatti abbiamo sempre trattato temi tra i più disparati, ma mai abbiamo parlato in dettaglio della nostra vita, e, nonostante i ripetuti contatti che ho avuto con lui, non mi è mai passato per le mani nessuno dei suoi scritti, in quel caso avrei riconosciuto all’istante quella scrittura particolare, anche senza guardare le generalità sul fronte della cartella. 

Avere tra le mani quei fogli mi fa pensare, però, a lui, la personalità potrebbe benissimo essere la sua, il conseguente carattere non si discosterebbe troppo dal suo modo di agire, e la fortissima determinazione che quella grafia dimostra, unita a doti grafiche che non tengono conto di rischi, altrettanto evidenti, mi dà ulteriori elementi, anche l’immagine fisica e morfologica che mi appare al cospetto di quei fogli, è il suo ritratto. Mi convinco intimamente che deve per forza essere proprio lui, non esiste un solo elemento che mi invogli a discostarmi dall’impressione iniziale; quell’orizzontalità non pignola delle righe, certe stroncature impulsive di linee indirizzate verso l’alto, e tendenti decisamente a destra, la pressione esercitata, la presenza delle stesse lettere non perfettamente uguali tra loro, persino il ritmo che impone alla scrittura è estremamente simile al suo modo di esporre, non ho dubbi: è la sua grafia. Se, un domani, dovessi scoprire che quegli scritti non appartengono a lui, la mia autostima riguardo la professione che sto esercitando crollerebbe di botto. Aver rivisto quelle lettere mi invoglia a dedicarmi ancora alla grafologia, a scoprire le innumerevoli potenzialità che questa scienza comporta, così reale in quanto si deve venire a contatto con scritti concreti, eppure così immaginaria e aleatoria, chi non conosce le nostre prerogative, certo non immagina che si possano ottenere risultati così concreti.

Ho la fortuna di essere venuto a contatto con una scienza sperimentale, e quindi suscettibile di miglioramenti e puntualizzazioni, e se pure non ho la pretesa di stilare una mia teoria personale, dato che le conclusioni di chi ha lavorato prima di me nel settore, sono da me condivise, ritengo di poter dare il mio contributo su mille altri aspetti che questa scienza comporta. Lavorerò su certi segni da me catalogati che non trovano riscontri ineluttabili sulle teorie di altri, e sulle espressioni grafiche che si discostano da quelle già catalogate, lavorerò sulle conseguenze che la gestualità quotidiana permettere di essere evidenziata sui fogli, e non ultima, la ricerca di caratteristiche anatomiche che uno scritto evidenzia, scriverò un libro, del resto, in funzione di questa evenienza, in quanto sono in possesso di molto materiale. E mi piacerebbe mettere a confronto due grafie distinte, e realizzare una sorta di analisi comparata, mettendo in evidenza similitudini e discrepanze. Il campo su cui scorrazzare è ampio, e si potrebbero schiudere orizzonti insperati riguardo all’applicazione di questa scienza.

Dopo ben oltre un mese rivedo Eleonora, ma stavolta è lei a venirmi a cercare, all’uscita dal lavoro, in compagnia di un’amica. Una settimana dopo diventa la mia donna, anche l’amica inizia una relazione con Romano. La donna tanto desiderata è finalmente mia, e nonostante questo ogni volta che la guardo mi sembra che sia per la prima volta, mi attira la sua bellezza e la sua personalità, e il modo elegantemente particolare di vestire, ma dentro di me penso che dovrò conquistarla continuamente, giorno dopo giorno, e dimostrarle incessantemente che non ha sbagliato a scegliere me. Col tempo, conosco le persone che frequenta, i suoi parenti e la sua famiglia. Il padre è un simpatico signore sessantenne o giù di lì, baffetti bianchi, capelli canuti, è un alto ufficiale dell’esercito, ma dai modi così semplici e garbati che non si direbbe a prima vista, alto e in perfetta forma fisica. Se avessi visto la madre per strada avrei giurato, anche senza conoscerla, che fosse la sorella maggiore di Eleonora, tanta è evidente la loro rassomiglianza, e i pochi anni che dimostra, abbondanti capelli castani dal taglio non eccessivamente corto, tirati all’indietro da un sottilissimo e brillante cerchietto, portamento che definirei aristocratico, una sottilissima collana e orecchini simili al cerchietto che ferma i capelli, anche lei come la figlia dalla gestualità quasi assente, come se facesse continuamente un esercizio per cercare parole così azzeccate, da non aver bisogno di confermarle con la gestualità.

Trovo questa caratteristica innaturale, come se derivasse da un bisogno di nascondersi alla gente, o forse mi sbaglio, potrebbe essere un modo per non scoprirsi e tenere l’interlocutore sotto una sottile forma inspiegabile di imbarazzo, ma queste sono mie considerazioni, e ai più potrebbe non risultare evidente quella mancanza di gestualità, o forse potrebbe essere una rarissima forma di comportamento che non lascia spazio all’istintività, in ogni caso quel comportamento, indotto o spontaneo, conferisce loro una forte carica di personalità. Ormai, l’esercizio spontaneo che facevo già da bambino, quello di osservare e valutare i cenni della gente, fa parte del mio relazionarmi col prossimo, e di fronte a Eleonora e alla mamma, mi sento un po’ disarmato. Ma non sarà questo fatto che mi impedirà di conoscerle alla perfezione, e in breve tempo, penso di possedere altre armi pronte allo scopo.

Fa parte della famiglia un fratello maggiore della mia donna, Rodolfo, almeno sette, otto anni più grande di lei, sposato con la figlia di un importante gerarca, seppure siano insieme da molto tempo, non hanno figli. Rodolfo è un convinto sostenitore del regime, occupa un posto di assoluto rilievo tra i burocrati, e vorrebbe entrare a far parte della ristretta cerchia dei parlamentari. Del resto gli appoggi significativi non gli mancano, e dimostra un’intelligenza pronta e profonda, anche lui ha un aspetto incredibilmente simile a quello del genitore, come se i due si fossero messi d’accordo per generare figli esattamente identici ai genitori dello stesso genere. E le uscite serali ormai si svolgono sempre a quattro, si va a teatro, oppure al cinema, grande novità di un regime che spinge la sua diffusione in maniera esponenziale, e se a me e Romano dà un po’ fastidio il modo esagerato di propagandare i dettami del regime, Eleonora e l’amica, Rita, dimostrano di assorbire senza traumi le nuove impostazioni che il regime vuole inculcare alla gente. Nei vari film si dà grande risalto alle conquiste degli antichi Romani, e siccome abbiamo imparato che l’attuale potere non agisce mai a caso, ma prepara per tempo ogni successiva strategia, immaginiamo quale sarà l’evoluzione della politica estera della nostra nazione.

Eleonora è continuamente informata riguardo alle molte inaugurazioni di mostre artistiche, siano esse di pittori o scultori, o rassegne dei nuovi indirizzi artistici, e non è mai capitato di averne persa una. E se la cinematografia è spudoratamente asservita al potere, le arti dimostrano di volersi allontanare da esso, ma giocoforza devono fare concessioni che probabilmente frenano il loro istinto di ricercare nuove frontiere, l’arte deve essere libera di esprimersi in qualsiasi direzione porti la sensibilità e l’estro dell’artista, per definizione, mi verrebbe da dire. Altro discorso è il mondo dell’architettura, in grande fermento perché siamo in una fase di realizzazioni importanti in ogni campo; vengono costruiti palazzi di grandi dimensioni, e altre forme di costruzioni, strade e ponti a ritmo serrato, altre costruzioni che hanno lo scopo di omaggiare il regime e inventare nuove forme, ma coerenti con i dettami degli architetti che vanno per la maggiore, dalla configurazione riconoscibile, tanto che si può tranquillamente parlare di architettura di regime, ma parzialmente liberi di esprimersi secondo canoni molto ben prestabiliti.

Non posso fare a meno di aspettare la sera, le uscite a quattro stanno quasi diventando una malattia per noi, ma questo è anche un periodo di grande coinvolgimento riguardo la professione, e cerco di migliorare quanto più possibile, ormai mi basta un primo sguardo fugace per capire dove devo indirizzare l’analisi grafologica, presto molta attenzione solo quando mi rendo conto che il personaggio in esame merita una analisi particolareggiata, o quando possiede una grafia che mi incuriosisce. Sto vivendo con Eleonora una storia che mi gratifica, lei così raffinata e dalla grande cultura, abituata a frequentare ambienti aristocratici e culturali, strano a dirsi non mi è mai venuto in mente di analizzarne la scrittura, ho visto di sfuggita qualche suo scritto, anche nel preciso momento che armeggiava con carta e penna, e l’impressione generale non mi risulta eccessivamente positiva, anche se è la grafia della persona che meriterebbe da parte mia maggiore attenzione, ben più di chiunque altro, lei mi piace e basta, non mi servono informazioni di sorta, o forse ho paura di scoprire particolari sgradevoli, potrebbe essere la persona peggiore che esiste al mondo, ma non mi interessa, la accetto così come è. Non potrei ormai fare a meno di lei, e la mia vita attuale non può prescindere dalla sua esistenza, qualsiasi azione io compia, mi invita a pensare come sarebbe giudicata da lei, e cerco di pensare ad ogni atto che esprimo come una prova della mia capacità di creare, di gestire il mio lavoro, e di migliorare la mia capacità relazionale, aspetto a cui mi sembra lei dia molta importanza.

E se con Romano non ho nessuna remora a palesare le mie convinzioni politiche, con lei mi tengo sempre sul vago, ben sapendo che la formazione culturale che ha ricevuto mira a rispettare qualsiasi forma di governo che è al potere, a prescindere se sia più o meno democratica. Ma questo mio atteggiamento verso di lei non è mancanza di coraggio nell’esprimere le mie opinioni, ma semplicemente una forma di autodifesa, dato che sono al servizio del potere, e quando devo compiere azioni infedeli verso di esso, metto parzialmente al corrente solo Romano, che mi sembra che pian piano si stia avvicinando alle mie posizioni politiche. E poi, anche mettendo il caso che lei approvasse in pieno la mia linea di condotta, vivrei con l’ansia che inavvertitamente qualche mio pensiero venisse divulgato, e il rischio sarebbe troppo grosso, tanto più perché le sue conoscenze sono quasi tutte con rappresentanti del regime. E così mando avanti il mio rapporto con lei, felice di stare al suo fianco, e non mi sfuggono certi cenni di invidia verso di me, quando qualcuno nota perfetta sintonia tra noi.

Ma c’è sempre qualcosa di indefinibile nel suo comportamento, e se io non esprimo i miei pensieri politici con lei, Eleonora mi dà l’impressione che, seppur dimostrandomi amore, la sua personalità è così complessa, e la sua intelligenza così rilevante, che se la deludessi in qualcosa che lei giudica importante, non mi perdonerebbe; mi sono ormai fatto l’idea che chi sta al suo fianco la deve conquistare giorno per giorno, non si può rilassare e vivere la sua vita con lei in maniera troppo convenzionale, infatti, quando propongo uscite strane, o misteriose, le si illumina il viso, come se fosse il miglior regalo che potessi farle. Anche sul piano affettivo e più propriamente sessuale, le sue scelte sono quanto più varie possibili, e so per certo che la noia non sarebbe la sua compagna di viaggio preferita. Da quando la conosco non l’ho mai vista rilassata in maniera eccessiva, è sempre attenta agli avvenimenti che le succedono attorno, non le sfugge nulla, e in questo un po’ mi assomiglia. Ma siamo drammaticamente differenti sia come estrazione sociale, che formazione culturale, con questo non voglio dire che io non sia complessivamente alla sua altezza, ma mi stupirei che non abbia frequentato da ragazzina qualche scuola elitaria.

Un giorno mi chiede se sia disposto ad analizzare la sua grafia, e comunicarmi sinceramente le impressioni che ho sulla sua personalità; forse per creare un alone di mistero sulla mia professionalità, le rispondo che non l’avrei fatto, e che seppure abbia avuto mille occasioni di conservare qualche suo scritto, non l’ho mai fatto, precisando che in caso contrario sarebbe stata un’azione che non mi sarebbe piaciuta, con lei non voglio implicazioni professionali, e la mia idea su di lei sarà derivata solo da impressioni ricavate dal vivere assieme, esattamente come fanno tutti. Non so se la risposta le sia piaciuta, il suo sguardo enigmatico non mi dà nessun appiglio, ma sapendo quanto poco sia attirata dai comportamenti normali, penso di aver fatto la scelta giusta, in cuor mio analizzerò la sua scrittura solo se e quando il nostro rapporto cesserà. Pur non avendo analizzato mai alcun suo scritto, so benissimo quale sia la sua personalità, conosco il suo bisogno di stare sempre al centro della scena, una autostima alle stelle, un culto della propria personalità che non ho mai visto da altri in maniera così marcata, fatto che però non ritengo eccessivamente scorretto, quello che però mi lascia perplesso è sempre il fatto della sua mancanza di gestualità, sarei curioso però di osservare questa caratteristica in momenti particolari, per esempio quando è sotto grave tensione, o arrabbiata all’inverosimile, o colpita sul vivo da qualche affermazione irriverente, o in occasione di avvenimenti che la coinvolgano in maniera forte e del tutto eccezionale, solo allora potrò avere un’impressione più dettagliata, certo è che se anche in simili occasioni non dovessi notare alcunché, dovrei valutare la possibilità di trovarmi di fronte a una persona fredda e senza sentimenti, un’opzione che non voglio nemmeno prendere in considerazione, e che non mi risulta affatto, visti i suoi atteggiamenti.

Trascorre un anno, e lei è sempre al mio fianco, da quanto ne so nessuna sua relazione è mai durata tanto, mi sento gratificato da questo fatto, anche se il mio relazionarmi con lei potrebbe avere tutte le caratteristiche possibili, ma non quella di farmi trascorrere il tempo in maniera rilassata, sempre sul chi va là, attento a non sbagliare una virgola, a non dare impressioni che non siano come minimo al di sopra dell’ordinario, ciò mi crea uno stato di tensione continua, ma anche lei adotta lo stesso comportamento, solo che questo stare sempre sotto pressione le è congeniale, o forse non si sente affatto sotto pressione, e per un periodo, accampando qualche scusa, ho evitato di frequentarla troppo assiduamente, e attualmente abbiamo diradato di molto i nostri incontri, per mia esclusiva volontà.

Intanto gli avvenimenti politici e sociali sono in continua evoluzione, sono in piena attuazione opere grandiose che hanno il solo scopo di magnificare il regime, i dissidenti sono spariti dalla circolazione, contrastati da squadre di sostenitori del regime, che non guardano tanto per il sottile, incuranti delle conseguenze, nasce nella mia terra una nuova, modernissima città, costruita per accogliere un esercito di minatori, nelle campagne si respira un clima di concordia, tutti protesi a fare grande la nazione con l’autosufficienza alimentare, la criminalità è stata annichilita, le fabbriche lavorano senza contrasti, sono in atto mastodontiche bonifiche in ampi tratti del territorio nazionale, per le strade non si vede uno sfaccendato, ed il sabato è dedicato a rinsaldare la compattezza nazionale, con adunate in tutto il territorio. Sembrerebbe che siamo immersi in un ambiente positivo, se non fosse per le ripetute dichiarazioni del dittatore incline a fare grande la nazione anche in ambito internazionale, e soffiano, volutamente malcelati, forti venti di conquista, intesi ad emulare la grandezza della roma antica, inoltre è in atto una crescita demografica senza precedenti, voluta dal regime, e siccome ogni azione del potere finora ha avuto la sua logica conseguenza, mi domando a cosa possa servire un aumento così esponenziale della popolazione.

Un giorno mi ritrovo sul tavolo uno scatolone contenente una grossa cartella dal colore dissimile dalle precedenti, molto più robusta e particolareggiata, dato che contiene una quantità di scritti della stessa persona, accompagnata da altre cartelle che mi dicono devono essere messe in correlazione con la cartella principale, inoltre completano il tutto una serie di filmati da analizzare. Sono gli scritti e i filmati di un dittatore europeo, e dei suoi collaboratori, mi dicono di analizzare il tutto in maniera meticolosa, e che non sarei potuto uscire dal palazzo finché non avessi consegnato i risultati. Se analizzando i filmati non ho riscontrato aspetti particolarmente negativi, fatta eccezione per certe movenze del dittatore che dimostrano acredine, resto sbalordito dalla sua scrittura microscopica, dall’impossibilità di distinguere, per esempio le lettere considerate affettive: la a e la o, che non presentano spazi vuoti al loro interno, quello stile accuminato in maniera eccessiva, una scrittura di una rigidezza inconsueta, una marcatura sul foglio persino troppo evidente, uno stile spasmodico di scrittura, tutte rivelazioni che denotano di essere di fronte ad un personaggio particolare, ma che possiede caratteristiche così troppo accentuate per non pensare a stati di esaltazione continui, se pure in presenza di una intelligenza sopraffina.

Sono presenti elementi grafologici che richiamano alla mente ramponi, aguzzi arpioni, e segni esageratamente appuntiti, e una tendenza ad una scrittura anomala, e talvolta discendente in maniera eccessiva; e non voglio andare oltre nell’analisi particolareggiata, dato che qua e là compaiono segnali di una intima sofferenza persino troppo accentuata, una relazione che deve essere per forza particolareggiata, una scrittura così inusuale, che raramente ho visto nel corso della mia esperienza; caratteri così interlocutori sarebbero poco rilevanti se in presenza di un personaggio dall’intelligenza nella norma, ma qui mi trovo di fronte agli scritti di una persona che dimostra grandissima intelligenza, e a quanto ne so grande acume oratorio, ma con una possibile aridità, accentuata all’inverosimile nei sentimenti, mentre pretende dagli altri grande considerazione per la sua persona, e predisposizione a stati di esaltazione estrema in prospettiva di azioni future, ma grande tendenza alla depressione se i risultati non fossero quelli sperati, con conseguente caduta verticale del suo auto referenziarsi, che porterebbero a stati di prostrazione assoluta. Non vorrei che fossero in atto contatti tra il nostro dittatore e quello preso in esame, penso che i risultati sarebbero deleteri. Nella parte finale della mia relazione affermo chiaramente che siamo di fronte a un personaggio dalla psicologia enigmatica, e dalla volontà incrollabile, quando supportata da ottimismo.

E per curiosità riprendo in mano scritti del dittatore Italiano, e faccio una specie di comparazione tra i due modi di scrivere, noto qualche affinità, ma il confronto diventa imbarazzante nei punti di non contatto, ad una grafia scarna e volitiva, si contrappone una scrittura con forme grafiche direi artistiche, particolarissime e insolite, linde e raffinate, una scrittura aggraziata e ricercata, direi tendente alla considerazione fattiva verso il prossimo, al contrario di quella dell’altro dittatore, che denota aridità di sentimenti persino troppo evidenti. Ad uno sguardo più generale, accostando i due scritti, mi sembra di vedere a destra i graffiti ombrosi eseguiti in un momento di tensione, e a sinistra un bel quadro nel quale regna l’eleganza di forme e colori. Tra me penso che due personalità così dissimili non potrebbero mai andare d’accordo, la brutalità contrapposta alla grazia, la rigidezza alla originalità, il tormento alla disponibilità senza remore, l’ossessione all’assertività più genuina. I riscontri grafici dei collaboratori di un individuo così particolarmente unico, rivelano capacità di adattamento, non potrebbe essere altrimenti, ma il quadro generale che ne deriva è una certa freddezza generale, con le dovute disparità di riscontri, e nel complesso non mi sento di dare una opinione generale troppo positiva. Per quattro giorni sono impegnato in quelle analisi, e quasi sono contento di non vedere Eleonora per così lungo tempo, per una volta ho una giustificazione più che valida.

Ma quando esco dall’esilio forzato, sono contento di rivederla, ormai Romano mi lascia molta libertà di movimento, anch’egli impegnato con l’amica di Eleonora, Rita, se qualcuno dei responsabili del palazzo scoprisse che non mi controlla più assiduamente, certo passerebbe guai seri, e capita spesso di prendere due camere d’albergo attigue, ma le sue conoscenze hanno fatto si che abbia trovato in un albergo due camere comunicanti, così nessuno potrà accusarlo di negligenza. Due o tre volte alla settimana non rientriamo al palazzo di notte, ma dato che la mattina successiva ci vede puntuali al lavoro, nessuno ha nulla da ridire, e così ci godiamo un po’ di libertà, e il lavoro non mi pesa eccessivamente. Dopo qualche mese dalle mie analisi grafologiche riguardanti il dittatore straniero, vengo a conoscenza che sono in atto contatti bilaterali tra i due capi di stato, e la conseguenza potrebbe essere quella di stringere tra i due dei patti impegnativi, secondo il mio modo di vedere sarebbe una vera disdetta per la nostra nazione, e mi attivo per rendere nota ai miei conoscenti l’errore imminente, ne parlo prima di tutti con Duilio, col quale abbiamo stabilito una tacita pacificazione armata, poi col padre e il fratello di Eleonora, per vedere se sia possibile secondo le loro influenze, rendere noto che il quadro psicologico del dittatore che si alleerà col nostro, è, a dir poco, molto discutibile.

Con loro sono stato chiarissimo nell’esporre le personalità del dittatore e dei suoi accoliti, precisando che non esistono margini di errore. Avendo entrambi una buona propensione a considerare la mia personalità e professionalità in maniera positiva, si attivano immediatamente per scongiurare i prossimi, possibili eventi, mi terranno informato sui riscontri che avranno in seguito. Ma col tempo il quadro relazionale tra i due dittatori si evolve nella direzione sbagliata, e i contatti tra i due diventano assidui, le popolazioni dei due stati sono costrette ad assistere ai loro incontri, che si concludono immancabilmente con grandiose parate militari, come per dimostrare agli altri stati la potenza che può sprigionare una simile alleanza. Soffiano in questo periodo forti venti di guerra, alimentati da tutte le parti in causa, e non solo dai due dittatori.

Il padre di Eleonora mi comunica che ormai le decisioni sono già state perse, e anche lui, essendo un militare, ritiene che l’alleanza in atto non porterà a nulla di buono, e il grado di preparazione del nostro esercito non è ottimale. Io, essendo figlio di contadini, abituato sin da bambino ad una vita dai bisogni essenziali e in armonia col mio prossimo, alle gioie semplici che la vita rurale a contatto della natura mi fa godere, devo ora considerare l’ipotesi di forti contrasti internazionali, e all’altrettanto probabile evento che si sta preparando, la conquista da parte dei due dittatori di territori che non appartengono ai loro stati, con l’ovvia conseguenza di mettere a repentaglio tante vite umane, e scatenare reazioni da parte degli altri stati europei, che, verosimilmente, non attendono niente di meglio, che scatenare la guerra. Questi eventi, e le possibili risultanze, sono quanto di più lontano possibile dalla mia personalità, e il mio collaborare con uno stato che non incontrava le mie simpatie, ora si trasforma in bisogno di contrastalo con tutti i mezzi che ho a disposizione, ma penso che il mio contributo non abbia nessuna influenza sulle decisioni future, infatti la mia relazione positiva verso il parlamentare Sardo, è stata ignorata, come pure la mia relazione verso il dittatore alleato, e man mano che passa il tempo mi sento sempre più inutile all’interno del palazzo.

Ne parlo con Duilio, e gli comunico che preferirei riprendere l’insegnamento nelle scuole, magari nella stessa capitale, lui mi risponde che ora più che mai hanno bisogno del mio contributo, e che insegnanti ne trovano quanti ne desiderano. Dato che ormai mi pesano le ore che trascorro nel palazzo, gli chiedo maggiore libertà di azione, e che ho l’esigenza di reperire materiale in giro per l’italia, alla ricerca di elementi per la scrittura del mio libro, e vorrei incontrare anche altri grafologi per capire quale sia l’evoluzione attuale di questa disciplina. Mi chiude tutte le porte in faccia e gli chiedo se sia giusto che mi abbiano così pesantemente stravolto la vita, dato che non sono l’unico grafologo presente in italia, e per giunta troppo distante dall’essere il migliore. Mi dice che si accontentano di me, al che gli esprimo il mio risentimento sul fatto che le mie relazioni non sono state prese troppo spesso in considerazione, e che in genere le azioni successive andavano spesso in direzione opposta, gli chiedo a cosa serva la mia collaborazione. Mi liquida dicendo che non mi deve alcuna spiegazione e, con un’azione che non mi sarei aspettato da lui, si alza dalla sedia, e con una mano sul mio braccio mi spinge verso la porta, indicandomela con l’altra mano. Il gesto mi irrita, e gli dico che volente o nolente, sarei andato in giro per l’italia a cercare il materiale occorrente, e dai miei in sardegna, che sono troppo tempo che non vedo, lui mi dice che in questo periodo non è possibile, chiama Romano e gli intima di tenermi sotto stretto controllo, si sarebbe attivato lui stesso a far venire la mia famiglia a roma, viaggio e alloggio gratuiti, ma in seguito.

Mi piacerebbe studiare a fondo il quadro psicologico di Duilio, conosco la sua grafia e un’idea abbastanza realistica me la sono fatta, ma vorrei avere competenze approfondite sulla scienza correlata alla grafologia, la psicologia, e dato che l’attuale andazzo della mia vita non mi soddisfa, devo cercare una valvola di sfogo per le mie insoddisfazioni, e lo studio di quella materia potrebbe essere un’ottima opportunità di sfogo. Mi interessa capire certi aspetti della sua personalità, certe incongruenze delle sue decisioni, indirizzate inizialmente a precludermi ogni favore, ma poi alla ricerca di una soluzione per i miei desideri. La sera stessa il cofano della macchina che abbiamo a disposizione, vede la presenza di una decina di libri di psicologia, finalmente il vecchio desiderio di Lupo di farmi interessare alla nuova scienza, si avvera.

Le serate con Eleonora trascorrono in maniera solita, qualche inaugurazione di mostre, con gli immancabili contatti con persone rilevanti soprattutto dal punto di vista culturale, le abituali passeggiate che in questo periodo primaverile sono graditissime, alla ricerca di angoli caratteristici e nuovi scorci della capitale, e qualche sporadica frequentazione di salotti della roma bene. Là conosciamo sempre gente nuova, dalle personalità interessanti; seppure tendenzialmente favorevoli alla nuova cultura dominante, ma critici sotto molti aspetti, alcuni di loro esprimono concetti inusuali e fantasiosi, facciamo la conoscenza di artisti, qualche attore, scrittori, musicisti e poeti. Vengo persino in contatto con un attore Sardo che va per la maggiore nei cinematografi di tutta italia, e di un politico e scrittore Sardo dalla grande rilevanza di immagine, ma nettamente contrario al regime, e messo nelle condizioni di doversi nascondere per le sue idee. Ma la sua spavalderia lo porta a fare le azioni che ritiene giuste, incurante dei pericoli, e frequentare questi ambienti non è per lui motivo di preoccupazione, perché la sua grandissima personalità gli consente di valutare che nessuno lo tradirà mai.

Quando racconta le sue avventure durante l’ultima guerra, il suo viso si trasforma, proprio come è stato netto il suo passaggio dall’essere interventista, al ripudio incondizionato della guerra; i suoi racconti sono coinvolgenti, appassionati, e in qualche modo è riuscito ad indirizzare i personaggi che frequentano il salotto, verso posizioni nettamente contrarie agli eventi bellici che si stanno preparando. Il ripudio della guerra è avulso dai pensieri dei governanti europei, se guerra deve essere, guerra sia, ma tutti i popoli che subiranno la guerra, non la desiderano, la detestano, ma sono costretti ad accettarla come ineluttabile. Il nostro esercito non ha vita facile nemmeno contro nazioni immensamente più deboli, non riesce ad avere la meglio su quei popoli indifesi, che hanno motivazioni ben più valide dei nostri soldati. Si capisce, ad onta delle trionfalistiche dichiarazioni di regime, che il nostro esercito è inadeguato a sopportare i contraccolpi di guerre così impegnative, e i venti di guerra soffiano sempre più forti, e conflitti immaginati come semplice mezzo per annettersi territori, ora potrebbero diventare più generalizzati, nessuno però immagina, realisticamente, che semplici guerre coloniali potrebbero diventare catastrofiche guerre planetarie. Non è chiaro, al momento, chi spinge ad allargare a dismisura i conflitti, se i due dittatori, o gli stati che si sono alleati contro di essi. 

In questo periodo il mio tavolo è continuamente inondato da scritti di capi di stati grandi e piccoli, di personaggi politici rilevanti di molte nazioni, e mi resta poco tempo per dedicarmi alle attività che preferisco. Quando Duilio mi aveva detto che in questo periodo non poteva fare a meno di me, non era una scusa, le cartelle arrivano a ruota continua, e alterno le relazioni relative ai politici stranieri, con quelle di alti ufficiali Italiani, lavoro dieci, undici ore al giorno, e alla sera non ho voglia di uscire, mentre Romano se la gode con Rita. Ho qualche ora libera il sabato sera e tutta la domenica. Sono preoccupato per gli avvenimenti politici continentali che si susseguono a ritmo serrato, gli avvertimenti minacciosi delle nazioni più potenti verso i due dittatori sono continui, ma loro continuano imperterriti nelle loro annessioni, mi sarebbe piaciuto in questa fase politica confrontare gli scritti originali dei capi di stato contrari ai due regimi, e valutare se le loro dichiarazioni avrebbero portato ad azioni concrete o a semplici avvertimenti, ma per una volta, nel momento più necessario, non mi sottopongono alcun loro scritto recentissimo. Magari avrei scoperto che sono proprio loro, che, in maniera sotterranea, soffiano forte sui venti di guerra. 

Mi chiedo ancora una volta cosa ci stia a fare in quell’edificio, mi sento inutile dal momento che chi dirige la nostra nazione, confida sul fatto non provato, ma dettato da sue convinzioni personali, che nessuno scatenerà una guerra, che a questo punto non potrà essere che globale, coinvolgendo l’intero continente, e oltre. Mi stupisco che il nostro dittatore, che altre volte ha preso decisioni corrette, supportato da evidenti doti, oltre che di orgoglio e ambizione, anche da capacità sia di sintesi che di analisi, oltre che in possesso di intuito che in genere non fallisce, non dia troppo importanza a simili avvertimenti, e dagli ultimi discorsi evidenzia uno stato di determinata euforia non supportata da alcuna reale attinenza a considerazioni da prendere in esame in maniera approfondita. Ciò mi risulta strano conoscendo bene il suo quadro psicologico, irruento si, ma solo dopo aver preso decisioni ponderate, mi rimane l'intima certezza che se dovessi analizzare di nuovo suoi scritti recentissimi, la mia valutazione delle capacità analitiche sarebbe falsato e non più attinente alle sue qualità del passato. Possibile che non si renda conto che l'alleanza sottoscritta, porterà al disastro l’intero popolo che gli è stato affidato, sia che si vinca o si perda il conflitto? Possibile che non passi per la sua mente, che i paesi contrari ai due regimi, possano avere la volontà inespressa di scatenare una guerra planetaria? 

E lo sento, un giorno, dal suo balcone preferito, e in contatto radiofonico con tutta la nazione, dichiarare guerra lui stesso verso una di quelle nazioni importanti. O sono io che sono un perfetto incompetente nel mio mestiere, e non ho valutato bene in passato il suo quadro grafologico, o è lui maledettamente mal consigliato e in uno stato di esaltazione così esagerata, che non credevo potesse arrivare a simili livelli. Ma così è, siamo in guerra, questa volta ancora più seria delle altre, con un esercito che a detta di un suo stesso generale, mio suocero, era inadeguato persino a confronto di piccoli popoli più motivati del nostro, figurarsi ora che dovrà confrontarsi con le potenze più agguerrite e bene armate del pianeta. Decisioni criminali che porteranno alla disfatta di molti popoli forse non solo europei, qualunque sia il risultato, destinati tutti, milioni di persone, a soccombere e soffrire. Mi chiedo come abbia fatto una simile intelligenza a venire coinvolta in questa alleanza assurda, dai risvolti incomprensibili. Mi ritengo fortunato, almeno per ora, dal fatto che non sono stato arruolato, perché, come pensano i miei superiori, io sono indispensabile per una professione che però nessuno si degna di prendere seriamente in considerazione, dato che le decisioni dall’alto, sono quasi sempre contrarie alle mie valutazioni.

Ormai ho cambiato radicalmente parere riguardo al regime in atto, e la dichiarazione di una guerra è quanto di più iniquo possa esistere sulla terra, mettere a rischio la vita di milioni di persone per un non so che imprecisato scopo, è un’autentica aberrazione, io che giudico sacra la vita anche di una sola persona. Non posso lasciare questo lavoro che mi infastidisce sempre più, prima di tutto perché sto servendo un potere che ormai odio, poi perché mi sento inutile, mi piacerebbe continuare a insegnare ai bambini, mestiere per cui mi sento vocato, ma credo che l’alternativa a questa vita sarebbe la guerra, vissuta in prima persona, e non per sentito dire, come succede ora. E poi non sono affatto libero di scegliere. E allora trascino la mia vita in questo modo, senza entusiasmo in quello che faccio, e non sento più nemmeno quella forte gioia che provavo quando incontravo Eleonora, ora i pensieri vagano in mille direzioni, e le conclusioni a cui arrivo sono sempre nefaste. Vorrei che il conflitto terminasse presto, ma così non è. E la guerra per l’esercito italiano è un autentico calvario, risulta sconfitto in tante battaglie, mentre l’esercito dell’altro dittatore spadroneggia dappertutto.

In questo periodo analizzo tante lettere contenenti informazioni di nostri collaboratori che risiedono nei paesi nemici, ma lo faccio svogliatamente, e nel complesso le mie relazioni sono fedeli, mi resta però sempre il cruccio di non essere stato utile al mio paese quando analizzavo le grafie del dittatore straniero, mi dispiace immensamente che le mie informazioni siano state ininfluenti. E la guerra, col passar del tempo, si rivela per quello che è effettivamente, una carneficina senza senso, e gli avvenimenti lentamente volgono a sfavore dell’alleanza tra i due dittatori, e quando gli eserciti nemici sbarcano nel nostro territorio, tutto il sistema burocratico della nazione subisce un tracollo irreversibile, insieme a Romano vengo convocato da Duilio per importanti comunicazioni.
“Abbiamo avuto l’ordine di smantellare l’apparato presente in questo palazzo, resteranno solo una ventina di funzionari, e tra due giorni dovrete entrare nell’esercito, in questo foglio c’è specificata la vostra destinazione, tu, Romano, dovrai consegnare la pistola che hai in dotazione e le munizioni, in caserma”.

Apprendo la notizia con un misto di sollievo e preoccupazione, anche Romano è pensieroso, una volta usciti dal palazzo decidiamo di chiedere ospitalità a sua sorella. La sera stessa siamo nella casa della sorella di Romano, ma non prima di aver messo al corrente Eleonora e Rita degli ultimi avvenimenti, specificando di non sapere quale sarebbe stata la nostra destinazione, presumiamo che avremmo dovuto far parte dell’esercito dislocato nel sud italia per contrastare l’avanzata degli eserciti nemici. La casa della sorella di Romano è un minuscolo appartamento al secondo piano nei pressi della stazione ferroviaria principale della capitale, dopo un lungo cammino la raggiungiamo, e una volta là decidiamo il da farsi. Ci guardiamo in faccia, nessuno dei due ha idee precise sul comportamento da adottare, prendiamo in esame per prima cosa l’ipotesi di ubbidire all’ordine di Duilio, ed arruolarci, ma entrambi scartiamo quell’evenienza, far parte di un esercito in disarmo non ci attira per nulla, perché rischiare la vita per difendere scelte sbagliate? Decidiamo che qualsiasi decisione venga presa, non ci saremmo dovuti separare, per ora, e valutiamo l’opzione di andare in sardegna, che sembrerebbe una tra le regioni meno coinvolte dalla guerra, ma dobbiamo tenere sempre a mente che da domani in poi saremmo stati dei disertori, e restare nella capitale è da scartare a priori, perché i nostri visi sono noti a molta gente.

La sera stessa prendiamo il treno per Civitavecchia, ma ormai le cose hanno subito radicali cambiamenti, e di navi per la sardegna non ne esistono proprio, e persino per entrare in porto abbiamo dovuto subire lunghi controlli, due militari addetti a far la guardia ad un cancello del porto hanno controllato i nostri documenti. Sospettavano forse che fossimo dei disertori, vista la nostra età, ma Romano ha consegnato loro il foglio che Duilio gli aveva assegnato, dicendo che siamo dei funzionari del governo. Hanno voluto vedere anche il mio foglio, poi hanno controllato in un elenco che presumibilmente riportava i nomi dei disertori, naturalmente i nostri nomi non c’erano, ma dai prossimi giorni un controllo del genere sarebbe stato per noi infausto. Una volta che ci siamo liberati dalle grinfia dei due soldati, abbiamo appurato che essere venuti al porto ci ha fatto unicamente perdere tempo prezioso, e decidiamo di prendere il primo treno diretto verso nord, avremmo scelto di stare in qualche paesino lontano dalle principali vie di comunicazione, e in ambiente collinare o montano, e perciò lontani dai pericoli. I miei pensieri vanno ai miei cari, scriverò loro una lettera.

Il viaggio in treno non comporta particolari pericoli, e i due fogli in nostro possesso ci consentono di evitare qualsiasi spiegazione, ma ormai diventeranno persino pericolosi, e li avremmo dovuti buttare tra qualche giorno, anche se riteniamo che la lista dei disertori non verrà aggiornata di continuo. Facciamo tappa a firenze, poi a bologna, il nostro viaggio non è la conseguenza di ragionamenti, ma del caso, là decidiamo, dopo molte valutazioni, di andare verso milano e poi raggiungere con altri mezzi le grandi montagne verso nord, potevamo legittimamente sperare così che avremmo fatto perdere le nostre tracce. Ma qualsiasi viaggio, in tempi di guerra, non si sa quando partirà e nemmeno quando avrà termine, ma finalmente, dopo ore di attesa, partiamo. Dopo qualche ora il capotreno comunica che i passeggeri devono scendere perché gli alleati hanno bombardato la linea più avanti, il nostro viaggio in treno termina qui. Scendiamo alla stazione emiliana di fiorenzuola d’arda, tutto attorno ci sembra di essere in un’immensa pianura, il luogo meno adatto al nostro scopo, dobbiamo andar via da quel posto immediatamente, e cercare qualche mezzo di trasporto che ci porti lontano. Una volta usciti dalla cittadina, vediamo con sorpresa che non molto lontano ci sono delle colline, non proprio delle dimensioni volute, ma per ora possono essere sufficienti a darci una parvenza di rifugio, dato che alcuni di quei rilievi sembrano fittamente alberati.

Ci incamminiamo verso di essi, un piccolo tratto di strada viene percorso su un camioncino che ci ha accompagnato al paese di bacedasco, là siamo scesi, e dato che imbruniva, abbiamo scelto di trascorrere la notte in un casolare abbandonato non lontano dal paese. Certo è che le comodità a cui eravamo abituati nel palazzo, qui possono essere appena sognate, ma a noi preme salvare la vita fino alla fine del conflitto. La mattina dopo abbiamo camminato verso collinette più alte, siamo arrivati nei pressi del minuscolo borgo dei colli piacentini di costa stradivari, e abbiamo chiesto ospitalità a una famiglia del posto. Per fortuna le nostre tasche sono ben fornite di soldi, dato che fino ad allora lo stato ci aveva pagato profumatamente, e decidiamo, d’accordo con la famiglia, che avremmo ricompensato la loro ospitalità con qualche moneta giornaliera. Il denaro in questo periodo è merce rara, e possederne vuol dire avere tutte le porte spalancate. La famiglia è composta da Enzo, la moglie Fabia, e dal figlio Massimo.

L’aspetto della casa è quanto di più confacente alle nostre esigenze, vecchia ma abbastanza grande, abitata al primo piano, mentre a piano terra sono sistemati attrezzi agricoli e qualche animale da cortile, uova, carne e latte non sarebbero mancati di certo. Al di sopra delle stanze abitate c’è una specie di mansarda adibita a fienile, dove abbiamo ricavato il nostro rudimentale alloggio, là sono nascoste abusivamente derrate alimentari, cereali, qualche sacco di legumi e qualche insaccato. La mattina dopo scambio due parole con Enzo, un uomo alto e magro, con uno sgualcito cappello a larghe tese sistemato un po’ di traverso sulla fronte spaziosa, dal viso smunto, dall’aspetto ho già catalogato parte della sua personalità, gli dico chiaramente che vorremmo conservare l’anonimato, e faccio un patto con lui: gli avremmo consegnato giornalmente i denari pattuiti, e non avremmo divulgato il fatto che siamo a conoscenza che nascoste in casa ci sono abbondanti derrate alimentari proibite. Così non avrebbe avuto interesse a confidare particolari pericolosi sul nostro conto, e noi altrettanto nei suoi confronti. La più contenta di tutti sembrerebbe la moglie Fabia, contenta di poter disporre di qualche soldo giornaliero.

Trascorrono i giorni, e ci rendiamo conto di come si vive in famiglia, lui coltiva un minuscolo appezzamento di terreno dove coltiva ortaggi e una decina di filari di viti, lei accudisce gli animali, siamo di fronte a una famiglia poverissima. Chi non si vede troppo spesso è Massimo, certe notti non torna nemmeno a dormire. Ha una ventina d’anni, o poco più, corpulento, ma agile nei movimenti, quando l’ho visto a lavoro era una vera e propria forza della natura, costantemente vestito con camicie a quadri, dalle maniche perennemente rimboccate, scarponi sempre presenti nonostante siamo a primavera inoltrata, e comincia a fare abbastanza caldo. Mi stupisco che non sia arruolato.

Nonostante il minuscolo borgo sia molto decentrato, un giorno vediamo passare per la strada stretta e irta una lunga colonna di militari Tedeschi, quelli che ubbidiscono all'altro dittatore, armati di tutto punto, con varie mitragliatrici pesanti, trainate da camion che trasportano anche un gran numero di soldati, diretti verso la vicina cittadina di castell’arquato. Noto un atteggiamento da parte di Massimo che attira la mia attenzione, come se improvvisamente sia stato sotto tensione, poi, una volta passato l’ultimo soldato, lo vedo uscire frettolosamente, e scomparire tra la vegetazione. Immagino che faccia parte di qualche organizzazione contraria alla presenza dei militari stranieri nella nostra nazione, e che forse è un oppositore dell’attuale regime, ne parlo con Enzo e Fabia e dico loro che da noi non hanno da temere nessuna azione che lo potrebbe danneggiare. Dato che avremmo potuto vivere in quella casa per chissà quanto tempo, abbiamo l’esigenza di comunicare, e stabiliamo che tra noi non ci devono essere sotterfugi, e raccontiamo loro, senza omettere particolari, come mai ci troviamo nelle condizioni di doverci nascondere, e la nostra vita appena trascorsa all’interno del palazzo romano. Facciamo vedere loro i fogli che attestano la nostra passata appartenenza all’organizzazione informativa statale, ma diciamo loro che ormai quell’esperienza è acqua passata, e che abbiamo cambiato radicalmente opinione, passando alla parte opposta. Come atto simbolico facciamo un minuscolo falò di quei fogli.

Naturalmente Enzo e Fabia non hanno nulla da nascondere, ma Massimo evidentemente si, e allora ci facciamo raccontare la sua vita. Non è loro figlio, e nemmeno Massimo sa da quale famiglia o regione provenga, se lo sono trovati in casa all’età di dieci anni, e, non avendo figli, sono stati contenti di accoglierlo, lui li ha sempre ricompensati già da quell’età con lavori in casa e fuori, facendo compagnia al padre adottivo, nei lavori alle dipendenze di una grossa azienda agricola e zootecnica delle vicinanze, questo fino a pochi mesi fa, ma ormai il sistema economico della zona è stato azzerato dalle difficoltà create dalla guerra, e si trovano entrambi disoccupati. I genitori sospettano che Massimo faccia parte della resistenza armata alla dittatura, ma ignorano quali siano i suoi compiti, se la sua collaborazione sia ai massimi livelli, o solo occasionale. Per noi la notizia che esiste una resistenza organizzata è inaspettata, nonostante lavorassimo in un ambiente delegato a raccogliere informazioni; sapevamo che molte personalità dirigevano l’opposizione al regime dall’estero, ma che esistesse una struttura qui al nord che combattesse con le armi il regime, questo non lo sapevamo, forse questo è un fatto recentissimo.

Quando, un paio di giorni dopo, il ragazzo torna a casa, gli chiediamo informazioni, ma lui è estremamente restio a parlare, e nonostante gli avessimo spiegato che anche noi osteggiamo il regime, non si è mosso di un millimetro dalla sua condotta, facendoci credere che le nostre supposizioni sono troppo fantasiose, ma al sottoscritto non sfuggono certi segnali del viso e delle mani che evidenziano il fatto che sta mentendo. Mentre i nostri rapporti con i due anziani della famiglia, sono collaborativi, gli atteggiamenti del ragazzo verso di noi sono scostanti, e notiamo il suo fare estremamente sospettoso nei nostri confronti. Nei giorni successivi, nonostante avessimo l’esigenza di restare rintanati, usciamo, io e Romano, a respirare l’aria frizzante di alta collina, in queste ultime giornate estive, girovaghiamo per i boschi vicini in cerca di tranquillità, per stare finalmente a contatto con la natura, dalla cima di una collina vediamo che castell’arquato è invasa ancora dai militari Tedeschi, cosa ci facciano nel nord italia resta per noi un mistero, sarebbero stati forse  molto più utili nel sud a contrastare l’avanzata dell’esercito alleato.

Quando vediamo un casolare diroccato in cima a una collina, affiancato da una piccola radura, decidiamo di nascondervi una parte dei nostri soldi, e cerchiamo un altro posto per nascondervi il resto, in modo da avere almeno un rifugio sicuro, un po’ più a valle; infestata da una fitta vegetazione, dove la fanno da padroni soprattutto i rovi e le acacie, scopriamo i ruderi di un secondo casolare, spostiamo qualche pietra per nascondervi i soldi, facendo attenzione a non incappare in qualche vipera, che sappiamo quanto siano numerose in questi boschi, ma restiamo allibiti alla vista che si presenta ai nostri occhi, all’interno di una grossa e robusta cassa di metallo sono nascosti tre fucili mitragliatori, una decina di pistole e una quantità enorme di munizioni, rimettiamo tutto a posto e ci allontaniamo velocemente da quel posto pericoloso. Per oggi le nostre scorribande per boschi sono terminate, e abbiamo fretta di rientrare in casa, al sicuro. Una volta in casa, Romano mi fa osservare che la sua arma è della stessa marca e modello di tre delle pistole nascoste. Mi dice che sono in dotazione agli ufficiali dell’esercito italiano.

Trascorre una settimana senza scossoni, e un giorno, nei pressi della casa che ci accoglie, all’imbrunire, veniamo circondati da cinque uomini, che con le armi in pugno ci invitano a seguirli. La notte trascorre in cammino tra strade sterrate e boschi, con la paura che possa accadere qualcosa di brutto, mentre Romano ostenta sicurezza e non sembra eccessivamente preoccupato, gli viene però tolta la pistola. Finalmente, dopo tre o quattro ore, arriviamo a destinazione, ci fanno coricare in un casolare in stanze diverse, ciascuno di noi sorvegliato da uno di loro. Durante la camminata non mi sono azzardato a chiedere spiegazioni, mentre Romano manteneva il suo sangue freddo e cercava di entrare in relazione con loro. Sono certo che abbiamo percorso la strada in direzione ovest, presumo che siamo nella zona tra i colli piacentini e l’oltrepo pavese, una zona collinare dalla folta vegetazione.

Mi addormento quasi subito, vinto dalla stanchezza, e un po’ rassicurato dalla tranquillità che Romano mi trasmette; del resto, se pure i nostri rapitori appartenessero alla resistenza, non vedo di che colpe potremmo essere accusati. Ci svegliamo poco dopo l’alba, presumo che le domande a cui avremmo dovuto rispondere sarebbero state molte, ma non abbiamo nulla da nascondere. Sono presenti una dozzina di uomini, armati di tutto punto, una pistola, un mitra, qualche bomba a mano e innumerevoli munizioni per ciascuno di loro, non si curano di nascondere i loro visi. L’interrogatorio è lungo, ma non è così stringente, sembra piuttosto un colloquio, e finora non ci è stato torto un capello, però quello che sembrerebbe il capo, dopo aver avuto qualche risposta da me, interroga, in un’altra stanza, Romano, e circa ogni mezz’ora si sposta tra quelle due stanze interrogandoci a turno. Il capo sembrerebbe al corrente del fatto che abbiamo scoperto il nascondiglio delle armi, io confermo, e gli dico che non abbiamo rivelato a nessuno l’esistenza del piccolo arsenale, mi dice che qualcuno ha notato la nostra passeggiata nei pressi del nascondiglio, e hanno così deciso di recuperare immediatamente le armi, hanno tenuto sotto controllo il casolare diroccato per un paio di giorni, ma nessun soldato Tedesco o Italiano ha rovistato quel posto.

Mi invita a vuotare le tasche, e appaiono così due mazzetti di banconote, ben poca cosa se confrontata con il denaro che ho a disposizione, ma comunque si tratta di una cifra abbastanza rilevante. Mi sequestra un solo mazzo, quasi scusandosi, e dicendomi che sarebbe servito per finanziare i partigiani. Chi siano i partigiani non mi è dato sapere, la parola non è completamente sconosciuta per me, ma non possiedo altre informazioni su di loro. Non sono stato riluttante a rispondere ad ogni domanda, e altrettanto spero abbia fatto Romano, del resto, parlando tra noi, prima di venire sequestrati, abbiamo valutato l’ipotesi di collaborare in qualche modo con quella di cui fa presumibilmente parte Massimo, che a noi sembrava un’organizzazione indirizzata a contrastare l’attuale dittatura, lui con azioni vere e proprie, essendo un militare dei corpi speciali, e quindi perfettamente addestrato a compiere azioni di grande rilevanza, pericolosità e delicatezza, io con le mie competenze.

Quando il capo mi dice che il colloquio è terminato, mi sento sollevato, e mi ritrovo a fianco di Romano, con la sua pistola e in condizioni di libertà, ma costretti a rispondere ad una considerazione:
“Sappiamo per certo che non abbiamo nulla da temere da voi, sappiamo che siete dalla nostra parte, naturalmente quello che è successo oggi deve restare segreto, e vi proponiamo di entrare a far parte della resistenza”.
Dicendo quelle parole guardava soprattutto in faccia il mio amico, in modo intenso, mentre al sottoscritto lanciava solo qualche raro sguardo di sfuggita. Romano risponde che avremmo dovuto consultarci, e gli chiede il tempo sufficiente a decidere in tutta tranquillità, da soli. Il capo non ha nessun problema ad assecondare la richiesta, e ci lascia liberi di scegliere un posto tranquillo. Decidiamo di fare una passeggiata lontano da orecchie e occhi indiscreti, e quando siamo sicuri di non essere controllati discutiamo sul da farsi.

Lui non ha nessuna remora ad assecondare la richiesta del capo, dicendo che è restato troppo tempo senza entrare in azione, e quasi gli fa piacere un po’ di movimento e adrenalina, del resto è un militare e quello che gli si chiede non fa parte che del suo mestiere, nel quale si sente preparatissimo. Altro discorso è la mia posizione, seppure convinto di dare anch’io una risposta positiva, non saprei quali mansioni potrei svolgere, dato che non ho mai preso in mano un’arma. In un quarto d’ora abbiamo preso la nostra decisione, e la comunichiamo al capo, che resta favorevolmente colpito dalla rapidità che abbiamo dimostrato. Inizia così il mio addestramento alle armi, un’eventualità che mai avrei pensato potesse accadere, data la mia repulsione per simili aggeggi, ma me ne faccio una ragione e quasi provo un senso di forza quando mi mettono in mano un fucile e una pistola. Ma quando si tratta di centrare qualche improvvisato bersaglio, i miei limiti sono orrendamente evidenti. Viene delegato il mio amico a rendere la mia persona un combattente, ma dopo qualche giorno si accorge che la missione è quasi impossibile.

I giorni successivi io, Romano e altri due partigiani, trascorriamo giorni e notti a controllare il territorio, il nostro gruppo agisce sui colli piacentini, ma si spinge fino all’oltrepo pavese, questa è la zona di nostra competenza, e da ciò deduciamo che tutto il nord è controllato dai partigiani, collegati tra loro da un’organizzazione capillare, che dovrebbe avere, da qualche parte, per forza di cose, un suo apparato dirigente. Durante il nostro lungo girovagare tra colline e boschi, i pericoli non mancano, non manca nemmeno qualche scaramuccia con drappelli di soldati Tedeschi e Italiani, ma conosciamo tante persone contrarie al regime, chi perché è stato in passato osteggiato violentemente dalle squadre nere, così vengono chiamati i sostenitori del regime, chi per sue concezioni personali che ripudia ogni forma di dittatura; nonostante lavorassimo in una struttura informativa dello stato, non sapevamo quanto fosse diffuso il malcontento verso il regime, per noi la nazione era perfettamente sotto controllo, e che esistessero organizzazioni armate, ci era completamente ignoto. E quando la situazione generale ci diventa man mano più chiara, ci accorgiamo che la popolazione è abbastanza contraria al regime, e non trascorriamo nemmeno una notte all’aperto, ospitato da famiglie del posto, che collaborano volentieri con noi.

Ma dobbiamo sempre essere in continuo movimento, e ogni giorno, all’alba siamo di nuovo in cammino, se pure ci fidiamo delle famiglie che ci accolgono, non possiamo rischiare di sostare troppo tempo nello stesso posto. Chiunque avesse visto dei borghesi armati, avrebbe capito che si tratta di partigiani, e sostenitori della dittatura esistono e sono sicuramente numerosi. Ogni partigiano ha un suo nome da battaglia, i nomi di animali si sprecano, aquila, volpe, lupo, iena, leone, tigre e quant’altro; quando ci chiedono quale siano i nostri nomi, rispondiamo con i veri nomi, al che ci invitano a cambiarli, per maggior sicurezza. Romano pensa intensamente quale possa essere il suo nome, ma è indeciso, vorrebbe dare un nome che evidenzi la sua grandissima professionalità nelle arti militari, alla fine sceglie “turbine”. Quando invitano me ad assegnarmi un nome non ho dubbi, mi sarei chiamato lupo solitario, ma mi dicono di cambiarlo perché esiste già un partigiano con questo nome. Allora scelgo un nome sardo: “zirogna”, che tradotto in lingua italiana significa frusta. Con un nome così e sentendomi importante perché stringo tra le mani le mie armi, esprimo il mio pensiero, e cioè che chi avesse avuto a che fare con me, avrebbe avuto i suoi guai, al che Romano mi fa un significativo gesto come per dire “lascia perdere”. 

Nonostante abbia come istruttore il meglio che potessi desiderare, la mia reputazione come guerriero lascia molto a desiderare. In un’azione contro militari tedeschi, però, forse perché a fianco di turbine, mi sono sentito sicuro delle mie capacità guerriere, ed ho assolto egregiamente il compito che mi è stato assegnato. E trascorriamo le giornate tra la natura, con interminabili camminate tra i boschi, raccogliendo informazioni, ma ho l’esigenza di essere almeno un po’ credibile come combattente, e turbine, ormai il suo nome è questo, mi insegna mille trucchi del mestiere, dicendomi che in caso di battaglia dovrò potermela cavare da solo, e che lui non dovrà trascorrere il tempo proteggendomi in eterno, zirogna dovrà potersela cavare da solo! Mi istruisce sull’uso di pistole, fucili, bombe a mano, ma l’emozione più forte la provo quando mi mette in mano un fucile mitragliatore, poi mi dà qualche lezione sul combattimento corpo a corpo.

Mi tornano in mente i giochi della mira da ragazzino, i confronti con gli altri rioni del mio paese, della volta che i tre rioni si sono coalizzati e abbiamo deciso di confrontarci con ragazzi di un paese limitrofo, in campo neutro, e in campagna, scegliendo un giorno di festa, in modo da essere sicuri che la zona ai confini tra i due paesi fosse sgombra da contadini. E ricordo i confronti a “s’istrumpa”, giochi pericolosi, ma immensamente più abbordabili di quelli a cui avremmo dovuto far fronte in questo futuro imminente. Questa vita a contatto della natura mi piace, perché mi ricorda i tempi felici della mia infanzia, il gusto di compiere azioni pericolose, le lunghe camminate, il raccogliere frutti dalle piante, e consumarli subito, come succede ora, una vita sempre in tensione, sempre a decidere ogni minima azione, a valutare di chi avremmo dovuto fidarci, ad agire allo scoperto o in maniera velata, a farci riconoscere o a nascondere i nostri obiettivi, e persino a valutare se ci si possa fidare dei nostri stessi compagni, è in gioco la nostra stessa vita, e il futuro dell’organizzazione. E se il lavoro che gli occupanti del palazzo romano erano volti a carpire informazioni, senza pericoli da parte nostra, ora ogni minimo contatto va preso senza leggerezze di sorta, con la massima ponderatezza, con propensione al rischio calcolato.

E ogni gruppo, mi dicono, è strutturato in maniera simile, tutti i componenti sono votati sia al rischio del combattimento, sia ad essere agenti che cercano informazioni, persone i cui compiti spaziano per molti campi di intervento, ci sono vari livelli di collaborazione, chi direttamente coinvolto, come ormai siamo noi, chi collabora in maniera blanda, senza esporsi troppo, chi conduce una vita apparentemente normale, ma pronto ad entrare in azione quando necessario. E sembrerebbe che l’organizzazione sia diffusa in maniera capillare in tutto il nord italia, e parte del centro. E alla fine la lunga escursione a sud della zona pavese del po, termina, e decidiamo di affrontare il lungo tragitto verso i colli piacentini, destinazione il quartier generale del nostro gruppo, il casolare che ha visto i nostri interrogatori.

Dopo qualche giorno siamo a destinazione, senza sorpresa notiamo che fa parte del nostro gruppo partigiano anche Massimo. Durante i lunghi trasferimenti si dormiva una sola notte dalle famiglie che ci ospitavano, eravamo relativamente tranquilli, qui invece, paradossalmente, pur avendo una folta cinta di osservatori attorno al casolare, pronti ad avvisarci ad ogni minimo segnale di pericolo, ci sentiamo meno protetti, perché una postazione stabile potrebbe essere più riconoscibile; però l’organizzazione deve per forza di cose avere dei punti fissi, in caso di comunicazioni tra gruppi di diverse regioni. Pian piano, col trascorrere del tempo, tra un’azione militare e l’altra, conosciamo i capi delle varie aree territoriali, che si fanno vivi abbastanza spesso, mi dicono che durante la nostra escursione verso ovest è venuto a trovarci il capo del nucleo che opera nella zona dei monti sibillini, ai confini tra quattro regioni: marche, abruzzi, lazio e umbria, uno dei gruppi partigiani tra i più numerosi, a cui è stato affidato il compito di controllare quella vasta zona montagnosa.

Quando vengo a conoscere il suo nome, mi viene da pensare al mio amico di fermo. Il nome è proprio quello che avevo deciso di adottare io stesso: lupo solitario, ma ora non è sicuramente più tanto solitario … Mi assale la frenesia immediata di chiedere quale sia l’aspetto di quella persona, e magari, ancora meglio, leggere eventuali suoi manoscritti, se ciò fosse possibile avrei avuto la certezza assoluta che il capo di quel piccolo esercito sia o meno la persona a cui penso. Mi viene messo tra le mani un foglio di quattro righe scritto proprio da lui, appena qualche giorno prima. Non posso avere dubbi, la grafia è proprio quella che avevo analizzato nel palazzo, e che mi aveva fatto pensare a lui, ma ora ne ho la certezza assoluta perché associo alla grafia che è quasi una sua riproduzione sia psicologica che somatica del mio amico Lupo. Quando mi descrivono l’aspetto fisico ne ho la certezza assoluta. Voglio operare col suo gruppo, e faccio il diavolo a quattro perché ciò avvenga, qui non mi trovo male, ma stare a contatto con la persona che più di tutte mi ha comunicato un senso di amicizia, per me, ora, è diventato obbligatoriamente necessario. Ogni giorno che passa non faccio che essere sgradevolmente ripetitivo col mio capo, voglio andare nella zona di Lupo.

Ma giornate così ne trascorrono tante, e finalmente, un giorno, arriva un componente della squadra di Lupo, che ci porta informazioni e ordini scaturiti da una riunione tra molti capi della resistenza. La notizia che ci comunica fa lo stesso effetto di una bomba scoppiata nelle nostre vicinanze, improvvisa e inaspettata, e gli ordini sono che ora inizia veramente in maniera esponenziale la nostra campagna bellica. Il re ha destituito ed arrestato il dittatore Italiano, il potere è stato affidato ad un generale che gode della sua fiducia, e che come prima azione stipula una convenzione con l’esercito alleato, diciamo pure una resa, e impartisce ordini confusionari e frammentari al nostro esercito, che a questo punto non sa più chi siano i veri nemici da combattere. Il re, invece, ha pensato bene, pensando alla sua incolumità, di abbandonare l’italia.

Gli ordini portati dal messaggero di Lupo sono quelli di collaborare con l’esercito alleato, e combattere i sostenitori del vecchio regime, le frange dell’esercito che eventualmente fosse restate fedeli al dittatore, e soprattutto l’esercito Tedesco presente nel territorio nazionale, che avrebbe sicuramente adottato forme di vendetta contro un popolo che ha cambiato così improvvisamente bandiera, da alleato a nemico. E mentre sia noi che l’esercito Tedesco sappiamo bene cosa fare, chi si trova senza ordini precisi, nell’impossibilità di valutare attentamente e lucidamente la situazione, con la certezza di aver compiuto un grossolano e inaudito tradimento, per cui verremo condannati dalla storia come un popolo inaffidabile, sarà proprio l’esercito Italiano, che senza ordini precisi si trova ora in balia degli eventi e della casualità.

Ottengo dal mio capo di poter seguire il messaggero di Lupo, Romano decide anche lui di affrontare il lunghissimo e ora ancora più pericoloso viaggio, che affrontiamo a bordo di due motociclette. Ogni curva ci mette apprensione, non sappiamo se la strada sarà libera o ci sarà un posto di blocco, e il terzetto non dà certo l’aria di essere in gita di piacere. Il messaggero conosce ogni minimo particolare del territorio che stiamo percorrendo, e in prossimità di eventuali ponti, o crocicchi, o punti strategici di strade importanti, ci invita a scendere e nascondere i mezzi di trasporto, per controllare a piedi se esistano pericoli nell’attraversarli. Più di una volta abbiamo dovuto fare lunghissimi giri per eludere quei controlli, e il viaggio, di questo passo, potrebbe diventare infinito, ma pian piano ci avviciniamo sempre più alla meta. Ma una volta arrivati in prossimità del tevere non abbiamo trovato un solo ponte non presidiato da truppe Italiane favorevoli al dittatore, e abbiamo dovuto separarci dalle moto che abbiamo consegnato ad un gruppo di partigiani della zona.

Guadiamo il fiume in un punto sicuro e proseguiamo la nostra camminata di avvicinamento al piccolo esercito di Lupo. Ma se il trasferimento in moto è stato finora veloce, anche se rischioso, ora dobbiamo fare i conti con la fatica, e spesso ci vede rintanati in qualche casa di persone favorevoli ai partigiani di giorno, e attraversare di notte le zone più pericolose, specialmente quando attraversiamo zone pianeggianti. Ma la fortuna ci viene in aiuto, e veniamo a sapere che da una località poco distante sarebbe passato un camion verso il rifugio di Lupo, ci dirigiamo nel posto che ci hanno indicato, e aspettiamo per sette ore l’arrivo del mezzo, che finalmente arriva, proprio quando stavamo perdendo le speranze. Trasporta alimenti, armi, e vestiario pesante per poter affrontare i mesi invernali. Dopo qualche alternanza di colline e pianure, arriviamo ai piedi del massiccio montuoso, ad una certa altezza la neve la fa da padrona, il messaggero ci dice che il rifugio più importante si trova ad un’altezza rilevante, e sicuramente a quell’altezza è già abbondantemente innevato. Col camion riusciamo ad arrivare quasi a destinazione, percorriamo qualche chilometro trasportando sulle spalle quello che possiamo portare degli oggetti trasportati, aiutati da due partigiani che controllavano il territorio in quella zona, ma buona parte della merce resta sul camion.

E finalmente arriviamo al rifugio, e chiedo dove si trovi Lupo, purtroppo lui non c’è, manca spesso, impegnato per lo più a contattare gli altri capi della resistenza. Non ho la fortuna di incontrare subito il mio amico, ma mi sembra di riconoscere una persona con la quale mi sono incontrato in uno dei salotti della roma bene, allora era vestito in maniera inappuntabile, mentre ora porta un pesante cappotto grigio, una sciarpa colorata, grossi calzoni, scarponi e guanti di lana. Si, è proprio lui, il politico e scrittore Sardo, baffi e pizzetto, corporatura magra, alto e dai modi di fare che denotano sicurezza di sé. Seppure questa è la seconda volta che ci incontriamo, ci salutiamo come due grandi amici, e raccontiamo le nostre avventure. Alle storie mie e di Romano, non monotone, ma vissute abbastanza normalmente, si contrappone il racconto ipnotico delle sue avventure, a cominciare dal periodo della grande guerra, quando, al fronte, giovane capitano dell’esercito italiano, ha vissuto tutte le assurde e catastrofiche contraddizioni della guerra, e descritto in maniera mirabile, in un suo libro di grande successo, il comportamento disumano di generali che non tenevano in alcun conto il valore da attribuire alle vite dei loro soldati.

Poi racconta i fatti della vita politica italiana, subito dopo la fine della grande guerra, vissuta direttamente perché parlamentare, i suoi dissidi con il regime, che lo portarono ad uccidere uno degli squadristi venuti a casa sua per arrestarlo perché dissidente. Partecipò anche ad una guerra civile contro un altro dittatore europeo, ed ora fa parte del gruppo di Lupo. Un racconto entusiasmante, coinvolgente al massimo, una maniera di esprimersi pacata, ma incisiva nella sua esposizione di fatti obiettivamente di grande rilevanza, tra noi nasce subito una reciproca simpatia, accresciuta dalle nostre origini comuni. Una personalità che avrebbe potuto dirigere il gruppo al posto di Lupo, ma, essendo venuto dopo di lui, ed essendo i due legati da una profonda amicizia, ha lasciato l’onere di quell’impegno a lui.

Ed eccolo arrivare, due giorni dopo, il mio grande amico, appena mi vede il suo viso si illumina improvvisamente, saluta Romano e ci abbraccia forte. La sera, durante la cena, espone le decisioni prese dai dirigenti della resistenza, c’è bisogno di lui in una zona molto problematica, e di sicuro molto più pericolosa: dovrà andare a dirigere le azioni dei partigiani all’estremo nord est della nazione, in friuli. Spiega i motivi della decisione, e di come l’esercito Germanico abbia estrema necessità di avere uno sbocco al mare, e se i territori più a sud non potessero essere difesi, non rinunceranno certo volentieri al porto di trieste. E così il comando sui monti sibillini verrà preso dallo scrittore Sardo. Lupo invita me e Romano a valutare se restare qui o seguirlo, insieme ad una dozzina di uomini. La nostra decisione è naturalmente quella di stare al suo fianco, e due giorni dopo ci vede salutare il nostro amico scrittore, due motociclette ed un camion si mettono in viaggio verso i confini orientali della nostra nazione. Una delle moto precede il camion di due chilometri, per avere il tempo di avvisare i suoi occupanti, nel caso più avanti ci fossero problemi, l’altra lo segue.

Il manipolo di uomini è armato di tutto punto, sono state scelte le persone più motivate, molte di loro hanno ben poco da perdere se non la propria vita, e sono addestratissime. Durante il viaggio, Lupo scherza mettendo in risalto il fatto che io sono il solo a non avere una preparazione militare adeguata, controbatto che ho avuto un insegnante di tutto rispetto, Romano, che però mi lancia uno sguardo quasi di commiserazione, molto più eloquente di qualsiasi parola. Il lungo viaggio continua, non mancano i pericoli e le lunghe attese nella speranza che vengano tolti i molti posti di blocco dei militari Tedeschi che abbiamo incontrato, e viaggiamo di giorno quando si tratta di attraversare zone collinose e poco abitate, ma costretti ad avanzare di notte nei tratti delle zone pianeggianti. Un tragitto interminabile, che se avessimo percorso in tempi di pace, scegliendo le strade più agevoli, si sarebbe concluso in un giorno, ma dovendo scegliere itinerari alternativi, si prolunga di molto.

Ma alla fine, una sera, arriviamo nella regione di destinazione, una decina di partigiani ci aspettano in una località stabilita in precedenza, sulle riva del fiume tagliamento, e insieme lo attraversiamo. Trascorriamo quello che resta del giorno in una grande casa non molto distante dal fiume. La notte attraversiamo la pericolosa pianura che ci separa dalla nostra zona di competenza, e stabiliamo il nostro quartier generale nei pressi della cittadina di cormons. L’alba ci vede ammirare dall’alto di una collina le splendide zone del collio, un ampio territorio abitato da diverse etnie, le più importanti delle quali sono quella Italiana e quella Slovena, ma non mancano qualche rappresentante Austriaco e di altri paesi danubiani. Una visione, stemperata nelle vallate da qualche addensamento di sottilissima nebbia, che conferisce a questa zona, alle prime luci dell’alba, un aspetto irreale, con l’accendersi di colori sempre più intensi man mano che la giornata avanza, in questa mattinata di autunno, così fredda, ma che ci scalda il cuore alla vista di tanta bellezza e al tepore dei primi raggi del sole.

I primi giorni sono dedicati a prendere conoscenza dell’ampio territorio che dovremo controllare, esistono delle case a nostra disposizione in varie zone, ciascuna delle quali fungerà di volta in volta da quartier generale, presidiate da una decina di persone ciascuna, che godono della collaborazione della stragrande maggioranza della popolazione, faremo parte di un eterogeneo gruppo di partigiani che conta qualche centinaio di uomini. Il gruppo più vicino a cormons, composto da una trentina di partigiani, è dislocato tra i fitti boschi della località di plessiva, una nell’altopiano del carso, che ha visto assurde carneficine nel corso della guerra precedente, un’altra nell’alta valle del fiume natisone, che sovrasta l’antica e importante città di cividale, la cui zona di competenza arriva fino alla media valle del fiume isonzo, e l’ultima dislocata sui disagevoli monti sopra il paese di faedis. Questi contingenti ubbidiranno alle direttive di Lupo. Da là in poi, più a nord, esistono altre postazioni di partigiani, e sono gestite pressoché in maniera autonoma, nelle alte montagne della carnia, e la nostra competenza territoriale vera e propria termina nella contrada di attimis. Dato che tra le zone di nostra competenza non esistono montagne di grandissimo rilievo, tali da giustificare l’istituzione di un’unica postazione sicura di comando, siamo costretti a spostarci tra queste case in maniera continua, per controllare l’ampia zona di territorio, senza dimenticare la pianura sottostante che arriva fino alla città di udine. 

Non troppo lontano da cormons esistono anche le varie cellule partigiane autonome che agiscono nelle città di gorizia, monfalcone e trieste. Un ampio territorio, forse il più problematico di tutto lo stivale; poco lontano da qui c’è il territorio istriano, la dalmazia e la bassa valle dell’isonzo, abitate da Italiani e Slavi, che finora hanno convissuto in maniera abbastanza tranquilla, anche se in genere l’Italiano viene visto ultimamente come il fascista, il ricco, e l’inaffidabile. Probabilmente per loro non fa nessuna differenza il fatto che combattiamo insieme il dissolto regime ed i Tedeschi, proprio come loro, ma siamo comunque Italiani, e le ultime esperienze sotto la dittatura sono state per loro traumatiche: il regime ha sviluppato un’assurda opera di italianizzazione di quelle popolazioni, che mal sopportavano, giustamente, intrusioni culturali a loro estranee. Sono state compiute anche azioni violente contro quelle etnie, una delle quali ha avuto grande rilevanza nel catalogare l’Italiano unicamente come una persona che non rispetta le tradizioni altrui, prevaricatore e arrogante. È nato quindi negli ultimi tempi un sentimento di repulsione verso il nostro popolo, ma finora nessun gesto di violenza è stato compiuto.

Trascorriamo la notte in un grande capanno nascosto tra i boschi di plessiva, abbiamo avuto modo, durante il viaggio, di parlare della nostra nuova missione e di sviluppare strategie, ma il contatto con questa particolarissima zona del territorio nazionale si rivela molto problematica, per via della presenza nello stesso territorio di componenti molto dissimili tra loro, e in evidente contrasto, a volte alleate, ma sempre sospettose tra loro. E il fatto di essere in presenza di componenti così disparate non fa che accentuare la problematicità del territorio. Il regime si è dissolto, o almeno si è dissolta la perfetta macchina organizzativa messa in piedi a suo tempo, sostituita da una parvenza di controllo di una rinata forma di stato messa in piedi dallo stesso dittatore, che però ora è succube dello strapotere dell’esercito Tedesco, e quindi non in grado di prendere decisioni autonome. L’antico esercito Italiano non esiste più, restano in piedi solo forme di controllo espletate da carabinieri e finanzieri, anche loro pressati dall’esercito Tedesco, che ora si può considerare a tutti gli effetti invasore.

Agiscono in questa ampia zona le organizzazioni partigiane, anche loro composte da elementi che non sempre hanno visioni politiche concordanti, ne fanno parte ampie frange di comunisti, di socialisti moderati e di cattolici. Inoltre, al di là della valle dell’isonzo, agiscono squadre partigiane Slovene e Croate, e un vero e proprio esercito Jugoslavo, tutti insieme combattono i Tedeschi. Ma regna sovrano un clima di incertezza sulle strategie da adottare, e anche nel nostro gruppo abbiamo notato che esiste qualche partigiano insofferente verso la figura del nuovo capo.

La mattina successiva, sulla strada che da cormons, costeggiando la zona di plessiva, porta verso il paese di casteldobra, essendo io e Romano di pattuglia proprio su quella strada, armati di tutto punto, fermiamo un motociclista che dall’aspetto sembra un militare, e che, dopo un interrogatorio, rivela di essere un corriere partigiano, che porta un importante dispaccio da consegnare al gruppo dei partigiani Sloveni che operano oltre il fiume isonzo. Non apriamo il dispaccio, ma accompagniamo il corriere al cospetto di Lupo, deciderà lui come comportarsi nei suoi confronti. Seppure formalmente alleati con i partigiani Jugoslavi, Lupo decide in cuor suo di aprire il dispaccio; nella nostra attività le informazioni sono importanti almeno quanto la nostra capacità di combattere. Con la scusa che la zona che dovrà percorrere il corriere è infestata da una quantità rilevante di soldati Tedeschi, lo invitiamo ad aspettare tempi migliori, e a sostare da noi fino a quando questi non se ne saranno andati.

All’insaputa del corriere, Lupo apre con cura il dispaccio in mia presenza, in modo che possa essere ricomposto senza dare sospetti, e lo leggiamo. Con nostra grande sorpresa è subito evidente che la sua importanza è rilevantissima, scritta di suo pugno dall’attuale capo del partito comunista, contiene informazioni sul territorio da noi controllato, del tutto sconosciute a noi. È redatto in due copie praticamente simili tra loro, una diretta al comandante dell’esercito Jugoslavo, l’altra a uno dei capi partigiani comunisti che controllano la zona istriana. Si lamenta del fatto che è a conoscenza che è in atto una grande operazione di pulizia etnica contro la popolazione Italiana, fatto a noi sconosciuto, e dà indicazioni sulle prossime strategie da adottare. Il suo pensiero che salta subito agli occhi è di quelli che ci fa rabbrividire; si dice favorevole, alla fine del conflitto, all’annessione di buona parte del territorio friulano, giuliano, istriano e dalmata alla futura nazione jugoslava, le nostre considerazioni si concentrano sul fatto che a noi sembra inverosimile che un Italiano possa ragionare così, seppure spinto da concezioni internazionaliste, volte a diffondere il comunismo in ampi tratti di territori.

Quanto è lontano il suo pensiero dalle concezioni del fondatore del suo stesso partito! Secondo noi, pur non appartenendo a quell’area politica, riteniamo che le idee che spingono quelle personalità, siano ampiamente condivisibili da una fascia rilevante della popolazione, e la loro diffusione non necessariamente debba avvenire tramite imposizioni in territori da loro controllati, farebbero in tal modo né più, né meno, che adottare la strategia del dissolto regime che imponeva concezioni italianiste a popolazioni che per lo più nulla avevano da spartire con la nostra cultura. In questo modo si metterebbero esattamente sullo stesso piano di un regine che loro stessi disapprovano e combattono. Quando il potere dominante impone scelte assurde a popolazioni che hanno una loro cultura, un loro modo di vedere il mondo, le loro tradizioni, rasenta concezioni antistoriche che i tempi, per forza di cose in continua evoluzione, decreteranno come portatrici di contrasti, e perché no, foriere di probabili vendette, sbagliate, ma non completamente ingiustificate.

La scelta forzata di italianizzare nomi slavi, la pretesa di sottoscrivere l’impegno di assorbire la cultura italiana, pena l’abbandono di quei territori, con conseguente confische di beni, la stessa strategia di regime che invogliava il popolo Friulano all’odio verso le comunità Slave, e l’imposizione della lingua, accompagnata dal divieto di diffondere le loro lingue originarie, hanno spinto le popolazioni Slave a considerare ogni Italiano, una persona da contrastare. In quegli anni di regime, proprio nella zona in cui operiamo noi, erano attive e numerose due comunità non Italiane, quella Slovena e quella di lingua Tedesca, e mentre la prima scelse per lo più di non abbandonare quei territori, quella Tedesca sparì quasi del tutto dalla zona.

Il mondo inteso come spezzettamenti di territori a volte organici tra loro, se pur abitati da diverse etnie, la presenza di frontiere, spesso naturali, che portano alla mancanza di scambi culturali, l’assurda concezione di dividere il mondo secondo zone di influenza, come se le idee non avessero modo di divulgarsi, se pur in presenza di confini, metodi che accettiamo perché siamo abituati a conviverci fin dalla notte dei tempi, e non in grado di ragionare in termini diversi, un favorire incomprensioni e rivalità. Problematiche che si evidenziano in tutte le zone di confine, le frontiere che separano pesantemente modi di ragionare diversi, che così non hanno modo di confrontarsi e progredire assieme. Steccati che impediscono un rapido sviluppo dell’umanità. 

Dobbiamo approfondire l’argomento per aver chiara la situazione che si verrà a creare, consci ormai del fatto che qualche frangia dei partigiani appartengono alla componente rossa, il cui obiettivo finale va contro il loro stesso popolo, in nome di un’internazionale che secondo noi perseguirà interessi sovietici, e non certo italiani. Lupo fa chiamare Romano, e in tre operiamo un sottile interrogatorio bonario, cercando di non dare l’impressione che stiamo acquisendo informazioni. Il nostro capo, per disarmare il suo atteggiamento sospettoso, dice che il nostro contingente è composto quasi esclusivamente da componenti comuniste, cosa non vera, riusciamo così, con una semplice chiacchierata, a carpire informazioni importanti sulle future strategie del movimento rosso in atto in tutta la nazione, sia dal punto di vista politico che strategicamente militare. Se noi obbediamo alle direttive generali degli alleati, loro obbediscono subdolamente e segretamente a interessi sovietici, mettendo in secondo piano le aspettative del loro stesso popolo.

Quando io, Romano e Lupo, ci ritroviamo da soli, riconsideriamo le informazioni ricevute, ormai certi che i nostri nemici non solo solamente i Tedeschi e il rinato esercito Italiano del nord, sotto il controllo formale del dittatore, ma sostanziale dell’esercito Tedesco, ma anche quelle frange dell’esercito partigiano che risponde agli ordini sovietici. Una situazione complicatissima, che avrà bisogno ancora di informazioni dettagliate, e di un comportamento tale da non destare sospetti sul fatto che siamo a conoscenza dei reali obiettivi dei partigiani rossi. Dal canto mio, avendo una certa dimestichezza nel valutare la gestualità delle persone, faccio sapere ai due amici che il corriere è in uno stato di forte tensione, e sicuramente nasconde altri segreti. Lo terrò sotto controllo nei prossimi giorni, nella speranza di un suo passo falso, lo possiamo trattenere quanto tempo vogliamo, con la scusa della presenza dell’esercito Tedesco nelle vicinanze.

Il giorno stesso noto che ogni volta che può vedere la sua moto, la scruta intensamente, e il suo sguardo si posa su di essa troppo spesso. Sono certo che il segreto che nasconde ha una relazione con il suo mezzo di trasporto, decidiamo di impossessarci di una motocicletta simile alla sua, la sera stessa abbiamo il doppione, che facciamo in modo che possa essere vista da lui solamente da lontano, e smontiamo pezzo per pezzo la sua moto, le mie impressioni erano esatte, difficilmente sbaglio quando metto in campo la mia capacità di valutare la gestualità delle persone, e scoviamo nel serbatoio un doppio fondo che contiene informazioni molto più riservate. Valutiamo che i documenti in nostro possesso sono di rilevanza storica, così importanti da decidere di dedicare ad essi tutto il tempo necessario. Documenti indirizzati al capo dell’esercito Jugoslavo, ai capi dei partigiani Slavi e Italiani dello stesso indirizzo politico, e persino al capo di stato Sovietico.

È specificata in dettaglio tutta la futura strategia del movimento comunista internazionale, la necessità di occupare ampie zone di territori in modo di avere più carte da giocare quando si dovranno decidere i prossimi confini al termine del conflitto, creare una fasulla affermazione che storicamente potrebbe giovare all’accoglimento delle loro istanze alla fine della guerra, e cioè evidenziare il fatto che questi ampi tratti di territori, oltre che militarmente controllati da loro, siano anche abitati da popolazioni a loro favorevoli, la possibilità che la guerra possa continuare anche dopo la prossima, probabile sconfitta dei Tedeschi. Valutazioni, in questo caso divergenti, dall’atteggiamento dei capi Slavi, sulle assurde problematiche che comporta la decisione unilaterale e non certo concordata di effettuare la più odiosa delle pratiche umane, quella della pulizia etnica, indirizzata stavolta verso la nostra popolazione residente nei territori da loro occupati, e verso gli oppositori interni, una miriade di domande rivolte verso i dirigenti Sovietici, tra le più banali e insignificanti, che mettono in evidenza la totale sottomissione del partito comunista italiano allo strapotere dei Sovietici.

Ma quello che ci interessa più direttamente, sono gli indirizzi comportamentali che suggerisce ai partigiani rossi verso i loro compagni di diversa collocazione politica, Lupo che, essendo anarchico, non sopporta simili intrusioni, e che fa del libero arbitrio la sua religione, trova assurde quelle disposizioni, come se uomini che rischiano le loro vite, siano costretti dagli eventi della storia a comportamenti disumani e, mettendo sullo stesso piano le loro aspirazioni a quelle delle odiose decisioni prese dall’esercito Tedesco contro la popolazione Italiana, decisioni vendicative indirizzate verso la direzione sbagliata. Si suggerisce di rendere evidente all’opinione pubblica che la componente rossa del movimento partigiano sia la più importante, sia in termini numerici che come azioni militari eclatanti, che diano grande visibilità futura alla loro componente, ora sappiamo che ci dovremo guardare anche dai nostri stessi compagni.

Ci rendiamo conto che la decisione di mandare a dirigere le operazioni in questa regione proprio Lupo, sia stata estremamente corretta, un territorio particolarissimo, abitato da diverse etnie, fatto che non fa altro che accentuarne le problematiche, indirizzate verso innumerevoli direzioni, un territorio di confine che per sua stessa natura comporta la necessità di decisioni ponderate e storicamente rilevanti in un prossimo futuro. Se la guerra dovesse continuare dopo la sconfitta dei Tedeschi, questo sarebbe il campo dove si dovranno confrontare due concezioni storiche incompatibili, anche se attualmente alleate.

Nel frattempo, durante le nostre disquisizioni, arriva uno dei partigiani delegati allo smontaggio della moto, ci mette in mano dei quaderni scovati in un altro nascondiglio, tra la doppia fodera del sedile, lo consegna a Lupo che me lo mette in mano, appena scruto la grafia generale dello scritto sono certo dell’identità di chi lo ha redatto anche senza leggerne la firma, è una grafia che conosco molto bene, in quanto analizzata più volte, quella del parlamentare e giornalista Sardo, deceduto nove anni fa in stato di detenzione, ma che ha lasciato significativi pensieri nei suoi diari, ora tengo in mano un così rilevante documento, che scopriamo destinato alla amministrazione sovietica. Evidentemente è stato trafugato a suo tempo, forse dall’attuale capo del partito comunista Italiano, ed ora che i territori che dovrà attraversare quello scritto non sono più così assiduamente controllati, si è deciso che questo è il momento buono per fargli compiere il lunghissimo viaggio. Un’altra dimostrazione della sudditanza del capo del partito comunista all’amministrazione sovietica. Non posso fare a meno di confrontare le personalità dei due uomini, quella del fondatore del partito, così deciso e costante nelle sue risoluzioni, indirizzate verso l’amore per il suo popolo, incurante della sua incolumità personale, dalla dirittura morale esemplare, e quella dell’attuale capo, che mi sembra poco più che un fantoccio nelle mani di uno stato che evidentemente non farà mai gli interessi del popolo Italiano, sono certo che una scarpa vecchia del mio conterraneo valga molto di più di questo politico asservito a interessi estranei a quelli nazionali.

Chiedo a Lupo un regalo personale, tenere per me i documenti del mio conterraneo così rilevanti, precisando di impegnarmi a metterli a disposizione della collettività se e quando necessario, Lupo mi concede il grande favore, ed io sono felice di avere a disposizione quegli scritti, che custodirò come la cosa più preziosa che abbia mai posseduto. Lo stesso giorno apprendo dal corriere, all’atto della sua partenza che lo ha condotto fin qui, che appena gli è stata messa in mano la moto e i documenti, è partito immediatamente, quindi suppongo, ma non ne sono certo, che lui stesso non sia a conoscenza di almeno uno dei doppifondi del suo mezzo di trasporto, e lo vediamo partire il giorno dopo, una volta ricomposta la sua moto, con i documenti che gli abbiamo restituito, contento e ignaro del prelievo che abbiamo effettuato, e del fatto che la sua intelligenza è riuscita ad uscire dalla brutta situazione in cui era incappato, in mano a partigiani che non erano i destinatari di quei documenti.

Il giorno dopo arrivano, provenienti dal contingente partigiano operante nella zona del natisone, una quindicina di uomini, che si dicono scontenti della gestione finora adottata, decisi ad unirsi a noi, che garantiamo imparzialità di comportamenti, a differenza della operatività inconfutabilmente rossa e indirizzata verso comportamenti favorevoli all’esercito Jugoslavo, piuttosto che alle direttive degli alleati. Ci portano un dispaccio dei loro capi che evidenzia la volontà di non sottostare più alle direttive di Lupo, e che hanno già scelto di combattere a fianco degli Sloveni. Lui ne prende atto, e informa tutti i componenti del nostro piccolo esercito che chi sta con lui deve essere motivato, e che ciascuno è libero di abbandonarci, e andare dove gli pare, a seguito di queste comunicazioni un manipolo di una ventina di persone ci lascia, per andare a far parte del contingente rosso. Una decina di giorni dopo, viene convocata una riunione tra i capi e i loro collaboratori, per sancire la separazione formale tra le varie componenti la resistenza, e a malincuore da parte nostra, pur combattendo tutti contro avversari comuni, dobbiamo constatare che gli obiettivi finali non coincidono. Al ritorno dalla riunione, a cui abbiamo partecipato Lupo, io, e Romano, attraversiamo la cittadina di cormons, e con disappunto notiamo in vari palazzi la stessa scritta slovena in rosso: “krmin je nas”, cormons è nostra. Dovremo convivere nello stesso territorio con componenti partigiane Italiane e Slave a noi contrarie, ma sappiamo benissimo che quello che c'è scritto è falso, perché il territorio del collio è controllato da noi.

Un nostro soldato, arrivato da pochi giorni, e proveniente dall’istria, ci fa sapere che è in atto nella sua zona di origine, una grande pulizia etnica contro gli Italiani e gli oppositori Slavi dell’esercito Jugoslavo, ci racconta aberrazioni così disumane che si stenta a credere che non ci stia raccontando fandonie, ma io sono certo del contrario, vista la spontaneità e il forte grado di coinvolgimento che accompagna quelle parole; egli racconta di aver visto con i propri occhi, esecuzioni sommarie di prigionieri e oppositori, ma anche di semplici cittadini inermi, per lo più Italiani, tra i più rappresentativi delle nostre comunità, buttati, siano essi stati vivi o morti, dentro grandi e profondi anfratti del terreno, ci racconta che una antica leggenda croata recita che chi si macchia di omicidi così efferati, viene sollevato dalle sue colpe se nell’ultimo viaggio, assieme agli sventurati, verrà ucciso un cane nero, che così porterà tutte le colpe dei delitti, mentre ai criminali resterà la sola incombenza di dover giustificare la morte di un cane. E chi, percorrendo da prigioniero quelle strade, noterà che fa loro compagnia un cane nero, se conosce la leggenda, sa che il suo destino imminente è segnato.

Ha visto anche che nella zona della dalmazia, hanno lasciato le loro vite centinaia di Italiani, buttati in mare con una grossa pietra legata al collo da una robusta fune, spesso legato a tutti i componenti della sua famiglia; erano tutte persone di spicco che rappresentavano l’italianità, come una sorta di nemesi e dimostrazione che a quel punto non poteva considerarsi simbolica, giustificata per vendicare le angherie subite dalla popolazione Slava dal regime italiano che controllava quella zona. Come al solito chi fa le spese di scelte sbagliate dettate dall’alto, sono le persone che non hanno nessuna colpa, perché facilmente raggiungibili, al contrario dei veri autori dei misfatti. Ma qui non si tratta solo di azioni dimostrative o simboliche, il nostro interlocutore racconta di essere a conoscenza di innumerevoli omicidi, a volte compiuti per vendette personali, o per sfogare malcontenti, e si deve parlare necessariamente della cosa più aberrante che il genere umano sia mai stato in grado di esprimere, la pulizia etnica feroce, generalizzata e sistematica. Anche io, pur essendo convinto della sincerità del nostro interlocutore, stento a credere che persone che si definiscono appartenenti al genere umano, possano macchiarsi di simili aberrazioni.

I bersagli preferiti sono i collaborazionisti Slavi dell’amministrazione italiana, qualche soldato appartenente al rinato esercito Italiano del nord catturato, e a cui non sono state riconosciute le convenzioni internazionali sulla prigionia, persino partigiani Italiani moderati e loro rappresentanti, formalmente loro alleati, ma dalle idee politiche divergenti dalle loro, e infine tanta, tanta gente comune rea solamente di essere di nazionalità Italiana. Medici, sacerdoti, funzionari, rappresentanti del disciolto regime, ma comunque tra i più rappresentativi dell’italianità presente sul territorio, come per non avere avversari di rilievo sulle istanze della nostra nazione una volta terminata la guerra, in vista di trattati internazionali che decideranno le nuove frontiere. Vite umane in cambio di territori, come nella precedente guerra, se queste aberrazioni non sono la negazione dell’umanesimo, anche quello più blando, non saprei definirli diversamente. Questa guerra sta conoscendo infamie mai viste prima, e tutto in funzione del potere, del prestigio, della acquisizione di territori non necessariamente propri, o non esclusivamente la ricerca della considerazione internazionale, di assurde teoricizzazioni della razza, del voler passare alla storia, ma stavolta in termini disumani, fucilazioni di massa, infoibamenti, nemesi assurde e dirette verso gente indifesa, omicidi di prigionieri, e i veri colpevoli di tante infamità non verranno forse mai puniti, tutto dipenderà unicamente se prenderanno posto al tavolo degli sconfitti o a quello dei vincitori, io personalmente sono convinto che a chi vincerà la guerra, sarà risparmiato l’onere di doversi giustificare dei sicuri crimini commessi. 

Il nostro gruppo è a diretto contatto con due diverse visioni e aspettative del mondo futuro, incarnate ora da un’alleanza, volta alla sconfitta di dittatori che hanno presumibilmente molte colpe, di dittatori che non hanno certamente tutte le colpe, iniziare una guerra è disumano, in fondo una guerra è la risultanza di meschine opportunità commerciali e di dominio. I due mondi che verranno a contrastarsi nel futuro prossimo saranno il mondo occidentale e quello comunista, due diverse concezioni di società la cui coabitazione sarà problematica, seppure entrambe spinte da teorie accettabili, ma accomunate dal desiderio di dominare il mondo, che potrebbe benissimo vivere senza due blocchi contrastanti, e in definitiva senza frontiere, né fisiche, né virtuali. La capacità dell’uomo, del potente, di creare vincoli fittizi è disarmante, e il sentimento politico e sociale generalizzato accetta queste assurde concezioni. Il potente non si cura delle frontiere, ha i suoi buoni lasciapassare, ma è il povero che soffre quei vincoli. E come la strategia Slava di non avere oppositori interni che rivendichino, alla fine della guerra, la loro italianità, per legittimare le annessioni di territori italiani, anche le due frange della resistenza, quella comunista e quella moderata, si scontrano in questa terra di grandi contraddizioni, questo paese di confine che accentua le disparità, in seno a questo popolo che ha visto durante la storia il passaggio di innumerevoli eserciti venuti a sottomettere la nostra nazione. Una regione che sarà a contatto diretto tra i due modi di concepire il mondo.

La sera successiva, siamo costretti ad ascoltare l’inconcepibile racconto di Lupo e Turbine, sulla loro assurda giornata; dovevano rappresentare le nostre formazioni militari, insieme ad una trentina di nostri uomini, in un incontro amichevole che avrebbe deciso collaborazioni future, pur in presenza di concezioni divergenti che hanno diviso in due tronconi il movimento partigiano di questa zona, incontro che doveva avvenire nella zona settentrionale del nostro territorio di competenza, cioè sulle montagne che sovrastano il paese di racchiuso. L’incontro si era reso necessario per la decisione dei partigiani rossi, di aderire e ubbidire alle formazioni Slave, decisione da loro concordata con il partito comunista italiano, che auspicava una collaborazione con la potente organizzazione jugoslava, per dare una parvenza di organicità alle nostre azioni militari. Lupo e Turbine, con i nostri uomini, sono andati all’incontro, con la convinzione di riuscire a far recedere dalla decisione i partigiani del natisone, arrivati in numero preponderante in confronto al nostro, ben oltre il centinaio di elementi, mentre questi erano convinti di poter inglobare il nostro gruppo nella grande formazione slava; fatto sta che l’incontro è degenerato in ripetute accuse reciproche, i nostri decisi a preservare l’immagine di italianità che la nostra lotta avrebbe consegnato alla storia, loro in nome di una concezione rossa di internazionalità, che però avrebbe decretato che l’unica resistenza ai Tedeschi in questa zona è rappresentata dai comunisti. I due gruppi non hanno trovato nessun tipo di accordo, e allora i rossi, tra le cui fila erano presenti anche persone sconosciute, sicuramente Sloveni, sono entrati in azione, irritati dal nostro rifiuto, e facendosi forti del fatto di essere arrivati all’appuntamento in numero ben superiore al nostro, e approfittando del fattore sorpresa, fatto che ci fa pensare che in qualche modo la reazione sia stata pianificata in precedenza, hanno cominciato a sparare contro il gruppo di Lupo, che ha reagito al fuoco, ma ha lasciato sul terreno una decina di morti, tra cui un mio conterraneo di serdiana.

Cinque dei nostri uomini hanno riportato ferite rilevanti, e Lupo stesso ha una pallottola sulla gamba, cessa oggi la nostra collaborazione con i partigiani rossi, e tra i nostri nemici siamo costretti ad annoverare anche loro e la resistenza Slava. Accanto alla mia passione per la grafologia, che sfocerà nella pubblicazione di uno o più libri, troverà posto la esposizione di fatti avvenuti in questa terra di confine, sulle barbarie commesse dagli Slavi contro gli Italiani, e il mio tempo, dopo la guerra, se sopravviverò, sarà dedicato a raccogliere prove sulle incredibili aberrazioni che alcuni di loro hanno compiuto, pur con le dovute attenuanti generate dal comportamento del regime italiano durante il loro dominio sulle loro terre. Provo un senso di frustrazione che mi invoglia a considerare che l’umanità è capace di qualunque misfatto, inimmaginabile prima d’ora, certo è che le bestie non riusciranno mai a competere con il genere umano in fatto di azioni selvagge e vendicative. Improvvisamente mi viene da pensare che gente così fortemente ideologicizzata, potrebbe compiere azioni fortemente disonorevoli, e auto giustificarsi per assurdi crimini, come quello perpetrato ai danni di Lupo e dei suoi uomini. Mi viene da pensare che le ideologie, tutte le ideologie, sono state inventate per creare odio, per dividere, per plagiare, e per sottomettere.

La permanenza in questa regione mi ha portato a vivere esperienze forti, accentuate dal fatto che si trova in una zona di confine tra le più problematiche, terra di grandi sacrifici e di odi immensi. Lupo mi chiede di accompagnarlo a casa dei suoi genitori, che sono ancora vivi, per contattare un suo amico medico per l’estrazione della pallottola, e per trascorrere il successivo periodo di convalescenza, le decisioni riguardo il nostro contingente verranno prese da Turbine, di cui Lupo apprezza la sua formazione militare e le sue capacità decisionali. La mattina successiva siamo in viaggio verso l’abitazione dei suoi genitori, in una casa ai sobborghi del paese di faedis, contatto il medico che lo ha visto crescere, dall’aspetto di un settantenne, ma con una capacità di intervento chirurgico invidiabile, dopo poco tempo Lupo può stringere tra le mani la pallottola che lo ha fatto soffrire finora.

Opera a faedis un contingente di partigiani che risponde agli ordini del mio amico, e quando ci incontriamo, apprendono le modalità che hanno portato al ferimento di Lupo, e ai morti dello scontro a fuoco con i rossi, restano interdetti, anche loro hanno collaborato in molte azioni militari, ma da questo momento assicurano che nessun accordo verrà stipulato tra loro, e che agiranno soprattutto per evidenziare la determinazione che in questa regione operano combattenti Italiani, e non solo comunisti o Slavi. Qualche giorno dopo ci informano che altri nostri partigiani sono morti in un bosco tra cividale e cormons, in zona di nostra competenza, ancora per mano di partigiani rossi.

La convalescenza dura molto tempo, ma Lupo pian piano riacquista la sua libertà di movimento, si dice combattuto tra la gioia di stare con i suoi genitori, trascurati per troppo tempo, e la necessità di rientrare in azione, e riprendere il comando della nostra formazione, ma per questo non è eccessivamente preoccupato perché ha lasciato le decisioni a una persona valida quanto lui stesso, dal quale riceve notizie quotidianamente, l’ultima carneficina di nostri uomini non è stata causata da ipotetiche sue negligenze, perché messa in atto in maniera vigliacca. Uno degli ultimi giorni di permanenza a faedis, sono dedicati ad una attività che Lupo compiva da ragazzino, le lunghe passeggiate verso il paese confinante di racchiuso, e le escursioni nei fittissimi boschi che sovrastano il paese; qui sembra che tutto sia a misura d’uomo, a contatto con una natura esuberante che invoglia a dimenticare le ultime vicissitudini, e le manifestazioni della pazzia umana quando decide di acquisire qualsiasi tipo di potere, messe in atto con una irrazionale, ma lucida determinazione, disonore che non si ferma davanti a nessuna atrocità. Durante la lunga passeggiata tra i fittissimi boschi, all’improvviso ci appare una estesa malga, Lupo mi indica il posto esatto in cui è cominciata la sparatoria che ha fatto una decina di vittime, e il suo ferimento, avvenuta proprio là, ha voluto rivedere il teatro del tradimento degli uomini che fino ad allora, erano ai suoi ordini.

E termina il lungo periodo di convalescenza, il saluto ai genitori è di quelli che non si dimenticano, alla compostezza malcelata del padre fa da contraltare l’intenso scoramento della vecchia madre, non paga della presenza di Lupo per così poco tempo. Anche il mio amico è visibilmente commosso; vedendo questa manifestazione di affetto tra Friulani, mi invoglia a pensare di quanto sia variegato il genere umano, un popolo, quello friulano, che tende a celare le sue emozioni, e dimostrarsi forte e freddo, ma che indubbiamente nasconde un’umanità inimmaginabile, pronta a manifestarsi solo se in preda a forti emozioni, un po’ come il mio stesso popolo. Quando rientriamo alla base di plessiva, il nostro contingente è considerevolmente più numeroso, nonostante i morti, sono tra noi molti partigiani che hanno fatto parte della brigata del natisone, ma che ne sono usciti frettolosamente dopo aver assistito, durante varie azioni compiute assieme ai partigiani Slavi, ad esecuzioni sommarie, e a vari omicidi compiuti nelle foibe e nelle cave di bauxite. Raccolgo decine e decine  di testimonianze su queste barbarie. Mentre prendo appunti arriva Turbine, di ritorno da un pattugliamento, e con stupore vedo che il suo piccolo gruppo ha fatto dei prigionieri. Sono militari dell’esercito Italiano del nord, sorpresi ad avvicinarsi alle nostre postazioni, e fatti prigionieri senza che sia stato sparato un colpo, inizia così l’interrogatorio di Lupo e Turbine, mentre io continuo a raccogliere testimonianze sulla pulizia etnica così orrendamente perpetrata.

Quando, il giorno dopo, vedo i visi dei prigionieri, riconosco una persona che non mi sarei mai aspettato di incontrare, porta i gradi di capitano, è il comandante della piccola pattuglia, e risponde al nome di Rodolfo! Ci abbracciamo e chiedo notizie della sorella, e come mai un ufficiale nemico si sia spinto nel territorio controllato stabilmente da noi, e con un numero così esiguo di uomini. Le risposte arrivano immediatamente: Eleonora conduce una vita molto dissimile da quella a cui era sempre stata abituata, le sue uscite sono rare, e il fratello non sa se pensi ancora a me, fatto sta che la trova profondamente cambiata anche dal punto di vista caratteriale. Riguardo al fatto che si trovi in territorio ostile le sue spiegazioni sono esaustive per me, ma lui lamenta il fatto che né Turbine, né Lupo, abbiano creduto alla sua versione dei fatti. Mi spiega che è qui, rischiando la sua incolumità, per stabilire contatti con la resistenza di matrice non comunista; anche se formalmente belligerante con noi, l’esercito di cui fa parte, ha delle proposte da inoltrarci, e il discorso che voleva affrontare con noi è stato bruscamente annullato da Lupo, che dice di non credere ad una sola parola delle giustificazioni di Rodolfo. Con me può invece parlare tranquillamente, posso dedicargli tutto il tempo che desidera.

L’esercito del nord propone una tregua con i partigiani moderati, il loro impegno militare sarà rivolto unicamente contro i partigiani rossi e Slavi, in vista dei futuri assetti territoriali che si decideranno alla fine della guerra, ormai agli sgoccioli, a loro interessa almeno che la zona friulana sia destinata alla nostra nazione, e per ottenere ciò bisogna combattere contro chi ha interessi divergenti, almeno sotto questo aspetto, e con le dovute distinzioni, i nostri obiettivi coincidono. Mi ha convinto senza grandi sforzi sulla natura della sua missione, ma ritengo che Lupo non abbia intenzione di discutere una simile eventualità, quando riesco a metterli faccia a faccia, Rodolfo afferma che l’esercito a cui appartiene non ha intenzione di contrastare la resistenza moderata, e reagirà contro di noi solo se provocato, a me sembra una proposta sensata, a Lupo un po’ meno, dice che nell’improbabile caso che si decreti una tregua tacita tra noi, non potrà essere sancita nessuna pace formale. Per mio conto, affermo che mi sembra evidente che chi abbiamo di fronte, è venuto in veste di ambasciatore, e non sarebbe il caso di trattenerlo oltre, ma Lupo si dice contrario a quella eventualità, per il semplice fatto che quei militari conoscono ormai l’esatta ubicazione del nostro quartier generale, e non vuole mettere a rischio la sicurezza dei suoi uomini, e decide di trattenerli fino a quando troverà una soluzione equa o il quadro generale del conflitto renderà meno rischiosa la loro liberazione, decide di non limitare troppo la loro libertà personale, e il loro soggiorno da noi sarà scomodo, ma senza imprigionamenti, a patto che non abbandonino mai il posto.

I giorni successivi parlo spesso con il fratello di Eleonora, gli rivelo particolari della vita che sto conducendo, lui della decisione di credere ancora nel dittatore, e dei sui obiettivi attuali, che non annoverano più la possibilità di poter vincere la guerra, ma almeno di riservare alla nostra nazione quanti più territori possibili. Almeno in questo le nostre aspirazioni coincidono. E apprezzo, se pur in presenza di un avversario che fa parte di un esercito ostile, la persona di Rodolfo, perché spinto nella direzione che reputo sbagliata, da modi di pensare acquisiti dalla formazione culturale della sua famiglia. Anche i poveri soldati Germanici, costretti ad ubbidire al potere assolutamente dominante e prevaricatore di un dittatore, costretti spesso ad azioni indegne, hanno la mia comprensione, chi non approvo sono i capi dei vari eserciti e i loro superiori, i capi di stato che hanno deciso che in cambio di misera terra, hanno ucciso, loro si, anche se non materialmente, milioni di esseri umani. E non approvo nessuno di loro, né i probabili sconfitti, né i futuri vincitori, la storia verrà scritta da chi dominerà, ma chi più mi fa rabbrividire per il comportamento scellerato sono i mandanti delle pulizie etniche, e quelli che con comportamenti derivati da insulse ideologie, le hanno in qualche modo rese giustificabili, ma non esiste giustificazione di atti che definire bestiali fa torto al genere degli animali, che mai si sognerebbe di adottare pratiche così aberranti.

E non giustifico nemmeno chi, da comandante, materialmente le ha messe in atto, o ha imposto che venissero eseguite, chi riceve ordini rivoltanti ha il dovere di rifiutarli, anche a costo della sua stessa vita. E l’assurda decisione di eliminare partigiani moderati, loro alleati, tradirli fino alle estreme conseguenze, fa disonore al genere umano, aggravate dal fatto che siamo in presenza di azioni concordate e non spontanee. Continua la nostra azione unicamente rivolta contro le truppe Tedesche, che si ostinano a voler controllare questa parte di territorio, ambito da tutti, ma soprattutto da loro, perché offre un naturale sbocco al mar adriatico, strategicamente per loro indispensabile. Ma alla fine, in primavera, il territorio è liberato dalla loro presenza, siamo tutti sollevati dagli avvenimenti favorevoli che si sviluppano in tutta italia, con mia grande gioia Lupo libera Rodolfo, gli dico che appena possibile andrò a roma a far visita alla sua famiglia.

Il dittatore Italiano è stato ucciso, l’esercito del dittatore Tedesco annientato, lui sicuramente morto, ora si dovrà pensare alla ricostruzione di un intero continente martoriato da questa guerra assurda, al benessere da garantire ai sopravvissuti, in parziale restituzione alle immense sofferenze che hanno dovuto affrontare, si respira comunque un’aria di moderata fiducia per il futuro, la storia insegna che da immani disgrazie nasce spesso un riscatto umano sotto molti punti di vista, tra cui quello economico e quello morale, consapevoli tutti che una simile tragedia non si dovrà mai più ripetere, e fare in modo che le nuove generazioni capiscano che guerre e invasioni non porteranno mai nulla di positivo a nessuno, né agli oppressi, né ai loro aguzzini. Anche se ancora operativo, nonostante la fine del conflitto, anche il nostro gruppo, ormai ridimensionato da scelte orientate a godere finalmente del calore delle famiglie di origine, o da quel che ne resta, si sente sollevato da impegni pressanti, e ci ritroviamo, io Lupo e Turbine, a passeggiare per le strade di Gorizia, parliamo della necessità di far chiarezza sulle uccisioni dei nostri compagni da parte dei partigiani rossi, di consegnare alla storia quell'aberrante tradimento, si parla del fatto che dovranno essere istituiti tribunali per far luce sugli innumerevoli avvenimenti che la guerra ha comportato, prime tra tutte accertare chi siano i mandanti e gli esecutori delle assurde pulizie etniche.

Parliamo dell’argomento più dibattuto, quello che decreterà i futuri assetti territoriali, come se sia più importante a quale stato assegnare territori contesi, che lavorare al benessere delle persone; il territorio è momentaneamente sotto il controllo delle milizie Jugoslave, ma anche loro dovranno lasciare queste terre, perché indiscutibilmente italiane. La loro azione è volta a far apparire che questi territori appartengono alla loro gente, e sappiamo che quando sono obbligati ad esporre una bandiera italiana, lo fanno, ma sul suo settore bianco spicca in maniera troppo evidente una grande stella rossa, come per evidenziare che seppure questa regione sia stata liberata, oltre che da loro, anche da Italiani, ma da Italiani di sicura fede comunista. E per dare ancora più risalto al fatto che queste terre apparterranno a loro, impongono alle popolazioni di spostare indietro di un’ora gli orologi, e adeguarli all’ora di belgrado.

Parliamo di come indirizzare le nostre vite future, Lupo desidera tornare a faedis e far compagnia ai suoi genitori, nel caso in cui questi territori verranno assegnati all’italia, altrimenti li porterà altrove, si impegnerà a far luce sui responsabili delle uccisioni dei suoi compagni, e sull’accertamento dell’identità dei veri mandanti, questo fino ad aver completa giustizia. Romano non vede l’ora di rientrare a roma, far parte ancora dell’esercito Italiano, e riprendere i rapporti con la sua Rita. Dal canto mio, scemata, ma non del tutto assopita la mia passione per la grafologia, intendo pubblicare dei libri sull’argomento, ma ciò che mi preme maggiormente è documentarmi ancora sul fenomeno delle foibe, e rendere pubbliche le testimonianze acquisite, e naturalmente ristabilire i rapporti con Eleonora, e viaggiare in mare verso ovest, per riabbracciare la mia famiglia, che mi sembra un secolo che non vedo, e recarmi a far visita alla famiglia del mio compagno di serdiana, ucciso dai partigiani rossi.

Cala la notte, e quando decidiamo di rientrare a plessiva, siamo circondati da una ventina di partigiani Slavi, la loro azione è fulminea e non ci lascia il tempo di mettere mano alle nostre pistole, uniche armi a disposizione, malmenati, disarmati, ingiuriati e condotti in un grande capannone, a far compagnia a un rilevantissimo numero di prigionieri Italiani, ammassati verso un angolo del locale, alcuni feriti, e sotto minaccia dei mitra di una decina di soldati. Sono presenti anche alcune decine di donne, in un gruppo separato, in uno stato pietoso, sicuramente seviziate e forse stuprate. E le voci e le implorazioni che saltuariamente escono dalle loro bocche, non sono solamente italiane, ma sentiamo anche lamenti in lingua Slovena. Cosa vogliano da noi e da quella moltitudine di persone non ci è dato di sapere per tutta la notte, noi tre siamo costretti a far compagnia ad una quindicina di nostri connazionali, precedentemente pesantemente malmenati, in un altro angolo del locale. La guerra non è dunque finita per noi, forse ci aspetta la parte peggiore di essa. Quando qualcuno del nostro gruppo, vinto dalla stanchezza e dai pestaggi, tenta di sedersi o coricarsi sul pavimento, viene pesantemente bastonato, e costretto a rialzarsi.

Trascorriamo tutta la notte nel terrore di ciò che potrebbe accadere, e alla fine, in mattinata inoltrata, caricano il nostro, piccolo gruppo, su un camion, e, bendati, percorriamo una strada sicuramente di montagna, per più di un’ora. Una volta che ci levano le bende, ci ritroviamo in un posto roccioso deserto, l’aspetto sembrerebbe simile alla configurazione carsica, rabbrividisco all’idea che sicuramente in zona esistono foibe. In un piccolo capanno inizia l’interrogatorio del terzetto, sanno tutto di noi, della nostra appartenenza alle milizie partigiane moderate, al fatto che siamo stati testimoni di avvenimenti rilevanti, vogliono avere informazioni da noi, ma soprattutto convincerci a non divulgare fatti che per loro potrebbero essere problematici, alla fine dell’interrogatorio, ci propongono di entrare a far parte delle loro milizie. Lupo esplicita il suo pensiero, e afferma che è ben conscio che il nostro destino è comunque segnato, in quanto depositari di segreti che a loro farebbe comodo non venissero divulgati, e che se pure ci fossimo arruolati, sarebbe stata ancora più facile per loro allestire una messinscena per la nostra uccisione, e sarebbe stato ancora più facile addossarne la colpa ad elementi a loro contrari, comunica loro che siamo pronti a morire.

Ma la morte è ben poca cosa in confronto alle angherie che abbiamo subito per tutto il giorno, i nostri aguzzini godevano nel vederci soffrire, abbiamo sentito più volte pronunciare da loro la parola “Italiano” in termini dispregiativi, moriremo non solo perché a conoscenza di segreti ingombranti, ma anche perché Italiani. Quando arriva la notte, ci lasciano in pace, in cuor nostro avremmo preferito una morte veloce, piuttosto che le sofferenze a cui ci hanno sottoposto. Soffrire ha senso solo se si intravvede la possibilità di poter sopravvivere, ma con la certezza che questi saranno i nostri ultimi giorni, diventa tutto più atroce. Ogni giorno è la stessa storia, non possono fare a meno di infliggerci sevizie, e quando ritengono di aver annichilito la nostra volontà, qualche giorno dopo, ci presentano sul tavolo dei fogli scritti in uno stentato italiano, da ricopiare e firmare. Ci dicono che se ciò avvenisse, avremmo avuta salva la vita. Quei fogli rimangono ancora sul tavolo, alla nostra vista, messi là come una finestra che si staglia in un ambiente buio, che ci fa intravvedere un barlume di speranza, ma sappiamo benissimo che a loro interessano testimonianze favorevoli, ma non le nostre ingombranti vite, siamo certi che non saremmo sopravvissuti comunque.

È atroce vedere quei fogli per giorni, a nostra disposizione, e non poterne approfittare, dopo le sevizie fisiche ora sono in atto quelle psicologiche, non so per quanto tempo avremmo potuto ancora resistere a scrivere, io personalmente proverei un grande piacere ad assecondarli, e poi salvarmi, per poi intraprendere per tutto il corso della mia vita azioni volte a smascherare questi barbari, so perfettamente che firmare significa abbreviare la sofferenza. Illusioni, penso tra me, mi devo fare forza e affrontare tutto quello che verrà, con il coraggio che i miei compagni dimostrano di possedere. Ci hanno concesso più di una settimana di vita per raggiungere il loro scopo, ma non è servito a nulla, così decidono di farci fare presumibilmente la nostra ultima passeggiata. Usciamo dal casolare con indosso una semplice maglia, insanguinata dal primo giorno del nostro sequestro, e senza scarpe dallo stesso giorno. Il tiepido sole fa soffrire gli occhi, dopo giorni di relativa oscurità, è proprio una bella giornata per abbandonare questo mondo disgraziato.

Apre la processione improvvisata Lupo, legato ai polsi, sul davanti, da fil di ferro, seguono tutti gli altri, con le stesse modalità, io sono il penultimo, ma il fil di ferro che mi lega una mano non termina sul mio polso, ma continua fino ad arrivare stretto sul collo di un cane completamente nero, giovane, e maschio, forse la sua età non arriva a due anni. Il cammino, senza scarpe, è un vero supplizio, penso a quanti miei conterranei della brigata sassari hanno lasciato le loro vite in questo terreno roccioso, durante la precedente guerra, penso a quelle vittime, allora, che hanno perso la vita per difendere questi terreni infruttiferi e a parer mio senza valore. Chi mi sta davanti mi fa sapere che il cane è di sua proprietà, il destino li ha accomunati persino in punto di morte.

Ben dopo mezzogiorno arriviamo a destinazione, di fronte ad una orrenda apertura del terreno, spaventosamente buia, tra me penso a quanto sia beffardo il destino; ho vissuto i primi anni della guerra rintanato nel sontuoso palazzo romano, lontano dai pericoli, anzi trascorrendo il mio tempo in beata serenità, poi la mia militanza nelle fila partigiane mi ha esposto a pericoli relativamente lievi, specie dopo l’appartenenza al gruppo di Lupo, che ha sempre fatto di tutto, pur con azioni di guerra pericolose, per limitare i rischi che avrebbero potuto correre i suoi uomini, paradossalmente i pericoli maggiori sono derivati dal tradimento dei nostri stessi compagni, e da questi potenziali nostri alleati. Ripenso a Eleonora con la quale ho vissuto una problematica, ma felice relazione, agli alunni che avrebbero acquisito da me elementi per poter mandare avanti la loro vita, ai compagni e in particolare al compagno Sardo ucciso, alla mia famiglia, e a Dio. Ripenso ai miei cari, in terra sarda. A Turbine e a Lupo, beffardamente insieme a me fino alla fine della mia esistenza, e a questo cane che dissiperà le colpe dei nostri aguzzini, addossandosele tutte.

Ordini perentori vengono imposti, con un lungo fil di ferro, vengono legati tutti, e il filo si dipana dai polsi di Lupo a quello del prigioniero successivo, fino ad arrivare al padrone del cane, l’operazione avviene in poco tempo, evidentemente ciò che stanno compiendo quegli uomini, è per loro, forse, abitudinario. L’organizzazione, però, per una volta, non è stata impeccabile, e hanno portato una lunghezza di fil di ferro insufficiente a legare in un’unica cordata tutti i malcapitati, e quando si apprestano a legare anche me alla comitiva, si accorgono di non avere materiale a disposizione sufficiente, morirò legato al cane, ma non ai miei amici. Ciò che segue sarebbe persino comico da sentire, se la situazione non fosse così drammatica, il capo che grida come un ossesso contro chi ha commesso una simile leggerezza, e i soldati in atteggiamenti sottomessi persino ridicoli. Ma non c’è nulla di cui essere contenti, tra poco sarà la nostra ora.

Ci hanno obbligati a sistemarci a ridosso del baratro, Lupo il più vicino di tutti, gli altri poco distanti, saremmo caduti tutti in rapida successione. Rivolto a Lupo, il capo degli assassini gli intima di gettarsi nel baratro, altrimenti sarebbero partite le raffiche di mitra, Lupo, che conosce perfettamente la loro lingua, gli grida in faccia che nessuna sua pallottola lo avrebbe colpito e con un urlo agghiacciante si getta dentro. Mano a mano che gli uomini cadono nel dirupo, mi accorgo che quando tocca a me, dopo qualche secondo, non ho ancora sentito alcun suono che indichi che i miei compagni di disavventura abbiano già toccato il fondo, potrebbe essere profondo centinaia di metri, realizzo che i nostri corpi non verranno mai trovati. Quando cade chi mi precede, il padrone del cane, questi, con un balzo istintivo cerca di raggiungere il suo padrone, ultima dimostrazione di affetto che gli uomini raramente riescono ad esprimere, e trascina anche me in quella voragine.

Immediatamente, in quel buio, sento un forte dolore alle costole, ho toccato terra, troppo presto, o forse una roccia, penso tra me, poi la mia discesa continua rotolando, ma sono subito fermato da qualcosa che sembrerebbe un arbusto, in quel momento sento un forte dolore alla mano legata al cane, che abbaia disperatamente, ma entrambi siamo inspiegabilmente vivi, io avvinghiato all’arbusto, lui penzoloni dal mio polso. L’arbusto è poco distante dall’apertura della voragine, forse una ventina di metri, vedo la luce filtrare, ma io sono in una zona completamente buia, non mi possono vedere, ma sentono forte il latrare del cane. Vedo passare distintamente una bomba a mano, sembra un’eternità il tempo che passa senza alcun boato, poi esplode, fragorosissima, ma lontanissima da me, molto più in basso, sento solo un leggero spostamento d’aria, e non altro. Il cane continua a guaire, non si sente alcun altro rumore, ma il fatto che lui sia ancora vivo, e continui a lamentarsi, potrebbe significare la mia morte. Vengono lanciate altre due bombe, poi qualche raffica di mitra, ma il cane è ancora vivo. Sento delle voci, forse non sono convinti di aver ucciso tutti, la voce del capo, che ancora una volta rimprovera i suoi uomini, poi altre raffiche, che però non fanno tacere l’animale, terrorizzato in maniera estrema, non ci possono colpire dato che non li vedo, poi, liberatoria, sento una parola slovena che mi sembra melodia: “gremo, gremo" ... Andiamo…

Quando sono sicuro che se ne sono andati, isso non senza fatica e dolore l’animale sull’arbusto che mi accoglie, e dato che ho una sola mano legata a lui, riesco a liberarmi dal fil di ferro, che resta legato alla gola del povero cane, ancora vivo, però, scopro a tentoni, che non si è strozzato perché il fil di ferro che circondava il collo era stato legato ad un altro fil di ferro, e quella legatura aveva impedito lo scorrere sulla gola del filo, restato per questo largo. Assicuro poi il cane al tronco, se mi sarà possibile, col favore delle tenebre, uscirò da quest’inferno, e porterò con me, se possibile, anche lui. Le congetture su come salvarmi si sprecano, sono ancora vivo, ma non in salvo, spero di trovare terreno favorevole alla mia risalita, al buio. Sono certo che il dirupo non è verticale, in quanto cadendo ho avuto più la sensazione di scivolare, o rotolare, piuttosto che quella di precipitare, almeno nel tratto finale. E sono indeciso se affrontare la risalita di notte, a tentoni, o aspettare le prime luci del giorno, che presumo illumineranno la parte in cui mi trovo, dato che la sera la parte illuminata era quella antistante a me. Sono riuscito finalmente ad acquietare il cane, che è però malconcio almeno quanto me, a lui però è stata risparmiata la settimana infernale che hanno riservato a me e ai miei compagni.

Sembra un’eternità lo scorrere del tempo, prima di vedere che i raggi del sole si affievoliscono sempre più, trascorro il tempo avvinghiato al cane, l’ho già liberato dal fil di ferro che gli circondava la gola, e l’ho legato al livello del ventre con un capo, mentre ho assicurato l’altro ad un grosso ramo dell’arbusto, in modo che se fosse scivolato, l’avrei potuto recuperare agevolmente. Ci dobbiamo salvare entrambi, io perché ho giurato in cuor mio che avrei fatto giustizia contro questa barbarie, il cane perché se sono vivo è per opera sua, e perché non si avveri la leggenda che dice che i nostri aguzzini si sarebbero liberati dalle loro colpe tramite la morte del cane. La configurazione del terreno è favorevole alla nostra risalita, in forte pendenza, ma non verticale, e avanziamo al buio, con fatica, ma aggrappandomi ai molti spuntoni di roccia che affiorano dal terreno, e issando continuamente il cane quando incontro qualche appiglio che me lo consente. Il cane, allo scoppio delle bombe e alle raffiche di mitra era terrorizzato, ma ora, avendo trascorso la notte avvinghiato a me, si è parzialmente calmato, e dimostra grande intelligenza nell’assecondare i miei movimenti.

Ma l’ultimo, brevissimo tratto che ci separa dall’imbocco della voragine, è perfettamente verticale, io mi salverò perché posso aggrapparmi ai molti spuntoni di roccia, e a qualche arbusto, ma non ho una fune che avrei potuto utilizzare per legare il cane e issarlo in cima. Con un ultimo sforzo sono finalmente libero, ora, col favore del buio, posso dileguarmi da questo posto maledetto, ma devo cercare una lunga fune per calarmi di nuovo e recuperare il cane, che ho legato ad un arbusto. Non trovo però altre soluzioni che quella di raggiungere i miei compagni a plessiva, e organizzare una spedizione per il recupero dell’animale, e se in linea d’aria la distanza non è proibitiva, sono costretto a dirigermi verso la salvezza attraverso i boschi, di giorno, anche per poter localizzare meglio la foiba e raggiungerla il giorno dopo.

Arrivo a notte inoltrata, racconto gli ultimi, crudeli avvenimenti, e la mattina dopo ci dirigiamo verso la foiba, con delle funi che salveranno il mio amico quadrupede. Facciamo a ritroso la strada che ho percorso, quando arriviamo in zona faccio fatica a ricordare esattamente il punto preciso, ma alla fine riesco a localizzarla, mi calano con le funi, lego saldamente il cane ad una di esse, e anche lui è salvo. Sulla via del ritorno decidiamo di smantellare la nostra organizzazione, le persone che avrebbero potute dirigerla non ci sono più, ma forniamo a vicenda, ciascuno di noi, elementi sufficienti per poterci rincontrare in seguito, penso al nome che avrei potuto dare al cane, che terrò con me, e improvviso mi viene in mente il nome: Gremo …

Sono trascorsi trentatre anni da allora, la temuta guerra cruenta per il controllo del friuli e dalla venezia giulia è stata scongiurata, con discutibili risoluzioni che forse non hanno accontentato nessuno, le etnie che abitano quelle zone vivono tuttora in cordiale disaccordo, il mondo è stato diviso in zone d’influenza, stabilendo di fatto che le potenze egemoni avrebbero spadroneggiato nei territori di competenza. I processi sul tradimento dei partigiani rossi hanno decretato la colpevolezza di molti degli esecutori, condannati per lo più a trenta anni di carcere, o all’ergastolo, ma nessuno di loro, dopo le sentenze definitive, ha fatto un solo giorno di prigionia, avendo scelto di espatriare, e i mandanti sono sempre restati nell’ombra. Gremo è morto da un pezzo, ed io ho scelto di abitare in friuli, dove ho insegnato per molti anni, per far luce più agevolmente anche sulla pulizia etnica, il mio tempo è trascorso tra testimonianze ai vari processi, scrittura di libri su grafologia e infoibamenti, conservo ancora i quaderni del personaggio Sardo tradito dai sui successori di partito, e quando parlo di pulizia etnica incontro spesso difficoltà a pubblicizzare quegli avvenimenti, passati nel dimenticatoio per via della parziale occidentalizzazione degli Slavi; il mondo occidentale ha scelto, per favorire quella trasformazione, e di non creare troppi contrasti con loro.

A ben guardare, tutti i popoli, tutte le nazioni, di queste da sempre martoriate lande, sono stati costretti ad appartenere a reali dittature, o a finte democrazie, nessuno ha mai chiesto loro cosa ne volessero fare delle loro vite, se volessero appartenere a stati sempre più grandi, o trovare la loro giusta autodeterminazione.
Nessuno ha mai chiesto a Giuliani, Bisiachi, Carnici, Friulani, Istriani, Dalmati, agli abitanti della valle dell'isonzo, se volessero appartenere a questo o quello stato, oppure se volessero la loro libertà.
Un altro tassello contro i popoli è stato sistemato, da ora in poi, l'appartenenza ad uno dei due blocchi, quello atlantico, o quello sovietico, farà si che le decisioni vengano prese dall'alto, giammai un popolo, una nazione, avrà più voce in capitolo per decidere il suo futuro.

Dittature o democrazie fasulle, ancora una volta hanno vinto sull'autodeterminazione dei popoli, la gente non conta niente, mai ha deciso e mai deciderà se partecipare a guerre, o lavorare per la pace, come è giusto che sia, le guerre fanno comodo a banchieri, governi, e oligarchie, la guerra, ogni guerra, è sempre dichiarata contro la gente. 
Le popolazioni Italiane di ampie zone assegnate agli Slavi, sono state costrette ad un esodo massiccio verso l’italia, guardati con astio dai fiancheggiatori dell'internazionalismo, molti di loro, ben accolti, hanno ricostruito la loro vita nella mia isola. Eleonora ha deciso di seguirmi in friuli, ormai per entrambi, segnati dalla guerra, la priorità non è più condurre la bella vita del passato, ma vivere in maniera semplice, naturale, abbiamo messo al mondo due figli.
Stamattina ho sentito con immenso disgusto, alla radio, una notizia che mi ha sconvolto: il presidente della repubblica italiana, che è stato un dirigente partigiano, ha concesso la grazia al capo dei partigiani rossi che ha decimato a più riprese il nostro gruppo, solo in quei giorni si è macchiato dell’assassinio di oltre venti dei suoi stessi compagni di lotta.



Questo romanzo è dedicato a mia figlia Angela.

Qualsiasi riferimento a persone esistite o esistenti, a fatti realmente accaduti, pur in un contesto storico reale, è da considerarsi puramente frutto di fantasia.
©Mariano Abis

Il 10 febbraio è la giornata italiana del ricordo delle vittime delle foibe, a quando la giornata mondiale? 
Le giornate dei ricordi e delle memorie dovrebbero essere tutte uguali, ma sembra che esista una giornata della memoria più uguale di tutte le altre. 














Nessun commento:

Posta un commento